J.K. Rowling - Harry Potter e l'Ordine della Fenice

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Harry Potter e l'Ordine della Fenice: краткое содержание, описание и аннотация

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Il quarto volume delle avventure di Harry Potter ci ha lasciato con il fiato sospeso: Lord Voldemort è tornato. Che cosa succederà ora che l’Oscuro Signore è di nuovo in pieno possesso dei suoi terrificanti poteri? Quanta morte e distruzione seminerà nel tentativo di riprendere il dominio dei mondo? Sono le stesse domande che si pone Harry Potter, disperatamente segregato — come tutte le estati — nella casa dei suoi zii Babbani, lontano dal mondo magico che gli appartiene. Ma qualcosa è cambiato anche in lui. Ormai quindicenne, lo ritroviamo divorato dalla frustrazione, dalla rabbia e dall’ansia di ribellione tipiche della sua età. In uno dei libri più attesi nella storia della letteratura, J.K. Bowling non cessa di stupirci. Tessendo un’altra stupefacente trama, riesce questa volta a dar voce alle inquietudini dell’adolescenza, ad arricchire il suo già mirabolante universo di nuove creature e nuovi indimenticabili personaggi, e anche a metterci in guardia contro la stupidità del potere e di chi lo usa per combattere il talento, il coraggio, la fantasia e la diversità.

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A lui dispiacque sentire che aveva versato altre lacrime, ma fu contento che gli rivolgesse di nuovo la parola, e lo fu ancora di più quando lei gli scoccò un rapido bacio sulla guancia prima di correre via. E, cosa incredibile, quando arrivò all’aula di Trasfigurazione avvenne un fatto altrettanto positivo: Seamus uscì dalla fila e gli si parò davanti.

«Ti volevo dire» borbottò guardando il ginocchio sinistro di Harry, «che ti credo. E ho mandato una copia della rivista a mia madre» .

Se c’era bisogno di qualcos’altro per completare la felicità di Harry, fu la reazione di Malfoy, Tiger e Goyle. Li vide confabulare in biblioteca più tardi quel pomeriggio: erano in compagnia di un ragazzo allampanato che, sussurrò Hermione, si chiamava Theodore Nott. Si voltarono verso Harry mentre lui cercava dei libri sullo Svanimento Parziale. Goyle fece scrocchiare minaccioso le nocche e Malfoy bisbigliò qualcosa di indubbiamente malevolo a Tiger. Harry sapeva benissimo perché si comportavano così: aveva citato tutti i loro padri tra i Mangiamorte.

«E la cosa più bella» gongolò Hermione quando uscirono dalla biblioteca, «è che non possono contraddirti, perché non possono ammettere di aver letto l’intervista!»

A coronare il tutto, Luna annunciò durante la cena che nessun numero del Cavillo era mai andato esaurito così in fretta.

«Papà vuole ristampare!» annunciò a Harry, con gli occhi che sporgevano dall’eccitazione. «Non riesce a crederci, dice che alla gente questo interessa perfino di più degli Snorticoli Cornuti!»

Harry fu salutato come un eroe nella sala comune di Grifondoro, quella sera. Fred e George, temerari, avevano scagliato un Incantesimo di Ingrandimento sulla copertina del Cavillo e l’avevano appesa al muro, così che una testa gigantesca di Harry sorvegliava tutto, e ogni tanto tuonava: «MINISTERO DI DEFICIENTI» e «VAI A MANGIARE LETAME, UMBRIDGE». Hermione non lo trovò molto divertente; disse che disturbava la sua concentrazione e finì per andare a letto presto, irritata. Harry dovette ammettere che dopo un’ora o due il manifesto non era più tanto buffo, soprattutto quando l’incantesimo parlante cominciò a svanire, e gridava parole sconnesse come “LETAME” e “UMBRIDGE” a intervalli sempre più frequenti e con voce sempre più acuta. Anzi cominciò a dargli il mal di testa, e la sua cicatrice riprese a bruciare in modo sgradevole. Tra i borbottii contrariati di quelli che, seduti attorno a luì, gli chiedevano di raccontare per l’ennesima volta l’intervista, annunciò che anche lui aveva bisogno di andare a riposare.

Il dormitorio era vuoto. Appoggiò per un momento la fronte contro il vetro freddo della finestra accanto al letto; era un sollievo per la cicatrice. Poi si svestì e si infilò sotto le coperte, sperando che il mal di testa passasse. Aveva anche un po’ di nausea. Si voltò su un fianco, chiuse gli occhi e si addormentò quasi subito…

Era in piedi in una stanza buia, con le tende tirate, illuminata da un unico candeliere. Le sue mani afferravano la spalliera di una poltrona davanti a lui. Aveva dita lunghe e bianche, come se non avessero visto il sole per anni e sembravano grandi, pallidi ragni sul velluto scuro della poltrona.

Sul pavimento davanti alla poltrona, nel cerchio di luce delle candele, era inginocchiato un uomo vestito di nero.

«A quanto pare sono stato consigliato male» disse Harry con una voce fredda e acuta che pulsava di rabbia.

«Padrone, imploro il vostro perdono» gracchiò l’uomo in ginocchio. La sua nuca brillava nella luce. Sembrava che tremasse.

«Non è colpa tua, Rookwood» disse Harry, sempre con quella voce fredda e crudele.

Lasciò la presa sulla poltrona e la aggirò, si avvicinò all’uomo a terra e gli si fermò davanti, guardandolo da un’altezza maggiore del solito.

«Sei sicuro delle tue informazioni, Rookwood?» chiese Harry.

«Sì, mio Signore, sì… io lavoravo in quell’Ufficio dopo… dopotutto…»

«Avery mi ha detto che poteva prenderla Bode».

«Bode non avrebbe mai potuto prenderla, Padrone… Bode sapeva che non poteva… senza dubbio è per questo che ha resistito tanto alla Maledizione Imperius di Malfoy…»

«Alzati, Rookwood» sussurrò Harry.

L’uomo in ginocchio quasi cadde in avanti per la fretta di obbedire. La sua faccia era butterata; le cicatrici risaltavano alla luce della candela. Rimase un po’ curvo, come sul punto di inchinarsi, e rivolse occhiate terrorizzate al viso di Harry.

«Hai fatto bene a riferirmelo» disse Harry. «Molto bene… Ho sprecato mesi in piani infruttuosi, a quanto pare… ma non importa… da questo momento ricominciamo da capo. Hai la gratitudine di Lord Voldemort, Rookwood…»

«Mio Signore… sì, mio Signore» balbettò Rookwood, la voce arrochita dal sollievo.

«Avrò bisogno del tuo aiuto. Di tutte le informazioni che potrai darmi».

«Certo, mio Signore, certo… qualunque cosa…»

«Molto bene… puoi andare. Mandami Avery».

Rookwood si allontanò camminando all’indietro, inchinandosi, e sparì dietro una porta.

Solo nella stanza buia, Harry si voltò verso la parete. Uno specchio scheggiato e annerito dal tempo era appeso nell’ombra. Harry si avvicinò. La sua immagine riflessa si fece più grande e chiara nel buio… un volto più bianco di un teschio… occhi rossi, con pupille come fessure…

«Nooooooooo!»

«Cosa?» gridò una voce nelle vicinanze.

Harry si agitò, si avviluppò nelle tende e cadde dal letto. Per qualche secondo non seppe dove si trovava; era convinto che avrebbe visto il volto bianco simile a un teschio che lo guardava nel buio; poi la voce di Ron disse, molto vicino: «La smetti di fare il pazzo, così ti tiro fuori di qui?»

Ron aprì le tende e Harry, disteso sulla schiena, con la cicatrice che bruciava, lo fissò alla luce della luna. Ron si stava preparando per andare a dormire, e aveva un braccio fuori dalla veste.

«Qualcuno è stato attaccato di nuovo?» chiese Ron, aiutandolo ad alzarsi. «È papà? È di nuovo quel serpente?»

«No… stanno tutti bene…» balbettò Harry; sentiva la fronte che gli andava a fuoco. «Be’… Avery no… è nei guai… gli ha dato l’informazione sbagliata… Voldemort è molto arrabbiato…»

Harry gemette e ricadde tremante sul letto, strofinandosi la cicatrice.

«Ma Rookwood lo aiuterà, ora… è di nuovo sulla pista giusta…»

«Di che cosa stai parlando?» disse Ron, spaventato. «Vuoi dire… hai appena visto Tu-Sai-Chi?»

« Ero Tu-Sai-Chi» rispose Harry, e tese le mani davanti al viso, per assicurarsi che non fossero più bianche come la morte. «Era con Rookwood, è uno dei Mangiamorte fuggiti da Azkaban, ricordi? Rookwood gli ha appena detto che Bode non può averlo fatto».

«Fatto cosa?»

«Portato via qualcosa… ha detto che Bode sapeva che non poteva farlo… Bode era sotto la Maledizione Imperius… credo che abbia detto che gliel’aveva lanciata il padre di Malfoy».

«Bode è stato stregato per portare via qualcosa?» disse Ron. «Ma… Harry, dev’essere…»

«L’arma» terminò Harry per lui. «Lo so».

La porta del dormitorio si aprì ed entrarono Dean e Seamus. Harry si rimise a letto. Non voleva che notassero qualcosa di strano, dato che Seamus aveva appena smesso di pensare che lui era matto.

«Hai detto» mormorò Ron, avvicinandosi all’orecchio di Harry con la scusa di versarsi dell’acqua dalla brocca sul comodino, «che eri Tu-Sai-Chi?»

«Sì» bisbigliò Harry.

Ron bevve un sorso esagerato, sbrodolandosi sul mento e sul petto.

«Harry» disse, mentre Dean e Seamus si svestivano chiacchierando, «devi dirlo…»

«Non devo dirlo a nessuno» tagliò corto Harry. «Non l’avrei visto affatto, se fossi bravo in Occlumanzia. Dovrei aver imparato a chiudere fuori questa roba. È questo che loro vogliono».

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