J.K. Rowling - Harry Potter e l'Ordine della Fenice

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Harry Potter e l'Ordine della Fenice: краткое содержание, описание и аннотация

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Il quarto volume delle avventure di Harry Potter ci ha lasciato con il fiato sospeso: Lord Voldemort è tornato. Che cosa succederà ora che l’Oscuro Signore è di nuovo in pieno possesso dei suoi terrificanti poteri? Quanta morte e distruzione seminerà nel tentativo di riprendere il dominio dei mondo? Sono le stesse domande che si pone Harry Potter, disperatamente segregato — come tutte le estati — nella casa dei suoi zii Babbani, lontano dal mondo magico che gli appartiene. Ma qualcosa è cambiato anche in lui. Ormai quindicenne, lo ritroviamo divorato dalla frustrazione, dalla rabbia e dall’ansia di ribellione tipiche della sua età. In uno dei libri più attesi nella storia della letteratura, J.K. Bowling non cessa di stupirci. Tessendo un’altra stupefacente trama, riesce questa volta a dar voce alle inquietudini dell’adolescenza, ad arricchire il suo già mirabolante universo di nuove creature e nuovi indimenticabili personaggi, e anche a metterci in guardia contro la stupidità del potere e di chi lo usa per combattere il talento, il coraggio, la fantasia e la diversità.

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«Ape Frizzola» disse la professoressa McGranitt.

Il gargoyle si animò e fece un balzo di lato; la parete al suo fianco si aprì rivelando una scala a chiocciola di pietra in continuo movimento, come una scala mobile. Tutti e tre salirono sui gradini; la parete si chiuse con un tonfo e salirono a spirale fino alla lucida porta di quercia con il batacchio a forma di grifone.

Benché fosse mezzanotte passata, si udivano voci nella stanza, un gran parlare. Sembrava che Silente stesse intrattenendo almeno una decina di persone.

La McGranitt bussò tre volte e le voci cessarono di colpo, come se qualcuno le avesse spente. La porta si aprì da sola e la McGranitt precedette Harry e Ron all’interno.

La stanza era immersa nella semioscurità; gli strani strumenti d’argento sui tavoli erano silenziosi e fermi invece che ronzanti e fumanti come al solito; i ritratti dei vecchi Presidi che coprivano le pareti sonnecchiavano nelle comici. Accanto alla porta, un magnifico uccello rosso e oro, grande come un cigno, era appollaiato sul suo trespolo, con la testa sotto l’ala.

«Oh, è lei, professoressa… e… ah » .

Silente era seduto alla sua scrivania, su una sedia dallo schienale alto; si chinò in avanti nel cerchio di luce della candela che illuminava le carte sparse davanti a lui. Indossava una vestaglia viola e oro, sontuosamente ricamata, sopra una camicia da notte candida, ma era perfettamente sveglio, e i suoi penetranti occhi azzurri fissavano la professoressa McGranitt.

«Professor Silente, Potter ha avuto un… un incubo» esordì la McGranitt. «Dice…»

«Non era un incubo» intervenne Harry.

La McGranitt si voltò verso di lui, un po’ torva.

«Molto bene, Potter, raccontalo tu al Preside».

«Io… ecco, io stavo dormendo…» cominciò Harry e, nonostante la paura e l’ansia di farsi capire da Silente, fu un po’ irritato dal fatto che il Preside non lo guardasse, ma tenesse gli occhi fissi sulle proprie dita intrecciate. «Ma non era un sogno normale… era vero… l’ho visto succedere…» Respirò a fondo. «Il papà di Ron, il signor Weasley… è stato aggredito da un serpente gigantesco».

Le sue parole parvero echeggiare nell’aria, e suonarono vagamente ridicole, perfino comiche. Ci fu una pausa durante la quale Silente si appoggiò allo schienale e fissò pensieroso il soffitto. Pallido e spaventato, Ron guardava da Harry a Silente.

«Come lo hai visto?» chiese Silente piano, ancora senza guardare Harry.

«Be’… non lo so» rispose Harry, nervoso… ma che cosa importava? «Nella mia testa, credo…»

«Mi hai frainteso» disse Silente, calmo. «Voglio dire… ricordi… ehm… da quale posizione hai osservato l’attacco? Eri vicino alla vittima, o guardavi la scena dall’alto?»

Era una domanda così curiosa che Harry fissò Silente a bocca aperta: sembrava che lui già sapesse…

«Il serpente ero io» disse. «Ho visto tutto dal punto di vista del serpente».

Per un momento nessuno parlò, poi Silente, guardando Ron che era ancora bianco come il latte, domandò con voce diversa, più tagliente: «Arthur è ferito in modo grave?»

«Sì» rispose Harry con enfasi. Perché erano tutti così lenti a capire? Non si rendevano conto di quanto sanguina una persona quando viene morsa al fianco da zanne così lunghe? E come mai Silente non si degnava nemmeno di guardarlo?

Ma Silente si alzò così in fretta che Harry trasalì, e si rivolse a uno dei vecchi ritratti appeso quasi sotto il soffitto. «Everard» chiamò. «E anche tu, Dilys!»

Un mago dal viso olivastro con una frangetta nera e un’anziana strega con lunghi boccoli argentei nella cornice accanto, che parevano entrambi profondamente assopiti, aprirono gli occhi all’istante.

«Stavate ascoltando?» chiese Silente.

Il mago annuì; la strega rispose: «Si capisce».

«L’uomo ha i capelli rossi e gli occhiali» disse Silente. «Everard, dovrai dare l’allarme e accertarti che lo trovino le persone giuste…»

Entrambi assentirono e uscirono di lato dalle cornici, ma invece di riapparire nei quadri vicini (come succedeva di solito a Hogwarts) non si videro più. Una cornice conteneva ormai soltanto lo sfondo di un tendaggio nero, l’altra una bella poltrona di cuoio. Harry notò che molti altri Presidi sulle pareti, pur russando e sbavando in maniera molto convincente, continuavano a sbirciarlo da sotto le ciglia, e capì chi stava parlando quando avevano bussato.

«Everard e Dilys sono stati due dei più celebrati Presidi di Hogwarts» spiegò Silente, aggirando Harry, Ron e la McGranitt per avvicinarsi al magnifico uccello che dormiva sul trespolo.

«La loro fama è tale che entrambi hanno i ritratti appesi in altre importanti istituzioni magiche. E poiché sono liberi di muoversi fra i loro ritratti, potranno dirci che cosa accade altrove…»

«Ma il signor Weasley potrebbe essere ovunque!» esclamò Harry.

«Per favore, sedetevi tutti e tre» disse Silente, come se Harry non avesse parlato. «Everard e Dilys forse ci metteranno un po’. Professoressa McGranitt, vuole procurarci altre sedie?»

La McGranitt estrasse la bacchetta dalla tasca della vestaglia e la agitò; tre sedie comparvero dal nulla, di legno e con lo schienale diritto, piuttosto diverse dalla comoda poltrona di chintz che Silente aveva evocato durante l’udienza di Harry. Harry si sedette, e voltando il capo osservò il Preside sfiorare con un dito la cresta dorata di Fanny. La fenice si svegliò subito, raddrizzò la bella testa e guardò Silente con i lucidi occhi scuri.

«Avremo bisogno» le disse lui molto piano, «di un segnale d’allarme».

Ci fu un lampo di fuoco, e la fenice sparì.

Silente andò a prendere uno dei fragili strumenti d’argento di cui Harry non aveva mai saputo la funzione, lo portò alla sua scrivania, sedette di nuovo di fronte a loro e lo toccò delicatamente con la punta della bacchetta.

Lo strumento si animò all’istante e cominciò a emettere tintinnii ritmici. Minuscoli sbuffi di fumo verde pallido uscirono dal piccolo tubo d’argento in cima. Silente li osservò con attenzione, aggrottando la fronte. Dopo qualche secondo, gli sbuffi divennero una striscia costante di fumo che si addensò e salì a spirale nell’aria… all’estremità spuntò una testa di serpente, con le fauci aperte. Harry si chiese se lo strumento stesse confermando la sua storia: guardò impaziente il Preside, in attesa di un cenno che gli desse ragione, ma lui non alzò gli occhi.

«Sicuro, sicuro» mormorò invece, evidentemente a se stesso, sempre osservando la lingua di fumo senza la minima traccia di sorpresa. «Ma diviso nell’essenza?»

Harry non capì proprio nulla della domanda. La figura, invece, si divise all’istante in due serpenti: entrambi si attorcigliavano e oscillavano nell’aria. Con uno sguardo di cupa soddisfazione, Silente diede allo strumento un altro lieve colpetto con la bacchetta: il tintinnio rallentò e si spense, e le serpi di fumo si diradarono, divennero una nebbia informe e svanirono.

Silente ripose lo strumento sul suo tavolino con le gambe sottili. Harry vide che molti dei Presidi nei ritratti lo seguivano con lo sguardo, poi, appena si accorsero che Harry li stava osservando, finsero di nuovo di dormire. Harry voleva chiedere a che cosa serviva quello strano strumento, ma prima che potesse farlo, si udì un grido dall’alto della parete alla loro destra; il mago di nome Everard era riapparso nel suo ritratto, un po’ ansante.

«Silente!»

«Allora?» chiese subito Silente.

«Ho urlato finché non è arrivato qualcuno di corsa» disse il mago, asciugandosi la fronte con la tenda alle sue spalle, «ho detto che avevo sentito qualcosa scendere le scale… non sapevano se credermi ma sono andati lo stesso a controllare… lo sai, non ci sono ritratti da cui guardare, laggiù. Comunque l’hanno portato su poco dopo. Non ha un bell’aspetto, è coperto di sangue, sono corso al ritratto di Elfrida Cragg per guardarlo meglio quando uscivano…»

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