Ma Kreacher non rispose.
«Ah, lasciamo perdere» mormorò Sirius, contando i presenti. «Allora, colazione per… sette… uova e pancetta, direi, tè e pane tostato…»
Harry corse ai fornelli ad aiutarlo. Non voleva intromettersi nella gioia dei Weasley e temeva il momento in cui Molly gli avrebbe chiesto di raccontare di nuovo la sua visione. Ma aveva appena preso i piatti dalla credenza quando la signora Weasley glieli tolse dalle mani e lo abbracciò.
«Non so che cosa sarebbe successo se non fosse stato per te, Harry» disse con voce velata. «Avrebbero potuto non trovarlo per ore, e allora sarebbe stato troppo tardi, ma grazie a te è vivo e Silente è riuscito a inventare una storia credibile per giustificare la presenza di Arthur lì, non sai in che guaio si sarebbe trovato altrimenti, guarda il povero Sturgis…»
Harry riusciva a stento a sopportare la sua riconoscenza, ma per fortuna lei lo lasciò andare subito per ringraziare Sirius di essersi occupato dei suoi figli durante la notte. Sirius disse che era stato un piacere, e che sperava che sarebbero rimasti tutti da lui mentre il signor Weasley era all’ospedale.
«Oh, Sirius, ti sono così grata… dicono che ci vorrà un po’, e sarebbe magnifico stare più vicini… naturalmente significa che forse saremo qui per Natale».
«Più siamo, meglio è!» esclamò Sirius con una sincerità così palese che la signora Weasley lo guardò raggiante, si mise un grembiule e cominciò a dare una mano con la colazione.
«Sirius» mormorò Harry, che non poteva sopportare oltre quella scena. «Ti posso parlare un momento… adesso ?»
Entrò nella dispensa e Sirius lo seguì. Senza preamboli, Harry gli raccontò ogni dettaglio della sua visione, compreso il fatto che il serpente che aveva attaccato il signor Weasley era proprio lui.
Quando si fermò per riprendere fiato, Sirius gli chiese: «L’hai raccontato a Silente?»
«Sì» rispose Harry con impazienza, «ma non mi ha spiegato che cosa vuol dire. Ormai non mi dice più niente».
«Sono sicuro che se ci fosse stato motivo di preoccuparsi te l’avrebbe detto» ribatté Sirius deciso.
«Ma non è tutto» proseguì Harry, la voce appena più forte di un bisbiglio. «Sirius, io… io sto impazzendo, credo. Nell’ufficio di Silente, prima di prendere la Passaporta… per un paio di secondi ho pensato di essere un serpente, mi sentivo un serpente… la cicatrice mi faceva male quando guardavo Silente… Sirius, io volevo aggredirlo!»
Riusciva a vedere solo una parte del viso del padrino; il resto era immerso nell’oscurità.
«Dev’essere stata una conseguenza della visione» tentò Sirius. «Stavi ancora pensando al sogno, o quello che era, e…»
«No» disse Harry scuotendo la testa, «era come se qualcosa montasse dentro di me, come se ci fosse un serpente dentro di me».
«Hai bisogno di dormire» concluse Sirius deciso. «Ora fai colazione e poi vai di sopra a letto; dopo pranzo potrai andare a trovare Arthur con gli altri. Sei sotto shock, Harry: ti stai accusando di qualcosa che hai solo visto, e meno male che l’hai visto, se no Arthur poteva morire. Smettila di preoccuparti».
Gli batté una mano sulla spalla e uscì dalla dispensa, lasciandolo solo nell’oscurità.
* * *
Tutti passarono la mattinata dormendo, tranne Harry. Salì nella stanza che lui e Ron avevano condiviso nelle ultime settimane dell’estate. Ron si addormentò nel giro di pochi minuti, mentre Harry si sedette sul letto vestito, appoggiandosi alle sbarre di metallo della testata, in una posizione volutamente scomoda, deciso a non addormentarsi per paura di tornare a essere il serpente e scoprire, al risveglio, di aver attaccato Ron o di essere strisciato per la casa a caccia di uno degli altri…
Quando Ron si svegliò, Harry finse di essersi goduto anche lui un sonno ristoratore. I loro bauli arrivarono da Hogwarts durante il pranzo, così poterono vestirsi da Babbani per andare al San Mungo. Tutti tranne Harry erano chiassosamente felici e ciarlieri mentre scambiavano le vesti con jeans e felpe. Quando Tonks e Malocchio arrivarono per scortarli attraverso Londra, li salutarono con calore: risero di cuore alla vista della bombetta che Malocchio portava sulle ventitré per nascondere l’occhio magico e gli assicurarono che Tonks, nonostante i capelli rosa acceso e di nuovo corti, avrebbe attirato l’attenzione molto meno di lui in metropolitana.
Tonks era assai interessata alla visione di Harry, ma lui non aveva la minima intenzione di parlarne.
«Non c’è sangue Veggente nella tua famiglia, vero?» gli chiese curiosa mentre sedevano fianco a fianco su un treno che sferragliava verso il centro della città.
«No» rispose Harry, pensando alla professoressa Cooman e sentendosi insultato.
«No» ripeté pensierosa Tonks, «no, immagino che non sia una vera profezia, la tua, giusto? Insomma, tu non vedi il futuro, vedi il presente… bizzarro. Utile, però…»
Harry non rispose; per fortuna scesero alla fermata dopo, una stazione nel cuore di Londra, e nel trambusto della discesa lasciò che Fred e George si mettessero tra lui e Tonks, che guidava il gruppo. Tutti la seguirono sulla scala mobile; Moody chiudeva la fila zoppicando, con il cappello di traverso e una mano nodosa infilata tra i bottoni della giacca, stretta intorno alla bacchetta. Harry credette di avvertire l’occhio nascosto che lo fissava. Per evitare altre domande sul suo sogno, chiese a Malocchio dov’era nascosto il San Mungo.
«Non lontano» grugnì Moody quando uscirono nell’aria invernale in un’ampia via piena di negozi, affollata di gente che faceva le compere di Natale. Spinse Harry davanti a sé e lo seguì da vicino; Harry sapeva che l’occhio roteava in tutte le direzioni sotto la bombetta storta. «Non è stato facile trovare un buon posto per un ospedale. A Diagon Alley non c’era nulla di abbastanza grande e non potevamo metterlo sottoterra come il Ministero, non sarebbe stato salubre. Alla fine sono riusciti a trovare un edificio qui. Così i maghi malati possono fare avanti e indietro confondendosi tra la folla».
Afferrò la spalla di Harry per evitare di esserne separato da un nugolo di gente decisa a infilarsi in un negozio pieno di aggeggi elettrici.
«Eccoci» disse Moody un attimo più tardi.
Erano arrivati davanti a un vecchio grande magazzino, di mattoni rossi, chiamato Purge Dowse Ltd. Il luogo aveva un’aria trascurata e misera; nelle vetrine c’erano solo alcuni manichini scheggiati con le parrucche di traverso, disposti a caso, vestiti alla moda di dieci anni prima. Enormi cartelli sulle porte polverose dicevano Chiuso per ristrutturazione. Harry udì distintamente una grossa signora carica di pacchetti dire alla sua amica mentre passavano: «Non è mai aperto, quel posto…»
«Bene» disse Tonks, facendo cenno agli altri di avvicinarsi a una vetrina con un solo manichino particolarmente brutto. Le ciglia finte erano quasi staccate e portava un grembiulino di nylon verde. «Tutti pronti?»
Gli altri annuirono e si accalcarono attorno a lei. Moody diede a Harry un’altra spinta fra le scapole per farlo avanzare e Tonks accostò il viso alla vetrina, guardando il manichino bruttissimo, mentre il suo respiro appannava il vetro. «Salve» disse, «vorremmo vedere Arthur Weasley».
Harry pensò che Tonks non poteva farsi sentire dal manichino se parlava a voce così bassa attraverso un vetro, con gli autobus che passavano e il frastuono della strada. Poi gli venne in mente che i manichini non sentivano comunque. Un secondo dopo spalancò la bocca sbalordito vedendo che il manichino annuiva appena e faceva cenno di avvicinarsi con il dito snodato; Tonks prese Ginny e la signora Weasley per i gomiti, entrò nella vetrina e svanì.
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