«Be’» fece Harry riflettendoci. «È più grande… è un giocatore di Quidditch di fama internazionale…»
«Sì, ma a parte quello» replicò Ron, irritato. «Voglio dire, è un idiota musone, no?»
«Un po’ musone lo è» concesse Harry, che stava ancora pensando a Cho.
Si spogliarono e si misero i pigiami in silenzio; Dean, Seamus e Neville erano già addormentati. Harry posò gli occhiali sul comodino e s’infilò nel letto, ma non chiuse le tende; rimase a guardare la striscia di cielo stellato visibile dalla finestra vicina al letto di Neville. Se ieri notte a quell’ora avesse saputo che entro ventiquattr’ore avrebbe baciato Cho Chang…
«’Notte» grugnì Ron da un punto imprecisato alla sua destra.
«’Notte» rispose Harry.
Forse la prossima volta… se ci fosse stata una prossima volta… lei sarebbe stata più felice. Doveva invitarla fuori; lei se l’era aspettato e magari era arrabbiata con lui… oppure era a letto, e piangeva ancora per Cedric? Non sapeva cosa pensare. La spiegazione di Hermione faceva sembrare tutto molto più difficile.
Ecco che cosa dovrebbero insegnarci qui, pensò, voltandosi di fianco, come funziona la testa delle ragazze… sarebbe molto più utile di Divinazione, se non altro…
Neville respirava rumorosamente. Un gufo tubò nel buio.
Harry sognò di essere di nuovo nella stanza dell’ES. Cho lo stava accusando di averla attirata con l’inganno; diceva che le aveva promesso centocinquanta figurine delle Cioccorane se fosse venuta. Harry protestava… Cho gridava: « Cedric mi dava montagne di figurine delle Cioccorane, guarda! » Tivara fuori dal mantello manciate di figurine e le scagliava in aria. Poi si trasformava in Hermione, che diceva: « Gliel’hai promesso, Harry… io credo che faresti meglio a darle qualcos’altro… che ne dici della tua Firebolt? » e Harry ribatteva che non poteva dare a Cho la sua Firebolt perché ce l’aveva la Umbridge, e comunque tutta quella faccenda era ridicola, era andato nella stanza dell’ES solo per appendere delle decorazioni natalizie a forma di testa di Dobby…
Il sogno cambiò…
Il suo corpo era liscio, forte e flessuoso. Scivolava tra lucenti sbarre metalliche sulla pietra scura e fredda… era appiattito sul pavimento, e strisciava sul ventre… era buio, eppure riusciva a vedere gli oggetti intorno a lui che scintillavano di colori strani e intensi… voltava la testa… a prima vista il corridoio era deserto… invece no… un uomo era seduto sul pavimento davanti a lui, il mento chino sul petto, la sagoma che brillava nel buio…
Harry tirò fuori la lingua… assaporò l’odore dell’uomo nell’aria… era vivo, ma addormentato… seduto davanti a una porta in fondo al corridoio…
Harry voleva morderlo… dominò l’impulso… aveva cose più importanti da fare…
Ma l’uomo si stava svegliando… un mantello argenteo gli cadde dalle ginocchia mentre balzava in piedi e Harry vide la sua sagoma tremula e sfocata ergersi su di lui, vide che si sfilava la bacchetta dalla cintura… non aveva scelta… si levò dal pavimento e colpì una, due, tre volte, affondando le zanne nella carne dell’uomo, sentendo le costole che si scheggiavano tra le sue fauci, il caldo fiotto di sangue…
L’uomo urlava di dolore… poi tacque… ricadde all’indietro contro la parete… il sangue schizzava sul pavimento…
La fronte gli faceva male da morire… sembrava che stesse per scoppiare…
«Harry! HARRY!»
Aprì gli occhi. Ogni centimetro del suo corpo era coperto di sudore gelido; le coperte lo avvolgevano come una camicia di forza; gli sembrava di avere un attizzatoio rovente sulla fronte…
« Harry! »
Ron era chino su di lui, molto spaventato. C’erano altre sagome ai piedi del letto. Harry si prese la testa fra le mani; il dolore era lancinante… si voltò su un fianco e vomitò oltre l’orlo del materasso.
«Sta male» disse una voce atterrita. «Chiamiamo qualcuno?»
«Harry! Harry! »
Doveva dirlo a Ron, era molto importante che gli dicesse… inspirando a forza, Harry si alzò a sedere, cercando di non vomitare di nuovo, con un dolore quasi accecante.
«Tuo padre» ansimò. «Tuo padre… è stato attaccato…»
«Cosa?» chiese Ron senza capire.
«Tuo padre! È stato morso, è grave, c’era sangue dappertutto…»
«Vado a chiedere aiuto» disse la stessa voce spaventata, e Harry sentì dei passi correre fuori dal dormitorio.
«Harry, tu…» balbettò Ron incerto «…stavi solo sognando…»
«No!» urlò Harry furioso; era essenziale che Ron capisse. «Non era un sogno… un sogno normale… io ero lì, l’ho visto… sono stato io…»
Sentiva mormorare Seamus e Dean, ma non ci badò. Il dolore alla fronte gli era un po’ calato, ma sudava e tremava ancora, febbricitante. Ebbe un altro conato e Ron fece un balzo indietro.
«Harry, tu stai male» esclamò con voce spezzata. «Neville è andato a chiamare aiuto».
«Io sto bene!» tossì Harry pulendosi la bocca sul pigiama, sempre scosso da brividi incontrollabili. «Io non ho niente, è di tuo padre che ti devi preoccupare… dobbiamo scoprire dov’è, sta sanguinando, io ero… era un serpente enorme».
Cercò di scendere dal letto, ma Ron lo respinse indietro; Dean e Seamus bisbigliavano ancora lì vicino. Harry non seppe dire se passò un minuto oppure dieci; rimase lì a tremare, con il dolore alla cicatrice che si affievoliva pian piano… poi si udirono passi affrettati su per le scale, e di nuovo la voce di Neville.
«Di qua, professoressa».
La professoressa McGranitt entrò di corsa nel dormitorio, avvolta nella sua vestaglia scozzese, gli occhiali un po’ storti sul naso ossuto.
«Che cosa c’è, Potter? Dove ti fa male?»
Non era mai stato così felice di vederla; era di un membro dell’Ordine della Fenice che aveva bisogno in quel momento, non di qualcuno che facesse un sacco di storie o prescrivesse inutili pozioni.
«È il papà di Ron» disse, tirandosi su. «È stato attaccato da un serpente ed è grave, io l’ho visto».
«Che cosa vuol dire, l’hai visto?» chiese la McGranitt, aggrottando le sopracciglia scure.
«Non lo so… dormivo e poi ero lì…»
«Vuoi dire che l’hai sognato?»
«No!» rispose Harry furioso; possibile che nessuno capisse? «Prima stavo facendo un sogno completamente diverso, una cosa stupida… e poi questo l’ha interrotto. Era vero, non l’ho immaginato. Il signor Weasley dormiva sul pavimento ed è stato attaccato da un serpente gigantesco, c’era un sacco di sangue, lui è svenuto, qualcuno deve scoprire dov’è…»
La McGranitt lo guardava attraverso le lenti storte come se ciò che vedeva la terrorizzasse.
«Non sto mentendo e non sono matto!» la supplicò Harry, quasi urlando. «Gliel’ho detto, io l’ho visto!»
«Ti credo, Potter» rispose brusca la professoressa McGranitt. «Mettiti la vestaglia, andiamo dal Preside».
CAPITOLO 22
L’OSPEDALE SAN MUNGO PER MALATTIE E FERITE MAGICHE
Harry era così sollevato che la McGranitt lo prendesse sul serio che non esitò, balzò giù dal letto all’istante, si mise la vestaglia e inforcò gli occhiali.
«Weasley, e meglio che venga anche tu» disse la McGranitt.
La seguirono, superando le figure silenziose di Neville, Dean e Seamus, fuori dal dormitorio e giù per le scale a chiocciola fino alla sala comune, oltre il ritratto della Signora Grassa e lungo il corridoio illuminato dalla luna. Harry sentiva che il panico poteva traboccare da un momento all’altro; voleva correre, chiamare Silente; il signor Weasley sanguinava mentre loro camminavano così tranquilli; e se quelle zanne (Harry cercò in tutti i modi di non pensare “le mie zanne”) fossero state velenose? Incrociarono Mrs Purr, che li guardò con gli occhi simili a lampadine soffiando leggermente, ma la McGranitt disse «Sciò!» e la gatta scivolò via nell’ombra. Dopo pochi minuti giunsero al gargoyle di pietra a guardia dell’ufficio di Silente.
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