Funzionò. L’Incantesimo di Disarmo costrinse il ragno a lasciarlo andare, ma con questo Harry cadde da un’altezza di quasi quattro metri sulla gamba già ferita, che si piegò sotto il suo peso. Senza fermarsi a riflettere, mirò dritto all’addome del ragno, come aveva fatto con lo Schiopodo, e urlò « Stupeficium! » contemporaneamente a Cedric.
I due incantesimi insieme riuscirono dove uno solo aveva fallito: il ragno si rovesciò su un fianco, schiacciando una siepe e invadendo il sentiero con un groviglio di zampe pelose.
«Harry!» gridò Cedric. «Tutto bene? Ti è caduto addosso?»
«No» rispose Harry, ansimando. Si guardò la gamba: sanguinava parecchio. Vide una sorta di spessa sostanza collosa emessa dalle tenaglie del ragno sulla veste strappata. Cercò di alzarsi, ma la gamba gli tremava violentemente e non riusciva a sostenere il suo peso. Si appoggiò alla siepe, cercando di prendere fiato, e si guardò intorno.
Cedric era a pochi metri dalla Coppa Tremaghi, che brillava alle sue spalle.
«Prendila, dai» ansimò Harry. «Avanti, prendila. Ormai ci sei».
Ma Cedric non si mosse. Rimase lì a guardare Harry. Poi si voltò verso la Coppa: nel riverbero dorato, Harry lo vide contemplare il trofeo con un’espressione di intenso desiderio. Cedric tornò a guardare Harry, che si era aggrappato alla siepe per rimanere in piedi e sospirò profondamente.
«Prendila tu. Tu devi vincere. È la seconda volta che mi salvi la vita qui dentro».
«Non è così che funziona» rispose Harry. Era arrabbiato; la gamba gli faceva un male tremendo, aveva tutto il corpo dolorante a causa della lotta con il ragno, e dopo tutti i suoi sforzi, Cedric l’aveva battuto, proprio come l’aveva battuto nell’invitare Cho al ballo. «Il primo che raggiunge la Coppa prende i punti. E quello sei tu. Ti assicuro che con questa gamba non vincerò nessuna corsa».
Cedric fece qualche passo verso il ragno, allontanandosi dalla Coppa, e scosse la testa.
«No» disse.
«Smettila di essere nobile» disse Harry irritato. «Prendila e basta, così possiamo uscire di qui».
Cedric osservò Harry raddrizzarsi, tenendosi stretto alla siepe.
«Tu mi hai detto dei draghi» disse Cedric. «Sarei crollato alla prima prova se non mi avessi detto che cosa mi aspettava».
«Anch’io sono stato aiutato, allora» sbottò Harry, cercando di asciugarsi con la veste la gamba insanguinata. «Tu mi hai aiutato con l’uovo… siamo pari».
«Sì, ma qualcuno mi aveva già detto dell’uovo» disse Cedric.
«Siamo sempre pari» insisté Harry, provando con cautela ad appoggiare la gamba ma la sentì tremare violentemente: quando il ragno lo aveva lasciato cadere si era storto la caviglia.
«Tu avresti dovuto prendere più punti per la seconda prova» disse Cedric ostinato. «Sei rimasto indietro per salvare tutti gli ostaggi. Avrei dovuto farlo io».
«Io sono stato l’unico a essere così stupido da prendere sul serio quella canzone!» esclamò Harry amaramente. «Avanti, prendi la Coppa!»
«No» disse Cedric.
Scavalcò le zampe aggrovigliate del ragno per avvicinarsi a Harry, che lo guardò stupito. Cedric diceva sul serio. Stava voltando le spalle a quella gloria che la casa di Tassorosso non conosceva da secoli.
«Vai tu» disse. Sembrava che ciò gli stesse costando fino all’ultima goccia di determinazione, ma aveva il volto risoluto, le braccia incrociate, e sembrava deciso.
Harry spostò lo sguardo da Cedric alla Coppa. Per un luminoso istante, si vide uscire dal labirinto reggendola tra le braccia. Si vide levare in alto la Coppa Tremaghi, udì il ruggito della folla, vide il viso di Cho radioso di ammirazione, più nitido di quanto non l’avesse mai visto… e poi l’immagine sbiadì, e si ritrovò a fissare l’ostinato volto in ombra di Cedric.
«Tutti e due» disse Harry.
«Come?»
«La prenderemo nello stesso istante. È sempre una vittoria di Hogwarts. Finiremo alla pari».
Cedric lo guardò stupefatto. Allargò le braccia. «Sei… sei sicuro?»
«Sì» rispose Harry. «Sì… ci siamo dati una mano a uscirne, no? Siamo arrivati fin qui tutti e due. Prendiamola insieme, e basta».
Per un attimo, Cedric parve non credere alle sue orecchie; poi sorrise, raggiante.
«Va bene» disse. «Dai, vieni».
Sostenne Harry e lo aiutò ad avvicinarsi zoppicando al piedistallo che reggeva la Coppa. Quando l’ebbero raggiunto, tesero una mano ognuno verso i manici scintillanti.
«Al tre, d’accordo?» disse Harry. «Uno… due… tre…»
Afferrarono i manici della Coppa.
Immediatamente Harry avvertì uno strappo in un punto imprecisato dietro l’ombelico. I suoi piedi si erano staccati da terra. Non riuscì ad aprire la mano che stringeva la Coppa Tremaghi; il trofeo lo trascinava in alto, in un ululato di vento e in un vortice di colori, con Cedric al suo fianco.
CAPITOLO 32
CARNE, SANGUE E OSSA
Harry sentì i piedi urtare il suolo; la gamba ferita cedette e lui cadde in avanti; la mano lasciò finalmente andare la Coppa Tremaghi. Alzò la testa.
«Dove siamo?» disse.
Cedric scosse la testa. Si tirò su, aiutò Harry ad alzarsi, e si guardarono intorno.
Quel luogo non faceva assolutamente parte del territorio di Hogwarts; era chiaro che avevano viaggiato per chilometri — forse centinaia di chilometri — perché anche le montagne che circondavano il castello erano sparite. Si trovavano in un cimitero buio e abbandonato; il profilo nero di una chiesetta era riconoscibile oltre un grande tasso alla loro destra. Alla loro sinistra s’innalzava una collina, sul cui versante Harry riuscì a distinguere la sagoma di una bella dimora antica.
Cedric guardò la Coppa Tremaghi, poi alzò gli occhi verso Harry.
«A te qualcuno aveva detto che la Coppa era una Passaporta?» chiese.
«No» disse Harry. Stava osservando il cimitero. Era immerso nel silenzio, e vagamente inquietante. «Questo dovrebbe far parte della prova?»
«Non lo so» rispose Cedric. Il suo tono di voce era teso. «Fuori le bacchette, che ne dici?»
«Sì» disse Harry, lieto che a suggerirlo fosse stato Cedric.
Estrassero le bacchette; Harry continuava a guardarsi intorno. Aveva di nuovo la strana sensazione di essere osservato.
«Arriva qualcuno» disse all’improvviso.
Aguzzando gli occhi nell’oscurità, videro una sagoma avanzare decisa tra le tombe, verso di loro. Harry non riuscì a distinguerne il viso; ma da come camminava e teneva le braccia, capì che stava trasportando qualcosa. Chiunque fosse, era basso, e indossava un mantello con il cappuccio abbassato per nascondere il volto. E man mano che la distanza tra loro si riduceva, vide che la cosa tra le braccia della persona sembrava un neonato… o era solo un fagotto di abiti?
Harry abbassò appena la bacchetta e gettò un’occhiata obliqua a Cedric. Cedric gli rispose con uno sguardo interrogativo. Entrambi tornarono a studiare la sagoma che si avvicinava.
Si fermò accanto a un’alta lapide di marmo, a un paio di metri di distanza. Per un attimo, tutti e tre si limitarono a guardarsi.
E poi, senza preavviso, la cicatrice di Harry esplose di dolore. Era un male che non aveva mai provato prima; la bacchetta gli cadde dalle dita mentre si portava le mani sul viso; le ginocchia cedettero; cadde a terra accecato dal dolore, la testa stava per spaccarglisi in due.
Da molto lontano sopra di lui, una voce fredda e acuta disse: « Uccidi l’altro » .
Un sibilo, e una seconda voce urlò le parole nella notte: « Avada Kedavra! »
Un lampo di luce verde saettò attraverso le palpebre di Harry, e sentì qualcosa di pesante cadere a terra accanto a lui; il dolore alla cicatrice raggiunse un tale picco che fu preso da un conato di vomito, e poi diminuì; terrorizzato all’idea di ciò che stava per vedere, apri gli occhi che gli bruciavano.
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