La stanza in cima alla casa dove dormiva Ron aveva quasi lo stesso aspetto dell’ultima volta che Harry era stato ospite da loro; la squadra di Quidditch preferita di Ron, i Magnifici Sette, sfrecciavano e salutavano dai poster sulle pareti e sul soffitto spiovente, e l’acquario sul davanzale che prima conteneva uova di rana ora ospitava una rana estremamente grossa. Il vecchio topo di Ron, Crosta, non c’era più, ma in compenso c’era il gufetto grigio che aveva recapitato la lettera di Ron a Harry a Privet Drive. Stava saltando su e giù in una gabbietta, e cantava come un pazzo.
«Sta’ zitto, Leo» disse Ron, infilandosi tra due dei quattro letti che erano stati fatti entrare a forza nella stanza. «Fred e George dormono con noi perché nella loro stanza ci sono Bill e Charlie». disse a Harry. «Percy riesce a tenersi la camera tutta per sé perché deve lavorare ».
«Ehm… perché quel gufo lo chiami Leo?» chiese Harry a Ron.
«Ron è uno stupido» disse Ginny. «Il suo vero nome è Leotordo».
«Sì, e questo non è un nome stupido, vero?» disse Ron sarcastico. «Gliel’ha dato Ginny» spiegò a Harry. «Secondo lei è simpatico. E io ho cercato di cambiarglielo, ma era troppo tardi, ormai non risponde se lo chiamo in un altro modo. Così adesso è Leo. Devo tenerlo quassù perché dà fastidio a Errol e a Hermes. Dà fastidio anche a me, se è per quello».
Leo sfrecciò nella gabbia, tubando in tono acutissimo. Harry conosceva Ron troppo bene per prenderlo sul serio. Si era lamentato continuamente del suo vecchio topo Crosta, ma era rimasto sconvolto quando sembrò che il gatto di Hermione, lo avesse divorato.
«Dov’è Grattastinchi?» chiese Harry a Hennione.
«In giardino, credo» rispose lei. «Gli piace rincorrere gli gnomi, non ne aveva mai visti prima d’ora».
«Allora a Percy piace il suo lavoro?» chiese Harry, sedendosi su uno dei letti e guardando i Magnifici Sette sfrecciare dentro e fuori dai poster sul soffitto.
«Se gli piace?» disse Ron cupo. «Credo che non verrebbe nemmeno a casa se papà non lo costringesse. È maniacale. Mi raccomando, non chiedergli del suo capo. Secondo il signor Crouch… come ho detto al signor Crouch… il signor Crouch è del parere che… il signor Crouch mi diceva… Si fidanzeranno da un momento all’altro».
«Com’è andata l’estate, Harry?» chiese Hermione. «Hai ricevuto i nostri pacchi con i dolci e il resto?»
«Sì, grazie mille» disse Harry. «Mi hanno salvato la vita, quelle torte».
«E hai notizie di…?» cominciò Ron, ma uno sguardo di Hermione lo zittì. Harry sapeva che Ron stava per chiedere di Sirius: Ron e Hermione lo avevano aiutato a sfuggire al Ministero della Magia, ed erano preoccupati per lui quasi quanto Harry; ma parlarne davanti a Ginny era comunque una pessima idea. Nessuno, a parte loro e il professor Silente, sapeva come era fuggito Sirius, o credeva nella sua innocenza.
«Credo che abbiano smesso di litigare» disse Hermione per far passare quel momento di imbarazzo, visto che Ginny guardava incuriosita da Ron a Harry. «E se scendessimo ad aiutare tua madre per la cena?»
«Sì, va bene» disse Ron. Scesero tutti in cucina, dove trovarono la signora Weasley, sola e molto arrabbiata.
«Ceneremo in giardino» disse quando entrarono. «Non c’è posto per undici persone qui dentro. Potete portare fuori i piatti, ragazze? Bill e Charlie stanno preparando la tavola. Coltelli e forchette, per favore, voi due» disse a Ron e Harry, puntando la bacchetta magica con tale veemenza verso un mucchio di patate nel lavandino, che quelle schizzarono fuori dalle bucce come bolidi, rimbalzando sui muri e sul soffitto.
«Oh, per l’amor del cielo» sbottò, puntando la bacchetta verso una padella che balzò sul pavimento, raccogliendo le patate. «Quei due!» esplose irritata, estraendo pentole e pentoline da una credenza, e Harry capì che parlava di Fred e George. «Non so come andranno a finire, non lo so proprio. Non hanno nessuna ambizione, a parte combinare tutti i guai che possono…»
Sbatté una grande padella di rame sul tavolo della cucina e cominciò a girarvi dentro la bacchetta. Una salsa cremosa uscì dalla punta mentre lei mescolava.
«Non è che non abbiano cervello» riprese seccata, mettendo la padella sul fornello e accendendolo con un altro colpo di bacchetta, «ma lo sprecano, e se non si rimettono in riga in fretta, finiranno nei guai, guai seri. Ho ricevuto più gufi da Hogwarts per loro che per tutti gli altri messi insieme. Se continuano così, finiranno davanti all’Ufficio per l’Uso Improprio della Magia».
La signora Weasley puntò la bacchetta verso il cassetto delle posate, che si aprì di scatto. Harry e Ron si ritrassero rapidi mentre parecchi coltelli ne uscivano a schiera, attraversavano la cucina a volo radente e cominciavano ad affettare le patate, che la pentola aveva appena riversato nel lavandino.
«Non so dove abbiamo sbagliato con loro» disse la signora Weasley, posando la bacchetta e cominciando a tirar fuori altre padelle. «Da anni è sempre la stessa storia, una cosa dopo l’altra, e non ascoltano… OH, NON DI NUOVO!»
La bacchetta aveva emesso uno squittio acuto e si era trasformata in un topone di gomma.
«Un’altra delle loro bacchette finte!» gridò. «Quante volte ho detto a quei due di non lasciarle in giro?»
Afferrò la bacchetta vera e si voltò per scoprire che la salsa sul fornello fumava.
«Dai» disse Ron in fretta a Harry, prendendo una manciata di posate dal cassetto aperto, «andiamo ad aiutare Bill e Charlie».
Lasciarono la signora Weasley e uscirono nel cortile dalla porta sul retro.
Avevano fatto solo pochi passi quando Grattastinchi, il gatto di Hermione, fulvo e dalle zampe alquanto storte, scattò fuori dal giardino, la coda a scovolo ritta in aria, inseguendo quella che sembrava una patata fangosa con le gambe. Harry riconobbe uno gnomo: alto a stento venticinque centimetri, aveva piedini callosi che scalpicciavano rapidissimi mentre sfrecciava attraverso il cortile e si tuffava di testa in uno degli stivali di gomma sparpagliati attorno alla porta. Harry udì lo gnomo ridacchiare come un pazzo mentre Grattastinchi infilava una zampa nello stivale, tentando di afferrarlo. Contemporaneamente, dal giardino sul lato opposto della casa si levò un fracasso tremendo: Bill e Charlie, con le bacchette sguainate, avevano incominciato un duello tra due vecchi tavoli che fluttuavano a mezz’aria, facendoli cozzare uno contro l’altro nel tentativo di abbattersi a vicenda. Fred e George facevano il tifo; Ginny rideva e Hermione guardava in disparte, incerta se divertirsi o preoccuparsi.
Il tavolo di Bill urtò quello di Charlie con un gran tonfo e gli strappò una gamba. Giunsero altri rumori dall’alto; tutti guardarono in su e videro la testa di Percy spuntare da una finestra del secondo piano.
«Volete darvi una calmata?» ululò.
«Scusa, Perce» disse Bill con un gran sorriso. «Come vanno i tuoi fondi di calderone?»
«Molto male» disse Percy stizzito, e sbatté la finestra. Ridacchiando, Bill e Charlie fecero atterrare i tavoli al sicuro sull’erba, uno vicino all’altro; poi con un tocco di bacchetta, Bill riattaccò la gamba mancante e fece apparire le tovaglie dal nulla.
Alle sette i due tavoli erano carichi di piatti dell’eccellente cucina della signora Weasley, e tutta la famiglia, più Harry e Hermione si sedettero a cena sotto un cielo blu intenso e trasparente. Per uno che era vissuto tutta l’estate mangiando torta sempre più stantia, quello era il paradiso, e all’inizio Harry ascoltò più che parlare, servendosi di pasticcio di pollo e prosciutto, patate bollite e insalata.
All’estremità del tavolo, Percy stava raccontando a suo padre nei dettagli la relazione sui fondi di calderone.
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