Tim Powers - Mari stregati

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Una fantasy orrorifica con i pirati, uno spadaccino voodoo? Chi potrebbe mai mescolare il mondo del pirata Barbanera con la magia nera se non Timothy Powers, il creatore di Le Porte di Anubis, l’autore più originale e geniale prodotto dal mondo fantascientifico e fantastico negli ultimi decenni. Lo scenario di questo eccezionale romanzo è il Mar dei Caraibi del 1718, periodo di grandi cambiamenti per i pirati, un tempo strumento dell’Impero Britannico, libera forza mercenaria che non riveste più nessuno scopo strategico per gli inglesi. È su questo scenario in evoluzione che compare il giovane John Chandagnac, ex burattinaio orfano alla ricerca di vendetta su uno zio malvagio. Ciurme di Zombie, magia nera, riti voodoo, giungle infestate da spettri: fra mille pericoli il protagonista inizierà una sorta di viaggio iniziatico che lo porterà in un luogo ignoto al di là del tempo e dello spazio, in un luogo mitico e terribile dove si cela la vagheggiata fonte della vita eterna. Partito per vendicarsi di un torto subito, Chandagnac andrà incontro al suo destino e troverà a sbarrargli la strada nientemeno che… il pirata Barbanera!

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Le due iarde quadrate di vele rimaste catturarono il vento abbastanza da spingere indietro la poppa, ma Shandy sapeva che non avrebbero potuto resistere a lungo. Diversi altri uomini erano strisciati sul ponte per dare una mano, tuttavia, e Shandy ricadde sulla battagliola e lasciò loro il suo posto: lo stomaco gli si era annodato, per la tensione o per qualcosa di rancido che aveva mangiato, e sperò di non essere costretto a svolgere per un po’ di tempo qualche dura incombenza.

Tutt’a un tratto divenne consapevole di un peso sulla sua giacca che tirava la parte posteriore del colletto contro la nuca, e guardò verso il basso… e si allontanò dalla battagliola, perché serrate strettamente sul davanti della giacca — e provenienti Dio sapeva da dove — c’erano quelle che sembravano essere due anguille grigie dalle teste bitorzolute. Fu solo quando ne afferrò una per strapparla via che comprese che si trattava di due braccia umane in avanzato stato di decomposizione, recise ai gomiti, con le dita che artigliavano il tessuto della sua giacca.

Una parte della sua mente si limitò a gemere per l’orrore della cosa, ma dopo il primo congelato momento di shock gli venne in mente che quella era la stessa giacca che aveva indossato il giorno in cui Hurwood sottrasse il Carmichael a Leo Friend… e quel giorno uno dei morti della ciurma di Friend si era appeso alla giacca dopo essere rotolato sopra la battagliola, ed era caduto in mare solo perché le sue braccia si erano staccate dai gomiti. Le braccia attaccate a lui erano parse scomparire poco dopo, ma apparentemente esse erano rimaste appese come spettri alla giacca fin da allora, come ragnatele di un soffitto che possono essere scorte solo con una certa luce.

Il dolore che s’intensificava nel suo stomaco lo fece ingobbire contro la murata, ma lui si costrinse a continuare a pensare. Ma allora, si chiese, qual è la luce che rende visibili queste macabre cose? Beh, ovviamente… una magia ostile, resa meno difficile per il fatto che non veniva eseguita sulla terra. Lo avresti capito anche per l’odore di ferro caldo, se non fosse stato per questo vento. Il dolore nel tuo stomaco è il dono di qualcuno.

L’acqua si sollevò sopra di lui quando la Jenny incontrò un’altra onda, e poi lui si raddrizzò contro il prepotente desiderio del suo corpo di raggomitolarsi — il sudore freddo sulla sua faccia faceva sembrare gli spruzzi ancora più caldi — allungò le mani e afferrò l’uomo più vicino, e lo tirò abbastanza vicino a sé da potergli gridare, «Dov’è,» ruggì Shandy, «Venner?»

L’uomo guardò a bocca aperta gli avambracci grigi che oscillavano dalla giacca del suo capitano, ma puntò un dito in avanti e poi verso il basso.

Shandy annuì e lo lasciò andare, e poi, un tormentato passo per volta, avanzò verso il boccaporto, aggrappandosi a ogni cosa che poteva raggiungere; un’improvvisa raffica di vento sulla cresta di un’onda gli fece perdere l’equilibrio, e lui percorse strisciando le ultime iarde, a pancia sotto, le braccia allargate che gli conferivano l’aspetto di un insetto. Con uno sforzo che parve strappargli tutti i muscoli addominali sollevò il portello del boccaporto e si rotolò e arrancò e capitombolò giù nella stiva dal basso soffitto.

C’era buio, ma lui sapeva dov’era la rastrelliera delle armi. Lasciò che il rollio successivo lo mandasse a cozzare contro di essa, e quindi afferrò un’elsa e tirò via una spada; era più leggera di una sciabola corta, ma sembrava essere della lunghezza giusta, lasciò che la sua mano si sistemasse comodamente intorno all’impugnatura. C’era un debole bagliore rosso verso prua, si curvò in quella direzione, coi macabri ornamenti del suo bavero che ondeggiavano violentemente.

Venner stava accovacciato davanti a un piccolo braciere, e sussurrava e lasciava cadere brandelli di stoffa sui carboni accesi.

Shandy allungò la spada e si tese in un doloroso allungo, ma la Jenny bruscamente oscillò in avanti sulla cresta di un’onda, e il suo allungo divenne una capriola: andò a sbattere pesantemente contro la figura tozza di Venner e tutti e due rotolarono nella pozza profonda e vorticante davanti alla paratia di prua. Anche al di sopra del loro ansimare e del cigolio delle assi sotto sforzo e dell’ululato del vento, Shandy udì il braciere sibilare per un istante quando si estinse; e anche mentre si trovava quasi a testa in giù nell’acqua fredda, nell’angolo in cui il ponte e la paratia s’incontravano, col gomito di Venner piantato nella schiena, sentì che il nodo doloroso nello stomaco improvvisamente si scioglieva e scompariva, e vide che le braccia del morto non gli strattonavano più la giacca.

La prua si abbatté su un ventre d’onda, e per diversi secondi i due uomini vennero schiacciati ancora di più contro la paratia — Shandy avvertì l’acqua che sprizzava dalle commessure del fasciame, come se il mare gli stesse sputando addosso attraverso denti di legno, e sentì il braciere ancora cocente che rotolava sulla sua gola, scottandogliela — e poi la corvetta s’inclinò ripidamente all’indietro mentre cominciava ad arrampicarsi sull’erta seguente.

Shandy e Venner e un bel mucchio d’acqua salata ruzzolarono verso poppa, e Shandy cercò di tenere la spada sollevata e puntata contro Venner. Per due volte sentì la punta penetrare in qualcosa più cedevole delle assi del ponte, e cercò di spingere, ma poiché stava scivolando bocconi sul ponte invaso dall’acqua non ricavò alcuna spinta. Una luce grigia proveniente dal boccaporto aperto proiettò per un secondo la sagoma del suo avversario, ma un momento dopo Venner si era arrampicato sulla scaletta del ponte.

Shandy balzò in piedi e lo inseguì, tenendo la spada — che, come in quel momento notò, era uno degli stocchi di riserva di Davies — fra sé e la luce per parare ogni possibile attacco di Venner. Ma quando raggiunse il ponte vide che Venner aveva proseguito la sua corsa e ora stava fronteggiandolo a dieci iarde di distanza, e puntava contro di lui una pistola che aveva strappato a qualcuno.

Shandy soffocò l’impulso istantaneo di rituffarsi nel boccaporto, poiché era il capitano, e anche in mezzo a quella tempesta la maggior parte degli uomini stava guardando a bocca aperta quella sfida… Un colpo di pistola a trenta piedi di distanza su un ponte bagnato e beccheggiante, investito da una fitta pioggia, probabilmente avrebbe fatto cilecca, e forse la pioggia si era già insinuata sotto il coperchio dello scodellino raggiungendo la polvere. Si pose, tuttavia, di profilo, guardando Venner sopra la spalla destra. Sollevò la spada in un saluto da schermidore, sia per l’apparente freddezza del gesto, sia perché sperava che la palla di pistola, se ben indirizzata, avrebbe potuto colpire la lama o la guardia.

La pioggia non aveva raggiunto la polvere. Nello stesso istante in cui vide la canna emettere un lampo, Shandy sentì la palla cocente perforargli la pelle sopra il plesso solare. Indietreggiò ma non cadde né lasciò cadere la spada, e quando ebbe recuperato le sue sparpagliate facoltà mentali, un secondo o due dopo, fece l’inchino più cortese che poteva sul ponte oscillante — per farlo dovette afferrare le griselle con la mano libera e piantare i piedi un po’ più larghi di quanto gli fosse abituale — e poi avanzò verso Venner.

Il nocchiere, distratto dal dramma che si stava svolgendo sul ponte, non mise la prua abbastanza dritta nell’onda successiva, e la Jenny la ricevette sul lato di babordo: l’imbarcazione s’ingavonò pesantemente mentre la solida acqua verde si sollevava al di sopra del ponte, s’infrangeva con un’esplosione contro l’albero e spazzava almeno un uomo fuori bordo.

Poi la Jenny si adagiò nel ventre dell’onda, di traverso rispetto al flusso. Più spaventato da questo che da Venner, Shandy arretrò in fretta verso poppa, e fu costretto a lasciare la sciabola per afferrarsi al sartiame al fine di mantenere l’equilibrio. Skank e gli altri uomini al boma della vela maestra erano riusciti a svolgere diversi piedi di vela e a infilarvi una corda, e un uomo stava cercando di arrampicarsi sull’albero vacillante con l’estremità della corda frai denti, apparentemente sperando di gettarla al di sopra dello stretto pennone della vela di gabbia, in modo che gli uomini in basso potessero usarla come drizza. Era tutto quello che potevano fare, e Shandy sapeva che non sarebbe bastato.

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