Tim Powers - Mari stregati

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Una fantasy orrorifica con i pirati, uno spadaccino voodoo? Chi potrebbe mai mescolare il mondo del pirata Barbanera con la magia nera se non Timothy Powers, il creatore di Le Porte di Anubis, l’autore più originale e geniale prodotto dal mondo fantascientifico e fantastico negli ultimi decenni. Lo scenario di questo eccezionale romanzo è il Mar dei Caraibi del 1718, periodo di grandi cambiamenti per i pirati, un tempo strumento dell’Impero Britannico, libera forza mercenaria che non riveste più nessuno scopo strategico per gli inglesi. È su questo scenario in evoluzione che compare il giovane John Chandagnac, ex burattinaio orfano alla ricerca di vendetta su uno zio malvagio. Ciurme di Zombie, magia nera, riti voodoo, giungle infestate da spettri: fra mille pericoli il protagonista inizierà una sorta di viaggio iniziatico che lo porterà in un luogo ignoto al di là del tempo e dello spazio, in un luogo mitico e terribile dove si cela la vagheggiata fonte della vita eterna. Partito per vendicarsi di un torto subito, Chandagnac andrà incontro al suo destino e troverà a sbarrargli la strada nientemeno che… il pirata Barbanera!

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Chandagnac scosse la testa tristemente, al ricordo della casa e della piantagione che si era lasciato alle spalle a Port-au-Prince… per nulla. Gli veniva pagata una regolare rendita da una delle banche di Segundo, ma non era mai stato discusso alcun pagamento per tutto quello che aveva ceduto a Segundo; e soltanto una settimana prima, nel corso di una breve conversazione col portalettere, aveva appreso che Barbanera era stato ucciso — non catturato — a metà novembre: esattamente tre mesi dopo la conversazione di mezzanotte nella quale Segundo aveva convinto Chandagnac che Barbanera era stato catturato e stava coinvolgendo tutti quelli che riusciva a ricordare.

Udì la porta al piano di sopra chiudersi, e il chiavistello d’ottone sferragliare fino alla posizione di blocco. Balzò in piedi, trangugiò quello che era rimasto nella sua tazza di tè, quindi afferrò la caraffa e tornò frettolosamente dentro, sperando di riuscire a chiudersi nella sua camera da letto prima che l’orribile domestica scendesse giù.

CAPITOLO VENTICINQUESIMO

Su nel sartiame, a cavalcioni sul pennone di una delle vele dell’albero di trinchetto, al quale stava appoggiato, Jack Shandy alla fine abbassò il telescopio, dopo aver fissato per circa un quarto d’ora le onde, le nuvole a ciuffi in alto, e, con maggior attenzione, la solida nube scura e dal profilo netto che si gonfiava sull’orizzonte orientale davanti a loro. Passò in rassegna tutto il bagaglio d’informazioni sulle condizioni atmosferiche appreso da Hodge e da Davies e dall’esperienza personale e dovette ammettere, almeno con se stesso, che Venner aveva ragione. Sarebbe stato più saggio fare dietrofront e cercare di coprire in tutta fretta le sessantacinque miglia fino a Grand Cayman, virare attraverso la scogliera a Rum Point Channel e quindi trascinare in secco la Jenny, tirandosi così fuori dall’acqua. E dannatamente presto anche, poiché la tempesta si stava muovendo con maggiore rapidità della Jenny, e il vento sembrava diminuire.

Ma oggi, pensò disperatamente, è il ventitré dicembre. Dopodomani Hurwood eseguirà la magia che scaccerà l’anima di Beth dal suo corpo. Devo trovare Ulysse Segundo, come quel vecchio pazzo ama apparentemente farsi chiamare adesso, oggi o domani, o potrei anche non aver mai lasciato l’insediamento di New Providence. E se torniamo indietro verso nord-ovest e ci mettiamo al riparo evitando la tempesta, perdermo almeno quel che resta della giornata di oggi. Ma posso mai portare questi uomini in mezzo a una burrasca che potrebbe benissimo ucciderli?

Oh, all’inferno, pensò, gettando il telescopio a uno dei pirati in basso e cominciando a scendere, questo è un diritto del capitano: il mio compito non è evitare le situazioni rischiose, ma guidare noi tutti per affrontarle. E non posso credere che Woefully Fat permetterà che gli venga impedito di raggiungere il suolo giamaicano… anche spinto da un uragano.

Si lasciò cadere sul ponte e rivolse un sogghigno fiducioso a Skank. «Possiamo scivolarvi sótto anche con metà di noi ubriachi fradici,» disse. «Continueremo verso sudest.»

«Gesù Cristo, Jack,» cominciò precipitosamente Skank, ma Venner lo interruppe.

«Perché?» domandò Venner. Indicò a poppa con un braccio robusto e lentigginoso. «Gran Cayman è a sole poche ore da quella parte! E anche se questo vento muore, come è in procinto di fare, la dannata corrente ci porterà là!»

Shandy si voltò, senza fretta, verso Venner. «Non è necessario che lo spieghi, ma lo farò. Non arriveremmo a Gran Cayman. Questa tempesta sta venendo a prenderci, e sarà meglio per noi avere la prua in avanti quando arriverà.» Le spalle larghe di Venner si ingobbirono per la tensione dei muscoli, ma Shandy si costrinse a ridere. «E, per l’inferno, uomo, il famoso Segundo si trova da qualche parte davanti a noi, ricordi? Quei cacciatori di tartarughe ieri ci hanno detto di aver visto la sua nave proprio la mattina! Non solo lui ha con sé il bottino preso da una dozzina di navi depredate, ma quasi certamente si trova sul vecchio Carmichael, cui ha cambiato il nome. È la nostra nave… un vero vascello atto a tenere il mare, e noi ne abbiamo bisogno, poiché delle piccole imbarcazioni da acqua ferma come la Jenny non sono adatte alle lunghe traversate fino al Madagascar e all’Oceano Indiano, che è ciò di cui abbiamo bisogno di questi tempi. Guarda cos’è accaduto a Thatch quando ha preferito una corvetta.»

«E questo Ulysse ha quella donna,» disse Venner, quasi sputando, «e non cercare di farci credere che non sia questa la ragione per cui vuoi agguantarlo! Beh, forse lei per te vale più della tua pelle, ma per me non vale nulla. E io non rischierò la mia pelle per farti un favore.» Fronteggiò gli altri uomini. «Pensate a questo, ragazzi. Perché dovremmo raggiungere questo Ulysse o Hurwood oggi? Perché non la prossima settimana?»

Shandy non aveva dormito molto negli ultimi giorni. «Sarà oggi perché lo dico io,» disse, con una certa violenza. «Cosa pensate di questo?»

Woefully Fat si portò accanto a Shandy e la sua enorme ombra eclissò Venner. «Andremo a Giamaica,» disse.

Per diversi, lunghi secondi, mentre la nube davanti a loro cresceva e Grand Cayman diventava ancora più lontana, Venner rimase immobile, gli occhi che dardeggiavano avanti e indietro da Shandy e Woefully Fat al resto della ciurma, domandandosi ovviamente se poteva provocare un ammutinamento.

Shandy, sebbene sperasse di apparire sicuro di sé, si stava domandando la medesima cosa. Era stato un capitano abbastanza abile durante il mese successivo alla cattura del Carmichael da parte di Hurwood, e veniva ancora guardato con una certa soggezione a causa del ruolo importantissimo che aveva avuto nella fuga dalla nave da guerra della Navy, e gli era anche d’aiuto avere il sostegno del vecchio bocor di Davies, anche se la sua morte imminente sembrava essere l’argomento preferito dagli uomini in quel periodo. Ma Shandy poteva solo fare delle congetture, come ovviamente le stava facendo Venner, su quanta parte della fiducia che gli uomini avevano in lui fosse stata erosa dai suoi tre mesi di ebbra apatia nell’insediamento di New Providence.

«Shandy sa quello che fa,» borbottò un vecchio sdentato.

Skank annuì con manifesta convinzione. «Sicuro,» disse. «Non potremmo tornare a Grand Cayman prima che la tempesta ci raggiunga.»

Shandy gli fu molto grato, perché sapeva che Skank non era sincero.

Le spalle di Venner si accasciarono, e il suo sogghigno, che stava cominciando ad apparire meno come una serie di rughe di allegria che di grinze in una camicia da lungo tempo non cambiata, fu issato di nuovo sulla sua faccia. «Certo che lo sa,» disse con voce rauca. «Volevo… soltanto assicurarmi che fossimo tutti… d’accordo.» Si voltò e, spingendo da parte un paio di uomini, si allontanò vacillando verso poppa mentre Shandy ordinava di rimuovere il fiocco e terzarolare la vela maestra.

Quando la corvetta si mosse in avanti col minimo delle vele in azione e Shandy si fermò per sbirciare la nuvola che adesso faceva loro ombra, Skank gli batté leggermente su una spalla e, con uno scatto della testa, lo tirò da parte.

«Cosa c’è?» domandò Shandy, con una tensione che conferì rigidità alla sua voce.

«Venner non è minimamente soddisfatto,» disse Skank, piano. «Guardati da lui. Sarà per oggi, e probabilmente alle spalle.»

«Ah. Beh, grazie. Lo terrò d’occhio.» Shandy fece per allontanarsi, ma Skank gli si parò davanti.

«Tu non lo sai,» proseguì in fretta il giovane pirata, «non credo che tu lo sappia: è stato lui a provocare la morte di Davies.»

L’impazienza di Shandy era svanita. «Parla,» disse. Alcune pesanti gocce di pioggia caddero con un tonfo sul ponte attraverso l’aria immobile e tracciarono lunghe striature nere sulle vele. Pioggia prima del vento, pensò Shandy, rammentando un avvertimento del vecchio Hodge. «Allentate un po’ le scotte,» gridò, poi tornò a voltarsi verso Skank. «Parla.»

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