Ma proprio mentre il pensiero passava per la sua mente, lo riconobbe come un vano desiderio. Non mi lascerà mai in pace, comprese, fin quando sarò uno strumento anche solo lontanamente utile per lui.
Forse dovrei porre fine alla mia utilità, come il povero Stede Bonnett ebbe il coraggio di fare quando si trovò in questo genere di situazione, con Barbanera… consegnarmi alle autorità, confessare… Per l’inferno, ho incontrato Bonnett un paio di volte quando i caprìcci del mercato dello zucchero lo spinsero a viaggi d’affari fino a Port-au-Prince, e lui non era né un eroe, né un santo…
No, pensò, guardando al di là della balaustra luccicante del balcone, e al di là delle fronde dei palmizi che ondeggiavano nella fredda brezza di montagna, le terrazze digradanti delle case bianche che costituivano la zona residenziale di Spanish Town, e, in distanza, appena visibile lungo il limite del mare azzurro, il rosso delle tegole della sopravvissuta propaggine di Port Royal nell’entroterra. Allungo una mano di lato, sollevò il tappo di una caraffa di cristallo e versò del cognac ambrato, che scintillava aureo nel sole mattutino, nel suo tè. No, comunque fosse, Bonnett era un uomo più coraggioso di me. Non potrei mai fare ciò che ha fatto — e anche Ulysse lo sa, dannazione a lui. Se devo vivere in una gabbia, ne preferisco una lussuosa, con sbarre che, sebbene più robuste del ferro, non si possano vedere o toccare.
Scolò il tè corretto e si alzò in piedi, assicurandosi di avere un sorriso calmo sulla faccia prima di voltarsi per fronteggiare il salotto… e la testa di cane impagliata appesa al muro come un meschino trofeo di caccia.
Attraversò l’ampio salotto fino al corridoio, ma conservò il sorriso, poiché c’era una testa di cane appesa anche là. Ricordò, con un brivido che fece vacillare il suo sorriso, il giorno di settembre, poco dopo il suo arrivo là, quando aveva coperto con un panno ogni testa di cane presente nella casa; ciò gli aveva dato una gradevole sensazione di intimità, ma nel giro di un’ora la spaventosa domestica nera era entrata, senza bussare naturalmente, aveva percorso ciabattando tutta la casa e aveva tolto i drappi. Non gli aveva mai lanciato un’occhiata, e naturalmente non avrebbe potuto parlare con la mandibola legata in quel modo, ma la visita lo aveva così sconvolto che non aveva mai più tentato di accecare le spie di Ulysse.
Rinvigorito dal brandy, e dalla consapevolezza che la domestica di solito non arrivava fino a metà mattina, Hicks salì pesantemente le scale e si mise ad ascoltare fuori dalla porta della camera dell’ospite. Non si udivano più gemiti, così tirò il chiavistello d’ottone, girò il pomello di legno e aprì la porta.
La giovane donna era addormentata, ma si svegliò con un grido quando, muovendosi in punta di piedi nella stanza in penombra, lui accidentalmente colpì con un calcio la cena intatta che lei aveva lasciato sul pavimento — la scodella di legno si capovolse a mezz’aria e cozzò contro la parete, spargendo la verdura sul tappeto. Lei si alzò a sedere sul letto e lo guardò stringendo gli occhi. «Mio Dio… John…?»
«No, maledizione,» disse Hicks, «sono io. Vi ho sentita gemere, e volevo solo assicurarmi che fosse tutto a posto. Chi è questo John? Mi avete scambiato per lui, prima.»
«Oh.» Beth Hurwood si accasciò, con la speranza che svaniva dai suoi occhi. «Sì, è tutto a posto.»
C’erano tre teste di cane in quella stanza, così Hicks si raddrizzò in tutta la sua altezza e gesticolò, severo, verso le foglie e le erbe sparse per terra. «Avete di nuovo cercato di evitare i vostri medicamenti?» chiese. «Non posso permetterlo, lo sapete. Ulysse vuole che voi li prendiate, e quello che lui vuole, io lo impongo!» Smise di annuire virtuosamente verso la testa che era inchiodata sopra il letto.
«Mio padre è un mostro,» sussurrò lei. «Un giorno imporrete la vostra stessa immolazione!»
Hicks dimenticò le teste e si accigliò, inquieto. Nei primi giorni di prigionia della donna, aveva riso alla pretesa di Beth che Ulysse Segundo fosse suo padre, poiché lei aveva sempre sostenuto che il padre aveva un braccio solo, mentre Ulysse, in maniera lampante, ne aveva due. Ma alla visita successiva del pirata, Hicks aveva lanciato un’occhiata alla mano destra di quell’uomo: era senza alcun dubbio carne viva, ma era rosa e liscia come quella di un bambino, e non aveva la più piccola cicatrice.
«Beh,» disse, burbero, «fra meno di una settimana sarà Natale. Perlomeno, allora, mi sarò liberato di voi.»
La giovane donna gettò di lato le coltri, fece ruotare le gambe e cercò di alzarsi in piedi, ma non riuscì a bloccare le ginocchia e ricadde sul letto, ansimando. «Maledizione a voi e a mio padre,» disse con voce strozzata. «Perché non posso avere del cibo?»
«Come chiamate questa roba che avete lasciato in giro perché qualcuno ci inciampi?» domandò Hicks, chinandosi per raccogliere una foglia e poi agitandola con furia davanti al volto di lei. «Fatemi vedere come la mangiate,» disse Beth. Hicks fissò dubbioso quella porzione di vegetale, poi la gettò via con una sbuffata, come per intendere che non aveva tempo per quelle sfide infantili.
«Fatemi vedere come vi leccate le dita,» insistette Beth.
«Io… non devo provarvi alcunché,» disse lui.
«Cosa accadrà sabato? Una volta avete detto qualcosa a proposito di una “procedura”.»
Hicks fu lieto che fossero tirate le tende davanti alle finestre, perché poteva sentire la sua faccia che arrossiva. «Avreste dovuto prendere i vostri medicamenti!» sbottò. «Avreste dovuto essere…» Addormentata, terminò mentalmente; sonnambolica. Non perfettamente sveglia e pronta a rivolgere imbarazzanti domande. «Inoltre, vostro pa… Capitan Segundo, voglio dire, quasi certamente sarà qui prima di allora, e io non voglio fare… quello che intendo dire è che ve la vedrete con lui!»
Annuì, risoluto, e si girò sui talloni per andarsene, ma rovinò la sua uscita dignitosa emettendo uno strillo e ritraendosi, poiché la domestica nera era entrata silenziosamente nella stanza e stava proprio dietro di lui.
Beth Hurwood scoppiò a ridere, e la domestica si limitò a tenere lo sguardo fisso, alla sua solita maniera vacua e snervante, e Hicks scappò — domandandosi, mentre aggirava in fretta la domestica, perché l’abito della donna era sempre cucito piuttosto che abbottonato, e perché, se era così fissata col cucito, non riparava le sue tasche sfondate, e perché andava sempre a piedi nudi.
Inoltre, pensò mentre si rilassava sulle scale e pescava un fazzoletto dalla manica per detergersi la fronte, mi domando perché gli altri neri temono questa donna. Accidenti, il cuoco nero che lavorava qui le gettò un’occhiata e si lanciò dalla finestra del secondo piano! E così, dopo avere scoperto che i neri si sarebbero piuttosto fatti fustigare per tutto il giorno pur di non mettere piede in questa casa per un solo secondo, sono stato costretto ad assumere dei servitori, dei bianchi. E anche molti di loro se ne sono andati.
Tornò alla sua sedia sul balcone, ma la tranquillità della mattina era infranta, e lui svuotò del tè tiepido la tazza e la riempì di cognac. Che siano dannati Ulysse e la sua “aiutante”, pensò. Non sarei mai dovuto andarmene da Haiti e cambiare nome.
Sorseggiò il brandy e aggrottò le sopracciglia, ricordando com’era stato convincente all’inizio Ulysse Segundo. L’uomo era arrivato a Port-au-Prince nella prima settimana di agosto, e aveva immediatamente cominciato a negoziare lettere di credito delle più rispettate banche europee. Aveva fatto una buona impressione: parlava francese benissimo, era colto, ben vestito, proprietario di una bella nave — che, tuttavia, teneva in un remoto ormeggio, apparentemente a causa di una donna a bordo che stava guarendo da una febbre cerebrale.
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