Tim Powers - Mari stregati

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Una fantasy orrorifica con i pirati, uno spadaccino voodoo? Chi potrebbe mai mescolare il mondo del pirata Barbanera con la magia nera se non Timothy Powers, il creatore di Le Porte di Anubis, l’autore più originale e geniale prodotto dal mondo fantascientifico e fantastico negli ultimi decenni. Lo scenario di questo eccezionale romanzo è il Mar dei Caraibi del 1718, periodo di grandi cambiamenti per i pirati, un tempo strumento dell’Impero Britannico, libera forza mercenaria che non riveste più nessuno scopo strategico per gli inglesi. È su questo scenario in evoluzione che compare il giovane John Chandagnac, ex burattinaio orfano alla ricerca di vendetta su uno zio malvagio. Ciurme di Zombie, magia nera, riti voodoo, giungle infestate da spettri: fra mille pericoli il protagonista inizierà una sorta di viaggio iniziatico che lo porterà in un luogo ignoto al di là del tempo e dello spazio, in un luogo mitico e terribile dove si cela la vagheggiata fonte della vita eterna. Partito per vendicarsi di un torto subito, Chandagnac andrà incontro al suo destino e troverà a sbarrargli la strada nientemeno che… il pirata Barbanera!

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Barbanera fece un passo indietro, guardando con occhi socchiusi e sospettosi la vegetazione che li cingeva. «La prima volta che sono stato qui,» mormorò a Davies e a Shandy, «ho parlato coi nativi — indiani Creek, principalmente. Scambiai con loro magie di guarigione per avere una conversazione più schietta. Loro menzionarono una cosa chiamata Este Fasta. Dissero che significava “Persona Assegnata.” Una sorta di progenie locale dei loa. Mi chiedo se era quella il brontolone di poco fa.»

«Ma non ti diede fastidio nella tua prima visita,» disse Davies, teso.

«No,» convenne Barbanera, «ma quella volta non avevo il repellente per gli spettri. Probabilmente, ritenne di non avere la necessità di interferire.»

Grande, pensò Shandy. Lanciò uno sguardo alla trama di vegetazione illuminata dalla torcia davanti a loro, e fu il primo per un secondo o due a notare che i vitìcci e i rami si stavano muovendo — contorcendo — nell’aria ferma e stagnante.

Poi fu Barbanera ad accorgersene, e proprio mentre le piante assumevano la forma rozza di una mano gigantesca e facevano per ghermirli, il re-pirata lasciò cadere la torcia, si lanciò in avanti e con due colpi della sciabola, dritto e rovescio, ridusse la cosa in pezzi.

«Vieni, diavolo!» gridò Barbanera, furioso, ed era uno spettacolo spaventevole coi denti e il bianco degli occhi folli che luccicavano nel bagliore delle micce accese, intrecciate nella criniera. «Agita altri cespugli sulla mia faccia!» Senza neppure attendere la risposta di quel loa straniero, avanzò pesantemente nella primeva foresta pluviale, urlando e roteando la sciabola. «Avanti, starnazza, tu miserabile quashie di una pattu-civetta!» muggì, passando quasi completamente a quello che Shandy riconobbe come un dialetto tribale delle montagne della Giamaica. «Ci vuole più di un deggeh bungo duppy per far paura a un tallowah hunsi kanzo!»

Shandy ora poteva scorgere a malapena Barbanera, sebbene vedesse i viticci agitarsi e udisse i colpi della sciabola e i tonfi e gli schizzi della vegetazione recisa che volava in tutte le direzioni. Accovacciato e col coltello stretto in pugno, Shandy ebbe un attimo per domandarsi se quel furore maniacale fosse l’unico sistema a disposizione di Barbanera per dare sfogo alla paura — e poi il gigantesco pirata schizzò fuori dalla giungla, con alcune delle micce intrecciate nella barba spente ma in preda a un furore terribile quanto lo era stato prima. Barbanera afferrò l’involto di tela impermeabile che sporgeva dalla tasca della giacca di Shandy, lo lacerò coi denti e lo gettò nella melma.

«Ecco!» gridò verso la giungla, agguantando la torcia di Shandy e sbattendo la sua estremità fiammeggiante sull’erba fuoriuscita dall’involto. «Ti marchio come mio schiavo!»

Una nube di fumo si sprigionò verso l’alto, emanando un tanfo di fango nero cotto come di erbe bruciate, e un grido di dolore inumano e di ira investì l’aria dall’alto, strappando le foglie dagli alberi e scaraventando a terra Shandy.

Mentre si rotolava nel fango, dimenandosi per rimettersi in piedi e per aspirare aria nei polmoni, Shandy intravide la sagoma che era Barbanera inclinare all’indietro la testa irsuta ed emettere un ululato assordante e stridente. Era un suono terribile, simile al grido di vendetta di qualche rettile gargantuesco; ma Shandy avvertì una maggiore parentela coi lupi che, nella sua fanciullezza, aveva sentito occasionalmente ululare da luoghi lontanissimi al di là delle distese di neve nordiche.

Il trio che trasportava Beth si era fermato; Shandy stava accovacciato e teso alle loro spalle a lato di Barbanera, e Davies, inespressivo ma visibilmente pallido nella luce della torcia di Hurwood, stava all’altro lato con la sciabola snudata e pronta.

Un vento improvviso soffiò via gli echi dell’ululato di Barbanera, e questa volta il sibilo delle teste fungoidi fu l’unico suono che si udì subito dopo… tutti gli uccelli della zona si erano azzittiti.

D’un tratto Shandy realizzò che le teste fungoidi avevano aperto gli occhi e stavano parlando, e con linguaggi comprensibili: quella più prossima a lui si stava lagnando, in francese, per la crudeltà che spingeva i figli ad abbandonare una vecchia donna, e una vicina a Davies stava usando un dialetto scozzese per dare quel genere di consiglio che un padre suole dare a un figlio in procinto di partire per una grande città. Shandy la fissò stupefatto quando la udì mettere in guardia dall’esprimere qualsiasi opinione sulla religione o sul recente regicidio. Regicidio? pensò Shandy; qualcuno ha ucciso Re Giorgio nello scorso mese… o forse quella cosa stava parlando dell’assassinio di Giacomo Primo avvenuto un secolo fa?

Barbanera abbassò lentamente la testa, e fissò un alloro di fronte a lui coperto di bacche. Un colpo a tutto braccio della sua corta sciabola fece un aromatico scempio dell’albero, e al di là di esso, invece che altra vegetazione, c’erano le tenebre e una brezza più fresca e un tenue chiarore, come di una città vivacemente illuminata appena sopra l’orizzonte.

Barbanera imprecò di nuovo e poi avanzò attraverso il varco, e altrettanto fece un momento dopo il suo barcaiolo. Shandy e Davies si scambiarono un’occhiata, si strinsero nelle spalle, e li seguirono.

La giungla era scomparsa. Di fronte a loro una distesa piatta si allungava in tutte le direzioni sotto la luna non più velata, e un paio di centinaia di iarde avanti c’era un muro alto fino al ginocchio che cingeva uno stagno circolare più ampio del Colosseo. Al centro dello stagno era sospesa una vasta luminosità che avrebbe potuto essere una fiamma o uno spruzzo, e quella massa dal tenue chiarore si sollevava e ricadeva lentamente come un opale nel miele. Osservando le luci cangianti, Shandy realizzò con un senso di gelo nello stomaco che non aveva idea di quanto fossero lontane; in un certo momento sembravano farfalle di vetro colorato che scintillavano nella luce proveniente dalla torcia di Hurwood alla distanza di un braccio, ma un momento dopo erano una sorta di fenomeno astronomico che aveva luogo al di là del dominio del sole e dei pianeti. Anche lo stagno, notò Shandy, era un trucco ottico — scrutò e strinse gli occhi ma alla fine dovette ammettere che non aveva la più remota idea di quanto fosse alto quel muro di cinta. In lontananza, a destra e a sinistra, agili ponticelli di dubbia fattura salivano dal muro e s’inarcavano, sparendo alla vista, in direzione del centro dello stagno.

Le fibbie degli stivali di Shandy adesso erano caldissime. Si scottò la mano nel prendere il coltello, ma riuscì, accovacciandosi prima su un piede poi su un altro, a staccare le fibbie. Tornò a raddrizzarsi, cercando di ignorare il fumo che si sprigionò dal fodero di cuoio quando ripose il coltello e chiedendosi quando avrebbe cominciato ad avvertire i chiodi che fissavano le suole degli stivali. Grazie a Dio Barbanera aveva proibito le pistole.

«Non mi spinsi più avanti di qui,» disse Barbanera, piano. Si voltò verso Davies e sogghignò. «Procedi… arriva fino al limite dello stagno.» Davies deglutì, poi fece un passo avanti.

«Fermo!» gridò Hurwood alle loro spalle. Lui, Friend e Bonnett erano appena passati goffamente attraverso il varco; avanzarono barcollando, e quindi riuscirono a mettere giù Beth, più o meno delicatamente, mentre si lasciavano cadere sulla sabbia scura. Hurwood fu il primo ad alzarsi a sedere. «Qui le direzioni apparenti non sono quelle giuste. Potresti camminare lungo una linea retta fino a morire di fame, e senza avvicinarti affatto alla Fontana. Con tutta probabilità, ti darebbe la sensazione di girare intorno, mentre cammini.»

Barbanera scoppiò a ridere. «Non avevo alcuna intenzione di farlo allontanare al punto che non saremmo più riusciti a riportarlo indietro. Ma hai ragione, succederebbe proprio questo. Ho camminato verso di essa per due giorni prima di ammettere che non è possibile raggiungerla da qui, e mi ci sono voluti altri tre giorni per tornare nel punto in cui ci troviamo adesso.»

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