Finalmente arrivarono ad un ruscelletto che scorreva in una valle racchiusa fra due colline e là Nevyn fece arrestare la sua minuscola banda di guerra.
— Benissimo, daghe d’argento. La fattoria si trova immediatamente al di là della collina e questi sono i vostri ordini: ora io mi sdraierò ed entrerò in una trance profonda, e dòpo aver legato i cavalli voi dovrete montare la guardia al mio corpo, perché esiste la possibilità che Alastyr mandi qui il suo apprendista nel tentativo di farmi uccidere.
— Non riuscirà mai a oltrepassare la mia spada — garantì Rhodry, in tono quieto.
— Bene. Se dovessi perdere la mia battaglia ci incontreremo un giorno nell’Aldilà — replicò il vecchio, poi si girò verso Jill e aggiunse: — Se dovessi morire, bambina, prega con tutto il tuo cuore e la tua anima la Luce che si trova dietro la Luna, e non cercare di dirmi che non sai cosa intendo dire.
Jill trattenne il respiro con un sussulto, ma pur avendo il cuore che doleva per lei Nevyn non poté sprecare altro tempo con le parole. Steso a terra il mantello si adagiò su di esso e piegò le mani sul petto, appoggiando ciascuna sulla spalla opposta. Dopo aver invocato i Signori della Luce, rimase disteso in silenzio, raccogliendo le forze, mentre vicino a lui Jill e Rhodry montavano già la guardia con la spada snudata. Nel chiudere gli occhi, il vecchio si chiese se li avrebbe rivisti.
Lavorando mentalmente con lenta cautela, evocò poi il proprio corpo di luce, un simulacro azzurro pallido della propria forma ridotto però alle linee essenziali e unito al suo plesso solare da un cordone argenteo. Quando trasferì in esso la propria consapevolezza, ebbe la sensazione che il suo corpo fisico stesse precipitando violentemente e per una frazione di secondo fu assalito da un senso di nausea. Subito dopo ci fu però un rumore secco, come quello di una spada riposta nel fodero, e lui si trovò a guardarsi intorno con gli occhi del simulacro. Il suo corpo fisico giaceva sul terreno in un mondo pervaso sul piano dell’eterico da una luce azzurrina, ed ora che lo aveva abbandonato appariva soltanto come un inerte ammasso di carne morta. Accanto ad esso poteva però scorgere Jill e Rhodry come due vortici di fiamma ovoidali, con la rispettiva aura che pulsava intorno a ciascuno. Gli alberi e l’erba vibravano invece del rosso opaco tipico delle energie vegetali.
Nevyn si levò di circa tre metri al di sopra del proprio corpo, con il cordone argenteo che gli si snodava alle spalle come una lenza, e si guardò intorno, decidendo che il ruscello che solcava la valle gli sarebbe potuto tornare utile, in quanto attraversare l’acqua corrente con il corpo di luce era una cosa molto pericolosa. Nel chiarore azzurrino, il ruscello scorreva argenteo e sopra di esso fluiva la sua corrente elementare, visibile come un agitato e mutevole muro di una sostanza fumosa che sarebbe diventata un’ottima trappola se soltanto lui fosse riuscito a spingere in essa quella donnola del suo avversario. Salendo ancora più in alto, fluttuò verso la cresta della collina, perché era venuto il momento di lanciare la sua sfida.
Dall’altro lato della collina si stendeva un pascolo erboso su cui sorgeva la fattoria, una fatiscente casa rotonda cinta da un muro di terra che abbracciava anche alcune baracche e alberi da frutta così vecchi che il loro bagliore vitale tendeva più al marrone che al rosso. Notando che i sigilli erano svaniti, Nevyn sorrise fra sé. Alastyr doveva averli lasciati cadere in preda al panico non appena aveva individuato l’avvicinarsi della banda di guerra. Vedendo un uomo lasciare a precipizio la casa e dirigersi verso una baracca con le braccia cariche di sacche da sella, Nevyn decise che avrebbe fatto meglio a tenere impegnati i suoi nemici per evitare che pensassero ad uccidere Camdel.
Nel bagliore azzurro della notte, modellò quindi con la mente una lancia di luce e la scagliò con forza contro l’aura striata di nero dell’uomo che correva. Quando essa colpì il bersaglio l’uomo lasciò cadere le sacche da sella e lanciò un urlo: anche se il suo corpo fisico non aveva avvertito dolore, per la sua mente addestrata quel contatto doveva essere stato paragonabile a quello con un ferro rovente. Simile ad un falco in picchiata, Nevyn calò quindi sulla fattoria mentre l’uomo rientrava di corsa in essa.
— Alastyr! — chiamò, con un pensiero intenso e prolungato. — Alastyr, sono venuto per te!
Attraverso la luce azzurra gli giunse l’eco ululante di una risposta e Alastyr gli venne incontro a precipizio come un serpente che attaccasse sollevandosi dal suolo. Il suo simulacro era un’immensa figura avvolta in una tunica nera decorata con ricche gemme e con sigilli ricamati, e dal cordone argenteo avvolto tre volte intorno alla vita come un gonnellino pendevano parecchie teste recise. Il volto che sbirciava dalle profondità del cappuccio era pallido e crudele, gli occhi erano un brillio scuro in mezzo ai lineamenti spettrali. Nevyn invocò la Luce e sentì subito nel proprio corpo un leggero pulsare e il risplendere del potere; per tutta risposta, Alastyr divenne ancora più scuro e immenso, quasi potesse risucchiare e spegnere ogni luce dell’universo… poi la battaglia ebbe inizio, il suo scopo quello di vedere chi dei due sarebbe riuscito a infrangere il corpo di luce dell’altro e a sospingere l’anima racchiusa in esso, nuda e impotente, nella morsa del potere delle grandi forze schierate dietro ciascun opponente. Nevyn colpì per primo con un’onda di luce che fece ondeggiare Alastyr come un relitto sulle onde, e sferrò subito un secondo attacco che fece precipitare il nemico verso il basso, ma mentre lo inseguiva avvertì su di sé l’opera delle forze comandate da Alastyr… un senso di decadimento, come se un migliaio di piccoli artigli stessero cercando di lacerarlo, e questo lo costrinse a distogliere una parte notevole della sua volontà per mantenere compatto il simulacro, attingendo una quantità sempre maggiore di luce e ricostruendolo più in fretta di come Alastyr lo distruggesse. Il resto del suo potere fu dedicato all’attacco, una pioggia di frecce dorate e di lunghe lance che sospinse Alastyr di qua e di là mentre Nevyn gli girava intorno, pressandolo con la luce che percuoteva la sua oscurità e la faceva recedere.
Tutta la sua strategia era basata sulla necessità di costringere Alastyr ad uscire dalla luce azzurra e a portarsi nella sfera vera e propria delle Terre Interiori, dove Nevyn avrebbe avuto a sua disposizione forze più potenti; per il momento l’avversario era però ancora troppo forte e Nevyn continuò quindi a tempestarlo con le lance di luce mentre in risposta Alastyr inviava un’ondata di oscurità dopo l’altra ad artigliarlo. Gli occhi scuri all’interno del cappuccio bruciavano d’ira, ma quando Nevyn colpì abbastanza violentemente da staccare qualcuno dei pomposi sigilli apposti sulla tunica nera, Alastyr ululò come un animale ferito e si ritrasse. A quel punto Nevyn corse il rischio di tentare di costruire una porta dietro di lui, usando parte della sua volontà per inchiodare sul posto l’avversario e un’altra parte per aprire un sentiero verso le Terre Interiori, ma era troppo presto… Alastyr gli sgusciò di mano e riversò su di lui un flusso di oscurità simile ad un mare in tempesta.
Per un momento Nevyn precipitò verso il basso, sentendo il proprio simulacro allentarsi intorno a lui come un mantello che stesse scivolando via, e invocò la Luce con disperazione, non potendo per il momento fare altro che lottare per risanarsi e per parare gli attacchi più violenti di Alastyr, che lo stava pressando sempre più da vicino con colpi simili a macigni nella palpabile oscurità. D’un tratto vide il velo caliginoso al di sopra del ruscello farsi vicino, troppo vicino! Con violenza si girò su se stesso e saettò verso l’alto, schivando e oltrepassando lo sconcertato Alastyr prima che questi potesse reagire. Aveva però fatto appena in tempo a riparare il suo devastato corpo di luce quando il nemico gli si scagliò dietro assalendolo con fiotti di velenosa oscurità.
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