Nevyn gli lanciò contro un muro di luce che lacerò e dissolse le teste recise appese al cordone argenteo, ma al tempo stesso poté sentire la propria debolezza che cresceva a mano a mano che l’avversario lo incalzava e lo martellava con l’oscurità generata dalle sue mani distorte. All’improvviso però Alastyr urlò, un suono mentale che echeggiò nella luce azzurra, e prese a volare di qua e di là come una rondine a caccia di insetti su un campo: sotto di lui, il cordone argenteo pendeva tronco. Qualcuno aveva ucciso il corpo fisico di Alastyr, e Nevyn poteva supporre soltanto che fosse stata Jill, o forse addirittura Blaen.
Non c’era però il tempo di indulgere nello shock di quell’inatteso aiuto. Il simulacro di Alastyr si stava infrangendo, rivelando il doppione eterico azzurro racchiuso in esso. Mentre il maestro oscuro lottava contro l’inevitabile disgregamento, Nevyn costruì una porta di accesso alle Terre Interiori costituita da due pilastri, uno bianco e uno nero, che racchiudevano un vuoto color indaco. Non appena la struttura fu stabile lanciò una scarica di luce che sospinse Alastyr al di là di essa, affrettandosi poi a seguirlo. Anche se aveva perso la prima battaglia il nemico era tutt’altro che sconfitto, e Nevyn lo sapeva.
Si gettò quindi oltre la porta all’inseguimento del maestro oscuro in fuga ed entrambi saettarono, si librarono e precipitarono lungo il sentiero, sospinti come brandelli di pergamena da un livido vento indaco; intorno a loro echeggiavano voci… risa, urla e frammenti di parole trascinati via dalla marea indaco… e immagini di volti, di bestie e di stelle, che vorticavano e li percuotevano come uno stormo di uccelli impazziti. Nevyn scagliò davanti a sé ondate di luce, percuotendo e trapassando Alastyr fino a quando gli ultimi frammenti della tunica nera si strapparono e fluttuarono via, lacerati da buchi che si aprivano nel vuoto. Intanto il vento continuò a sospingerli in avanti e alla fine li proiettò in un bagliore di luce violetta, dove un fiume scorreva molto più in basso, pieno di un’acqua inconsistente e mutevole che non era mai stata conosciuta da nessun fiume terrestre e che nessun uomo aveva mai assaggiato. Lì regnava il silenzio, il vento non esisteva e intorno di stendevano campi di fiori… o almeno di forme simili a fiori… inconsistenti, bianchi e letali.
Sconvolto, il doppione eterico di Alastyr fluttuò di qua e di là, cercando ora non più la vittoria ma la fuga. La Landa della Luna in cui stavano combattendo era la porta di accesso a molti altri mondi, la Landa Verde dello stesso Nevyn, quella Arancione che era il mondo della forma, la dimora lucente dei Grandi; da lì si accedeva anche alla sfera vera e propria del dweomer oscuro, al Buio dell’Oscurità, alla Terra dell’Esteriorità e dell’Apparenza. Se Alastyr fosse riuscito a fuggire lì, la sua anima avrebbe continuato a vivere, compiendo malvagità per eoni, e Nevyn poteva già vederlo mentre era impegnato a tentare di aprire una porta, agitando le mani e recitando a precipizio le parole del rito. Una lancia di luce raggiunse il maestro oscuro e lo scagliò verso l’alto proprio mentre il primo pilastro cominciava a formarsi, poi frantumò la porta in parte eretta.
Ululando, Alastyr cercò di fuggire, ma Nevyn scese in picchiata e gli riversò addosso una pioggia di luce infuocata per intrappolarlo: con una mano il Maestro dell’Aethyr scagliò una lancia di luce dopo l’altra fino a formare una sorta di gabbia dorata intorno al nemico, che si scagliò contro le sbarre lucenti e le morse in preda al panico. Reso impotente l’avversario, Nevyn procedette a costruire un’altra porta, questa volta dotata dei dorati pilastri del sole, in mezzo alla quale si allargava l’azzurro limpido di un cielo estivo.
— Non è mio il giudizio! — gridò Nevyn. — È vostro!
Attraverso i pilastri passò veloce un’enorme e mutevole lancia di luce che si abbatté su Alastyr con tanta violenza da infrangere il suo doppione eterico in un migliaio di miseri brandelli. Ci fu uno stridio, poi il pianto di un bambino piccolo. Per un momento Nevyn vide quel bambino simile alla tremolante luce di una candela, un neonato urlante che aveva gli occhi furiosi di Alastyr, poi la luce aumentò e avviluppò la minuscola forma, trascinandola oltre il portale e lungo il sentiero che portava alla Sala della Luce, dove sarebbe stata giudicata.
— È fatta! — gridò Nevyn. — È finita!
Tre possenti colpi simili a scoppi di tuono echeggiarono nella luce violetta, mentre in basso i fiori bianchissimi dondolavano le corolle, annuendo. Inginocchiandosi, Nevyn piegò il capo in un gesto che non era di adorazione ma di fedeltà, poi lasciò dissolvere il portale. In preda allo sfinimento, sentì il cordone argenteo che lo tirava verso il suo corpo, che giaceva ad una grande distanza e al tempo stesso vicinissimo.
Sarcyn estrasse la daga dal cuore di Alastyr e la pulì sul volto del maestro morto.
— Vendetta — sussurrò. — Il suo sapore è dolce come il miele.
In fretta si alzò e corse in cucina, arrivando appena in tempo per vedere il bracciante che fuggiva a precipizio dalla porta posteriore. Lo lasciò andare, perché non c’era tempo da sprecare inseguendo qualcuno che sapeva così poco su di loro. Camdel giaceva ancora sulla paglia vicino al focolare, e quando Sarcyn gli si inginocchiò accanto si ritrasse piagnucolando sommessamente alla vista del coltello.
— Non intendo ucciderti, piccolo uomo — affermò Sarcyn, riponendo l’arma. — Ti voglio liberare, perché dobbiamo andare via in fretta.
Camdel gemette e Sarcyn esitò, trattenuto da un sentimento che non riusciva del tutto a comprendere: di certo il giovane nobile sarebbe andato incontro ad una vita miserevole, indipendentemente dal piacere che avrebbe potuto trarre dai tormenti inflittigli dal suo padrone.
— Ah, dannazione! — imprecò improvvisamente. — Dopo tutto finirai per rivedere il tuo dannato padre.
Dandosi dello stolto per aver ceduto al primo impulso di compassione che avesse avvertito da anni, Sarcyn si alzò in piedi e afferrò le sacche da sella che contenevano i libri di Alastyr.
— Addio, piccolo uomo — disse.
Camdel diede sfogo all’agonia del sollievo con due sottili rivoli di lacrime che gli scivolarono lungo le guance, mentre Sarcyn correva fuori della stanza ed usciva nel cortile, dove il suo cavallo era in attesa, sellato e pronto. Dopo aver riposto i preziosi libri nelle sacche della sella, montò e si allontanò in fretta, abbandonando la strada principale e addentrandosi fra le colline… fin da quando si erano trasferiti alla fattoria aveva cominciato a progettare vie di fuga. Aveva percorso appena mezzo chilometro allorché sentì un tintinnare di finimenti che segnalava l’arrivo degli uomini del gwerbret: in fretta, scese di sella e tenne chiusa la bocca del cavallo a mano a mano che il tintinnio si faceva più forte per poi oltrepassarlo e svanire lentamente in lontananza.
— Ecco sistemato quell’idiota — sussurrò, risalendo a cavallo.
Sapeva però che il pericolo era tutt’altro che cessato. Una volta che avesse saputo del fato di Alastyr la Confraternita avrebbe mandato degli assassini a cercarlo e lui avrebbe dovuto fuggire di continuo, nascondendosi sempre e spostandosi senza sosta mentre studiava i libri e cresceva sempre più nel potere. Forse sarebbe riuscito a sfuggire ai Falchi abbastanza lungo da acquisire il potere necessario a salvargli la vita. Forse. Quella era la sola speranza che aveva.
Non appena Nevyn entrò in trance, Jill si allontanò un poco fra gli alberi, mentre Rhodry rimaneva accanto al corpo del vecchio. Intorno, la luce della luna splendeva pallida sul ruscello e trasformava le bianche betulle in alberi spettrali; nel silenzio pervaso di dweomer Jill era acutamente conscia del rumore del proprio respiro nel tenere lo sguardo fisso su Nevyn, talmente immobile da destare in lei l’impulso costante di inginocchiarglisi accanto per vedere se era ancora vivo. All’improvviso ci fu un suono alle sue spalle e lei si girò di scatto, sollevando la spada.
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