Il lupo scattò.
«Lupine!» gridò Windle.
Ma fin dal giorno in cui il primo uomo delle caverne fece rotolare una fetta di tronco giù da un pendio, i canidi hanno sempre sentito un forte impulso innato a inseguire tutto ciò che abbia delle ruote. Lupine già tentava di mordere il carrello.
Le sue mandibole bloccarono una ruota. Ci fu un ululato, un urlo del Bibliotecario, e scimmione, lupo e cesto di ferro si ammucchiarono contro il muro.
«Oh, poverino! Guardalo!»
Ludmilla corse a inginocchiarsi accanto al lupo contuso.
«Guardi, gli è passato sopra le zampe!»
«Probabilmente ha anche perso un paio di denti» disse Windle. Aiutò il Bibliotecario a rialzarsi. C’era una luce sanguigna negli occhi del primate. Avevano cercato di rubare i suoi libri. Probabilmente era la miglior prova che un mago potesse desiderare del fatto che i carrelli non avevano cervello.
Si chinò e strappò via le rotelle.
«Olé» disse Windle.
«Oook?»
«No, il latte non c’entra» disse Windle.
Lupine si stava facendo accarezzare la testa, posata in grembo a Ludmilla. Aveva perso un dente, e il pelo era un disastro. Aprì un occhio e fissò Windle con uno sguardo giallo da cospiratore, mentre si faceva lisciare gli orecchi. Ecco un cane fortunato, pensò Windle, che approfitterà della sua fortuna, alzerà una zampa e mugolerà.
«Bene» disse Windle. «Ora, Bibliotecario… stava per aiutarci, se non sbaglio».
«Povero cane coraggioso» disse Ludmilla.
Lupine sollevò una zampa con aria patetica, e mugolò.
Oberato dalla figura urlante del Tesoriere, l’altro cestino di ferro non riuscì a raggiungere la velocità del suo defunto compagno. Aveva anche una ruota inutilizzabile. Sbandava spericolatamente da una parte all’altra e quasi si cappottò mentre usciva dal cancello procedendo di traverso.
«Lo vedo! Lo vedo benissimo!» gridò il Decano.
«No! Potrebbe colpire il Tesoriere!» urlò Ridcully. «Potrebbe danneggiare un bene dell’Università!»
Ma il Decano non riusciva a sentirlo, per via del rombo insolito del testosterone. Una palla di fuoco verde incandescente colpì il carrello sghembo. L’aria si riempì di rotelle volanti.
Ridcully respirò a fondo.
«Razza di stupido…!» gridò.
La parola che pronunciò non era familiare a quei maghi che non avevano avuto la sua stessa robusta educazione campagnola e non sapevano nulla delle sottigliezze della zootecnia. Ma si materializzò a pochi centimetri dalla sua faccia; era grassa, tonda, nera e lucente, con delle sopracciglia orribili. Gli fece una pernacchia e raggiunse in volo il piccolo sciame di imprecazioni.
«Che stracavolo era quello?»
Una cosa più piccola si materializzò vicino al suo orecchio.
Ridcully si afferrò il cappello.
«Maledizione!» Lo sciame aumentò di una unità. «Qualcosa mi ha punto!»
Uno squadrone di maledizioni appena nate rivendicò coraggiosamente la libertà. Lui cercò di acciaccarle senza successo.
«Via, bast…»
«Non lo dica!» scongiurò il Sommo Algebrico. «Faccia silenzio!»
Nessuno diceva mai all’Arcicancelliere di fare silenzio. Il silenzio era una cosa che facevano gli altri. Lo choc lo zittì.
«Volevo dire che ogni volta che lei impreca quelle prendono vita» si affrettò ad aggiungere il Sommo Algebrico. «Piccole cose orrende con le ali spuntano fuori dal nulla».
«Miseriaccia schifosa!» disse l’Arcicancelliere.
Pop. Pop.
Il Tesoriere strisciò fuori confuso dal groviglio dei rottami del carrello. Ritrovò il suo cappello a punta, lo spolverò, lo provò, aggrottò la fronte e tolse una rotella da dentro. I suoi colleghi non gli prestarono molta attenzione.
Sentì l’Arcicancelliere che diceva: «Ma io l’ho sempre fatto! Non c’è niente di male in una bella imprecazione, aiuta la circolazione del sangue. Attenzione, Decano, una di quelle dann…»
«Non potrebbe dire qualcos’altro?» gridò il Sommo Algebrico, per sovrastare il ronzio dello sciame.
«Per esempio?»
«Per esempio… Oh… ‘perbacco’».
«Perbacco?»
« Sì, o magari ‘caspita’».
« Caspita? Vuole che io dica caspita?»
Il Tesoriere si avvicinò al gruppo. Litigare su dettagli insignificanti nel mezzo di una emergenza dimensionale era tipico dei maghi.
«La signora Whitlow, la governante, dice sempre ‘Melassa!’ quando fa cadere qualcosa» propose.
L’Arcicancelliere si voltò verso di lui.
«Dirà pure melassa» ringhiò, «ma quello che intende è me…»
I maghi si abbassarono. Ridcully riuscì a trattenersi.
«Oh, caspita» disse in tono infelice. Le imprecazioni si posarono dolcemente sul suo cappello.
«La adorano» disse il Decano.
«Certo, è il loro papà» disse il professore di Rune Recenti.
Ridcully li fulminò con un’occhiata. «Voialtri b… bravi ragazzi smettetela di fare gli sciocchi alle spalle del vostro Arci-cancelliere e scoprite che c… cosa sta succedendo» disse.
I maghi guardarono ansiosamente in aria. Non apparve nulla.
«Sta andando benissimo» disse il professore di Rune Recenti. «Continui così».
«Perbacco perbacco perbacco» disse l’Arcicancelliere. «Melassa melassa melassa. Caspitina caspiterina caspita», scosse la testa. «Non va bene per niente, non mi dà nessun sollievo».
«Comunque ha ripulito l’aria» disse il Tesoriere.
Gli altri notarono la sua presenza per la prima volta.
Guardarono ciò che restava del carrello.
«Cose che sfrecciano in giro» disse Ridcully. «Cose che prendono vita».
Si voltarono improvvisamente verso un cigolio familiare. Altre due cestini a rotelle attraversarono di corsa la piazza fuori dai cancelli. Uno era pieno di frutta. L’altro era per metà pieno di frutta e per l’altra metà di un bambino piccolo e urlante.
I maghi rimasero a bocca aperta. Un corteo di persone correva dietro ai carrelli. Leggermente in testa agli altri, con i gomiti che fendevano l’aria, una donna disperata e decisa superò i cancelli dell’Università.
L’Arcicancelliere afferrò un uomo massiccio che avanzava pesantemente ma con grande buona volontà in coda agli altri.
«Cos’è successo?»
«Stavo mettendo delle pesche in quel cesto quando a un certo punto è saltato su ed è corso via!»
«E il bambino?»
«E chi lo sa? Quella donna aveva uno di quei cesti, ha comprato delle pesche da me e poi…»
Si voltarono tutti. Un cesto uscì di corsa da un vicolo, li vide, fece un’abile inversione e schizzò via attraverso la piazza.
«Ma perché?» rispose Ridcully.
«Ma perché sono comodi per metterci la roba dentro, no?» disse l’uomo. «Dovevo portare le pesche. Lo sa come si ammaccano».
«Vanno tutti nella stessa direzione» disse il professore di Rune Recenti. «L’avete notato?»
«Inseguiamoli!» gridò il Decano. Gli altri maghi, troppo confusi per discutere, gli caracollarono dietro.
«No…» cominciò Ridcully, poi si rese conto che non aveva senso. E stava anche perdendo l’iniziativa. Formulò con cura il grido di battaglia più garbato della storia della censura.
«Carica, che il cielo li confonda!» urlò, e corse dietro al Decano.
Bill Porta lavorò per tutto un lungo faticoso pomeriggio, alla testa di un corteo di legatori e accatastatori.
Finché si sentì un grido, e gli uomini corsero verso il recinto.
Il grosso campo di Iago Peedbury era proprio dall’altra parte. I braccianti stavano spingendo la Mietitrebbiatrice attraverso il cancello.
Bill raggiunse gli altri e si affacciò oltre la siepe. Si vedeva la figura lontana di Simnel che dava istruzioni. Un cavallo spaventato fu legato agli assi. Il fabbro salì sul piccolo seggiolino metallico al centro del macchinario, e prese le redini.
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