È giovane, ecco tutto. Datele tempo, e imparerà ad amare ciò che di buono le viene offerto, e a perdonare il resto.
Poco dopo arrivò anche il dottore, e tutt’e tre chiacchierarono ancora un po’, e non fu che a pomeriggio inoltrato che Scambiastorie si trovò nuovamente solo con Peggy e poté chiederle ciò per cui era andato da lei.
«A che distanza riesci a vedere, Peggy?»
Sul viso della ragazza scese quasi palpabile la diffidenza, come una spessa cortina di velluto. «Non penso che mi stiate chiedendo se ho bisogno di un paio d’occhiali» mormorò.
«Mi stavo solo chiedendo che fine avesse fatto una bambina che una volta ha scritto sul mio libro: ‘È nato un Creatore’. Mi stavo chiedendo se tenga ancora d’occhio quel Creatore, ogni tanto, giusto per sapere come se la cava».
Peggy distolse lo sguardo da lui, fissando la grande finestra. Il sole era basso e il cielo grigio, ma il suo viso era soffuso di luce. Era una cosa che saltava agli occhi, pensò Scambiastorie. Alle volte non importava essere una fiaccola per capire che cosa si agitasse nel cuore di un’altra persona.
«Mi chiedo se quella fiaccola ha visto la trave che una volta gli è caduta addosso» proseguì Scambiastorie.
«Me lo chiedo anch’io».
«O una macina da mulino».
«Può darsi».
«E mi chiedo se in qualche modo non sia stata lei a spaccare in due quella trave, o a incrinare la macina in modo che un vecchio chiacchierone potesse scorgere la luce della lanterna dall’altra parte della fenditura».
Negli occhi della ragazza brillavano le lacrime, non come se avesse avuto voglia di piangere, ma piuttosto come se avesse fissato il sole e questo l’avesse fatta lacrimare. «Basta ridurre in polvere un pezzetto del cappuccio con cui è nato, e uno può usare gli stessi poteri del ragazzo per improvvisare qualche rozza creazione» disse sommessamente.
«Ma adesso ha cominciato a rendersi conto dei propri poteri, e ha disfatto ciò che tu avevi fatto per lui».
La ragazza annuì.
«Devi sentirti molto sola, a sorvegliarlo così da lontano».
Peggy scosse la testa. «Sola? No. Sono continuamente circondata dalla gente». Guardò Scambiastorie e sorrise debolmente. «È quasi un sollievo trascorrere del tempo con l’unico ragazzo che da me non vuole nulla, perché non sa nemmeno che esisto».
«Io però lo so» ribatté Scambiastorie. «Eppure non voglio niente».
La ragazza sorrise. «Vecchio imbroglione».
«Va bene, qualcosa voglio, ma non per me. Ho conosciuto il ragazzo, e anche se non riesco a leggere nel suo cuore come fai tu, credo di conoscerlo bene. Penso di sapere che cosa potrebbe diventare, che cosa potrebbe fare, e voglio che tu sappia che se mai avrai bisogno del mio aiuto per qualsiasi cosa, basta che tu me lo faccia sapere, basta che tu mi dica che cosa debbo fare, e, se è in mio potere, lo farò».
Peggy non rispose, né lo guardò.
«Finora non hai avuto bisogno di aiuto» proseguì Scambiastorie, «ma adesso il ragazzo ha maturato una volontà propria, e non sarai più in grado di aiutarlo come prima. I pericoli non consisteranno più soltanto in cose che gli cadono addosso o lo feriscono nella carne. Pericoli non meno gravi potranno derivare anche da ciò che egli stesso deciderà di fare. Voglio semplicemente dirti che, se tu vedessi simili pericoli e avessi bisogno del mio aiuto, puoi contare su di me».
«Questo mi consola» disse la ragazza. Era sincera, Scambiastorie lo sentiva; ma sentiva pure che in lei si agitava qualcos’altro.
«Volevo anche dirti che verrà qui il primo di aprile, per iniziare il suo apprendistato col fabbro».
«So che verrà» disse Peggy, «ma non il primo di aprile».
«Davvero?»
«E nemmeno entro quest’anno».
La paura per il ragazzo attraversò il cuore di Scambiastorie come una pugnalata. «In fin dei conti, allora, sembra proprio che sia venuto qui per sapere il futuro. Che cosa gli riserva? Che cosa accadrà?»
«Potrebbe accadergli di tutto» rispose Peggy, «e sarei una stupida a cercare d’indovinare che cosa. Il suo futuro lo vedo sempre come mille strade aperte dinanzi a lui. Ma pochissime di quelle strade lo conducono qui in aprile, mentre molte di più lo vedono morto con la scure di un Rosso piantata nella testa».
Scambiastorie si chinò sopra lo scrittoio del medico, posando le mani su quelle della ragazza. «Vivrà?» chiese.
«Finché avrò fiato per respirare» rispose Peggy.
«E finché l’avrò io» concluse Scambiastorie.
Sedettero in silenzio per qualche istante, mano nella mano, guardandosi negli occhi, finché Peggy non scoppiò a ridere distogliendo lo sguardo.
«Di solito quando gli altri ridono ne capisco il perché» disse Scambiastorie.
«Stavo solo pensando a noi due, e a che povero simulacro di congiura rappresentiamo, considerando i nemici che il ragazzo dovrà affrontare».
«È vero, ma la nostra è una buona causa, e la natura intera congiurerà insieme a noi, non ti sembra?»
«E Dio stesso» aggiunse Peggy in tono deciso.
«Su questo non ci giurerei» disse Scambiastorie. «Mi sembra che pastori e preti l’abbiano talmente imbrigliato con la loro dottrina che il povero vecchio Padre ha a malapena lo spazio di muoversi. Adesso che hanno interpretato la Bibbia fino all’ultima parola, l’ultima cosa che desidererebbero sarebbe che Egli facesse nuovamente sentire la Sua voce o mettesse la Sua mano nelle cose di questo mondo».
«Ho visto intervenire la Sua mano qualche anno fa, nella nascita di un settimo figlio d’un settimo figlio» ribatté Peggy. «Chiamatela pure natura se volete, visto che siete andato a scuola da maghi e filosofi. Io so soltanto che la sua vita è inestricabilmente legata alla mia, come se fossimo nati dallo stesso ventre».
La domanda successiva Scambiastorie non l’aveva pensata in anticipo, ma gli venne alle labbra da sola: «E ne sei felice?»
La ragazza lo guardò con occhi colmi d’una spaventosa tristezza. «Di solito no» disse. In quel momento parve così stanca che Scambiastorie non poté fare a meno di alzarsi e di andare al suo fianco e abbracciarla come un padre avrebbe abbracciato una figlia, tenendola stretta a lungo. Se piangesse o si trattenesse, lui non l’avrebbe saputo dire. Nessuno dei due pronunciò una parola. Alla fine lei si liberò dell’abbraccio e si chinò di nuovo sul registro. Scambiastorie se ne andò senza rompere il silenzio.
A passo lento, tornò alla locanda dove lo aspettava la cena. Lì, se voleva guadagnarsi vitto e alloggio, aveva storie da raccontare e faccende da sbrigare. Ma ogni storia pareva impallidire dinanzi all’unica storia che non poteva raccontare, all’unica storia della quale non conosceva la fine.
Sul prato intorno al mulino c’era una mezza dozzina di carri, osservati con occhio vigile dai contadini venuti da lontano per procurarsi farina di buona qualità. Le loro mogli non avrebbero più dovuto sudare con mortaio e pestello per macinare una farina di grana grossa buona soltanto per un pane duro e grumoso.
L’acqua correva impetuosa nella gora, facendo girare la grande ruota a pale. All’interno della costruzione la forza motrice della ruota veniva trasmessa, attraverso una serie d’ingranaggi, alla mola che girava senza interruzione sopra la grande macina solcata da un disegno ad angolo retto.
Il mugnaio versava il grano sulla macina; la mola, passando e ripassando, lo triturava trasformandolo in farina. Con una scopa, il mugnaio prima stendeva uniformemente la farina per un secondo passaggio, poi la faceva cadere in un cesto sorretto dal figlio, un ragazzo sui dieci anni. Il ragazzo versava la farina in un setaccio, che poi scuoteva in modo da riempire di farina bianca un sacco di tela; ciò che restava nel setaccio, lo vuotava in un cassone di legno. Quindi tornava al fianco del padre per riempire un altro cesto.
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