Orson Card - Il settimo figlio

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Alvin Miller è venuto al mondo in un’America in cui bianchi e indiani vivono in pace e George Washington è stato decapitato dagli inglesi. Magie, incantesimi e misteriose potenze negative sono presenze quotidiane e normali in questo “mondo alternativo” Ma Alvin è protetto da tutte le energie positive del Creato, perché, secondo un’antica profezia, “il settimo figlio di un settimo figlio avrà in sé poteri tali da far tremare il mondo”.

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Measure riprese a fischiettare. Era una strana melodia, che Alvin non ricordava di avere mai udito prima d’allora. A dire il vero non sembrava neanche una melodia. Non si ripeteva mai, ma continuava ad andare avanti con combinazioni di note sempre nuove, come se Measure la inventasse strada facendo. Mentre Alvin se ne stava lì disteso ad ascoltarla, la melodia assunse l’aspetto di un sentiero che avanzava serpeggiando attraverso regioni selvagge, e lui cominciò a seguirlo. Non che vedesse niente, come sarebbe accaduto nel caso di una vera mappa. Semplicemente sembrava che quella melodia volesse mostrargli il centro delle cose, e tutto ciò che pensava, lo pensava come se si fosse trovato proprio là. Gli parve quasi di poter vedere tutto ciò che aveva pensato fino allora, nel tentativo di trovare il modo di aggiustare quel punto malato nel suo osso, solo che adesso vedeva tutto da una certa distanza, come se si fosse trovato più in alto sul pendio d’un monte, o in una radura aperta, insomma un posto da dove riusciva a vedere di più.

D’un tratto gli venne in mente qualcosa a cui prima d’allora non aveva mai pensato. Quando si era rotto la gamba e la pelle si era squarciata, tutti si erano resi conto che era grave, ma nessuno l’aveva potuto aiutare tranne lui stesso. Aveva dovuto aggiustare tutto quanto dall’interno. Adesso, però, nessun altro poteva vedere la ferita che lo stava uccidendo. E anche se lui poteva vederla, non poteva fare assolutamente nulla per farla guarire.

Perciò forse stavolta avrebbe dovuto farsi aiutare da qualcun altro. Senza nessun genere di arti segrete. Con una normalissima, banale, cruenta operazione chirurgica.

«Measure» mormorò.

«Sono qui».

«Forse ho capito come fare a guarire quella gamba» disse Alvin.

Measure si chinò accostando il viso a quello del fratello. Alvin non aprì gli occhi, ma avvertì il suo respiro sulla guancia.

«Quel punto malato nell’osso sta crescendo, ma il male non si è ancora diffuso» disse Alvin. «Io non posso farci niente, ma penso che se qualcun altro mi tagliasse via quel pezzo d’osso e me lo togliesse dalla gamba, io potrei fare il resto».

«Tagliarlo via?»

«La sega da ossa che usa papà quando taglia la carne, penso che quella andrebbe benissimo».

«Ma se non c’è un chirurgo nel giro di trecento miglia».

«Allora credo che qualcuno farà meglio a imparare, e in fretta, perché altrimenti sono morto».

Measure adesso respirava più in fretta. «Pensi che tagliare l’osso ti salverebbe la vita?»

«È la migliore soluzione che sia riuscito a trovare».

«Potresti rovinarti la gamba per sempre».

«Se muoio, non credo che me ne importerà molto. E se vivo, ne sarà valsa la pena».

«Vado a chiamare papà». Measure spinse indietro la sedia e uscì alla svelta dalla stanza.

Thrower lasciò che Armor lo precedesse sulla veranda dei Miller. Gli sembrava difficile che potessero respingere il genero. Le sue preoccupazioni si rivelarono però infondate. Fu comare Faith ad aprire la porta, non quel pagano di suo marito.

«Ebbene, reverendo Thrower, siete molto gentile a venirci a trovare» disse, ma il tono allegro delle sue parole era smentito dal viso stanco e tirato. Negli ultimi tempi non sembrava che in quella casa si fosse dormito molto bene.

«Sono io che l’ho portato, mamma Faith» disse Armor. «È venuto solo perché gliel’ho chiesto».

«Il pastore della nostra chiesa sarà sempre il benvenuto in casa mia tutte le volte che vorrà farvi sosta» asserì Faith.

Così dicendo, li fece entrare nella sala grande. Alcune ragazze sedute in gruppo davanti al camino a tagliare i riquadri di stoffa per una coperta alzarono lo sguardo su di lui. Il figlio più piccolo, Cally, stava facendo esercizio di scrittura su un’assicella con un carboncino preso dal focolare.

«Sono contento di vederti scrivere» disse Thrower.

Cally si limitò a lanciargli un’occhiata da sotto in su. Nel suo sguardo Thrower lesse una vaga ostilità. Evidentemente al ragazzo non piaceva affatto che il maestro venisse a rivedergli i compiti proprio lì, nella casa che fino a quel momento aveva considerato un rifugio inviolabile.

«Sei bravo» lo elogiò Thrower, cercando di metterlo a suo agio. Calvin non rispose, ma riabbassò lo sguardo sulla lavagna improvvisata e riprese a tracciare faticosamente una lettera dopo l’altra.

Armor giunse subito al punto. «Mamma Faith, siamo venuti per via di Alvin. Voi sapete quali siano le mie idee sulla stregoneria, ma prima d’ora non ho mai detto una sola parola contro quello che voialtri fate in questa casa. Ho sempre pensato che fossero affari vostri, e non miei. Ma quel ragazzo sta pagando l’intero prezzo per quanto di riprovevole avete lasciato accadere qui dentro. Di sicuro ha perpetrato qualche stregoneria sulla propria gamba, e adesso dentro di lui c’è un diavolo che lo uccide lentamente, e io ho portato qui il reverendo Thrower perché lo scacci».

Comare Faith parve sconcertata. «In questa casa non ci sono diavoli».

Ah, povera donna, disse silenziosamente Thrower. Se solo tu sapessi da quanto tempo qui risiede Satana. «È possibile abituarsi alla presenza di un diavolo fino a non rendersene più conto» mormorò.

Una porta di fianco alle scale si aprì, e il signor Miller ne uscì camminando all’indietro. «No» disse rivolto a chiunque si trovasse nella stanza. «Se qualcuno deve tagliare la gamba del ragazzo, non sarò certo io».

Udendo la voce del padre, Cally balzò in piedi e corse da lui. «Papà, Armor ha portato qui il vecchio Thrower per ammazzare il diavolo».

Il signor Miller si voltò col viso contorto in un’espressione difficile da interpretare, e guardò i visitatori come se a stento riuscisse a riconoscerli.

«Questa casa è protetta da potenti talismani» affermò comare Faith.

«Quei talismani non sono che un richiamo per il diavolo» la corresse Armor. «Voi credete che proteggano la vostra casa, ma in realtà ne scacciano il Signore».

«In questa casa non sono mai entrati diavoli» insisté Faith.

«Certo non da soli» disse Armor. «Siete stati voi a chiamarli con le vostre arti magiche. Con la stregoneria e l’idolatria avete costretto lo Spirito Santo ad abbandonare la vostra casa, e una volta scacciato il bene, è naturale che i diavoli facciano il loro ingresso. Non appena scorgono un’occasione per far danno, subito si precipitano».

Thrower cominciò a temere che Armor stesse parlando troppo di cose che in realtà non capiva affatto. Sarebbe stato molto meglio che si fosse limitato a chiedere se Thrower poteva pregare al capezzale di Alvin. Adesso invece Armor delimitava il terreno per uno scontro che non sarebbe mai dovuto avvenire.

E qualsiasi cosa stesse accadendo nella testa del signor Miller, era evidente che quello non era il momento migliore per provocarlo. Miller avanzò lentamente verso Armor. «Stai forse affermando che chi entra a far danno in casa altrui può essere soltanto un servo di Satana?»

«Vi offro la mia testimonianza come quella di colui che ama il Signore Gesù…» cominciò a dire Armor, ma prima che potesse procedere oltre con la sua testimonianza, Miller lo aveva agguantato per la spalla del soprabito e la cintura dei pantaloni, e lo aveva costretto a girarsi verso la porta.

«Sarà meglio che qualcuno apra la porta!» ruggì Miller. «O tra un istante là nel mezzo ci sarà soltanto un buco!»

«Che cosa crederesti di fare, Alvin Miller?» urlò sua moglie.

«Scacciare i diavoli!» esclamò Miller. Nel frattempo Cally aveva spalancato la porta, e Miller, accompagnato il genero fin sulla veranda, lo scaraventò di sotto. Il grido oltraggiato di Armor venne soffocato dalla neve, dopo di che non fu più possibile udire granché perché Miller aveva chiuso e sbarrato la porta.

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