E poi aveva lasciato loro qualcos’altro. Un figlio amatissimo tolto di sotto a una macina da mulino che stava per cadere. Un padre che adesso aveva la forza di mandar via il proprio figlio prima di ucciderlo. Un nome per l’incubo di un ragazzo, in modo che questi potesse capire che il suo nemico non era una fantasia, ma una realtà. L’incoraggiamento sussurrato a un bambino ferito perché guarisse se stesso.
E un unico disegno, inciso con la punta d’un coltello arroventato su un’assicella di legno di quercia ben lucidato. Scambiastorie avrebbe preferito lavorare con cera e acido sul metallo, ma in quei luoghi sarebbe stato impossibile trovarli. Così si era arrangiato alla meglio, tracciando quelle linee a fuoco nel légno. Il disegno rappresentava un giovane travolto dalla corrente impetuosa di un fiume, che, impigliato tra le radici di un albero, cercava di riprendere fiato mentre il suo sguardo fissava impavido la morte. Nella sua semplicità, all’Accademia d’Arte del Lord Protettore quel disegno non avrebbe ottenuto che disprezzo. Ma quando comare Faith lo vide, scoppiò in pianto e lo strinse a sé bagnandolo di lacrime. E quando Alvin Miller lo vide, annuì e disse: «Ecco la vostra visione, Scambiastorie. Senza averla mai vista, avete disegnato la sua faccia alla perfezione. È Vigor. È il mio ragazzo». Quindi si mise a piangere anche lui.
Lo collocarono sulla mensola del camino. Poteva non essere un capolavoro, pensò Scambiastorie, ma era vero, e per quella gente significava molto più di ciò che un qualsiasi ritratto avrebbe potuto significare per un vecchio grassone di nobile o di parlamentare a Londra, Camelot, Parigi o Vienna.
«È ormai giorno chiaro» disse comare Faith. «Ne avete di strada da fare prima di sera».
«Non potete rimproverarmi se sono riluttante a partire, anche se sono felice che mi abbiate affidato questa commissione. Cercherò di non deludervi». Così dicendo, diede un colpetto alla tasca nella quale aveva riposto la lettera per il fabbro del fiume Hatrack.
«Non potete andarvene senza salutare il ragazzo» disse Miller.
Scambiastorie aveva rimandato il più possibile quel momento. Annuì, quindi si alzò dalla comoda poltrona accanto al fuoco e andò nella camera dove aveva fatto le più belle dormite della sua vita. Era bello vedere Alvin Junior con gli occhi aperti, il viso allegro, non più inespressivo com’era stato per qualche tempo, o corrugato dalla sofferenza. Ma il dolore c’era ancora. Scambiastorie lo sapeva.
«Ve ne andate?» chiese il ragazzo.
«Me ne vado, ma prima volevo salutarti».
Alvin parve leggermente irritato. «Così non avete intenzione di farmi scrivere nel vostro libro?»
«Non ci faccio scrivere tutti, lo sai».
«Papà ce l’avete fatto scrivere. E anche la mamma»
«E anche Cally».
«Chissà che meraviglia» disse Alvin. «Cally scrive come un… come un…».
«Come un bambino di sette anni». Era un rimprovero, ma Alvin non intendeva farsi intimidire.
«E perché io no? Perché Cally sì, e io no?»
«Perché alle persone io faccio scrivere solo la cosa più importante che abbiano mai fatto o visto con i loro stessi occhi. Tu che cos’avresti scritto?»
«Non so. Forse qualcosa sulla macina da mulino».
Scambiastorie fece una smorfia.
«Allora forse sulla mia visione. È stata importante, l’avete detto voi stesso».
«E infatti ne ho già scritto altrove».
«Ma nel libro volevo scriverci io» protestò Alvin. «Volevo che la mia frase fosse lì dentro, accanto a quella di Ben il Creatore».
«Non è ancora il momento» disse Scambiastorie.
«Quando, allora?»
«Quando le avrai suonate al vecchio Distruttore, ragazzo. Ecco quando ti permetterò di scrivere nel libro».
«E se non ci riesco?»
«Allora anche di questo libro non sarà rimasto granché».
Ad Alvin spuntarono le lacrime agli occhi. «E se muoio?»
Scambiastorie avvertì un brivido di paura. «Come va la gamba?»
Il ragazzo alzò le spalle. Battendo le palpebre, ricacciò indietro le lacrime. Un istante dopo erano scomparse.
«Non è una risposta, ragazzo».
«Continua a farmi male».
«Continuerà finché l’osso non si sarà saldato».
Alvin Junior sorrise debolmente. «L’osso è completamente saldato».
«E allora perché non cammini?»
«Mi fa male, Scambiastorie. E non smette. C’è qualcosa che non va nell’osso, e non ho ancora capito come rimediare».
«Troverai un modo».
«Ancora non l’ho trovato».
«Un vecchio cacciatore di pellicce una volta mi disse: ‘Per scuoiare una pantera non importa se si parte dalla testa o dalla coda, purché alla fine si arrivi allo scopo’».
«Sarebbe un proverbio?»
«All’incirca. Prima o poi un modo lo troverai, anche se non è quello che ti aspetti».
«Niente è come me lo aspetto» disse Alvin. «Niente va a finire come mi ero immaginato».
«Hai solo dieci anni, ragazzo. Sei già stanco del mondo?»
Alvin continuò a tormentare la coperta tra il pollice e l’indice. «Sto morendo, Scambiastorie».
Scambiastorie studiò il suo viso, cercando di cogliervi i segni della morte. Non ci riuscì. «Non credo».
«Quel punto malato nella gamba. Sta crescendo. Lentamente forse, ma sta crescendo. È invisibile, e intanto pian piano rosicchia la parte dura dell’osso, e dopo un po’ andrà sempre più in fretta e…».
«Il Distruttore avrà partita vinta».
Stavolta Alvin si mise a piangere sul serio, le mani tremanti. «Ho paura di morire, Scambiastorie, ma questa cosa mi è entrata dentro e non riesco a mandarla via».
Scambiastorie gli posò una mano sulla sua, per arrestare il tremito. «Troverai un modo. Hai troppo da fare su questa terra per morire adesso».
Alvin roteò gli occhi. «Questa è la più grossa stupidaggine che abbia sentito da un anno a questa parte. Solo perché uno ha delle cose da fare, questo non vuol dire che non morirà».
«Ma vuol dire che non morirà volentieri » .
«Certo che non morirei volentieri».
«Ecco perché troverai un modo per vivere».
Alvin restò in silenzio per qualche secondo. «Ci ho pensato. A quello che farò se non morirò. Come quello che ho fatto per far stare meglio la mia gamba. Scommetto che posso farlo anche per gli altri. Posso toccarli e sentire cosa gli succede dentro e aggiustare quello che non va. Non sarebbe bello?»
«Tutti quelli che guariresti te ne sarebbero eternamente grati».
«Penso che la prima volta sia stata la più difficile, e quando l’ho fatto non ero particolarmente forte. Scommetto che agli altri potrei farlo molto più in fretta».
«Può darsi. Ma anche se guarisci cento malati al giorno, e poi vai da un’altra parte e ne guarisci altri cento, ci saranno sempre diecimila persone che moriranno alle tue spalle, e altre diecimila davanti a te, e quando tu stesso morirai, saranno morti anche quasi tutti quelli che avrai guarito».
Alvin girò il viso dall’altra parte. «Se so come guarirli, bisogna che li guarisca, Scambiastorie».
«Quelli che potrai guarire, farai bene a guarirli» disse Scambiastorie. «Ma non nel senso di farne la missione della tua vita, Alvin. Mattoni nel muro, Alvin, ecco che cosa sarebbero. Nient’altro. Non riusciresti mai a tenerti al passo nel riparare i mattoni che si sgretolano. Guarisci pure chi ti capita sotto le mani, ma la missione della tua vita è un’altra, ben più importante».
«Io so come guarire le persone. Ma non so come sconfiggere il Dis… il Distruttore. Non so nemmeno chi sia».
«Ma finché sei l’unico che riesce a vederlo, sei anche l’unico che abbia qualche speranza di sconfiggerlo».
«Può darsi».
Un altro lungo silenzio. Scambiastorie capì che era il momento di andarsene.
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