Orson Card - Il settimo figlio

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Alvin Miller è venuto al mondo in un’America in cui bianchi e indiani vivono in pace e George Washington è stato decapitato dagli inglesi. Magie, incantesimi e misteriose potenze negative sono presenze quotidiane e normali in questo “mondo alternativo” Ma Alvin è protetto da tutte le energie positive del Creato, perché, secondo un’antica profezia, “il settimo figlio di un settimo figlio avrà in sé poteri tali da far tremare il mondo”.

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«Aspettate».

«Adesso debbo andare».

Alvin gli afferrò la manica. «Non ancora».

«Presto».

«Almeno… almeno lasciatemi leggere quello che gli altri hanno scritto».

Scambiastorie mise la mano nella bisaccia e ne tirò fuori l’astuccio impermeabile che conteneva illibro. «Non posso prometterti di spiegartene il significato».

Alvin fu lesto a trovare le ultime frasi, che non avevano ancora iniziato a scolorirsi.

Nella calligrafia di sua madre: «Vigor spinge un tronco e non muore finché non nasce il bambino».

Nella calligrafia di David: «Una macina da mulino si divide in due e poi torna intera, nemmeno una crepa».

Nella calligrafia di Cally: «Settimo figlio».

Alvin alzò lo sguardo. «Non si riferisce a me, sapete».

«Lo so» disse Scambiastorie.

Alvin tornò a leggere. Nella calligrafia di suo padre: «Non uccide un ragazzo perché uno straniero arriva in tempo».

«Di che cosa sta parlando?» chiese Alvin.

Scambiastorie gli prese il libro dalle mani e lo richiuse. «Trova il modo di guarire quella gamba» disse. «Non sei l’unico ad aver bisogno che torni forte. Non è per te, ricordi?»

Si chinò a baciare il ragazzo sulla fronte. Alvin alzò le braccia e lo strinse così forte che Scambiastorie non avrebbe potuto drizzarsi senza tirarlo di peso fuori dal letto. Dopo un po’, il vecchio dovette prendergli le braccia e allontanarle da sé. Aveva la guancia bagnata delle lacrime di Alvin, ma non se ne curò. Lasciò che ad asciugarla fosse il vento, mentre arrancava sul sentiero gelido e asciutto, coi campi di neve mezza sciolta che si estendevano a destra e a sinistra.

Si fermò un momento sul secondo ponte coperto. Giusto il tempo necessario a chiedersi se sarebbe più tornato in quel luogo, e se li avrebbe più rivisti. O se Alvin Junior avrebbe mai scritto la sua frase sul libro. Se fosse stato un profeta l’avrebbe saputo. Ma non ne aveva la più pallida idea.

Così riprese il cammino, dirigendo i suoi passi verso oriente.

XIII

L’ OPERAZIONE

Il Messo era comodamente seduto sull’altare, appoggiato con disinvoltura al braccio sinistro in modo che il busto restasse leggermente inclinato. Una posa così disinvolta il reverendo Thrower l’aveva vista assumere una volta a un elegantone di Camelot, un dissoluto libertino che evidentemente disprezzava tutto ciò che le chiese puritane di Scozia e d’Inghilterra stavano a significare. Nel vedere il Messo in un atteggiamento così irriverente, Thrower si sentì non poco a disagio.

«E perché?» chiese il Messo. «Solo perché l’unico modo in cui tu riesci a mantenere il controllo delle tue passioni carnali consiste nel sedere col busto eretto, le ginocchia unite, le mani delicatamente appoggiate in grembo, le dita strettamente intrecciate, non significa affatto che io sia tenuto a fare lo stesso».

Thrower era imbarazzato. «Non è giusto rimproverarmi per i miei pensieri».

«Certo che lo è, quando i tuoi pensieri mi rimproverano per le mie azioni. Guardati dall’ hybris , amico mio, guardati dal vano orgoglio. Chi mai può ritenersi tanto virtuoso da poter giudicare le azioni degli angeli?»

Era la prima volta che il Messo si riferiva a se stesso come a un angelo.

«Non mi sono riferito a me stesso come a un bel niente » disse il Messo. «Devi imparare a controllare i tuoi pensieri, Thrower. Salti troppo facilmente alle conclusioni».

«Perché sei qui?»

«È qualcosa che riguarda colui che ha fabbricato questo altare» disse il Messo. E diede un colpetto a una delle croci che Alvin Junior aveva inciso a fuoco nel legno.

«Ho fatto del mio meglio, ma a quel ragazzo non si può insegnare niente. Dubita di tutto e contesta ogni affermazione teologica come se potesse essere sottoposta al vaglio di quei principi di coerenza e non contraddittorietà che prevalgono nel mondo della scienza».

«In altre parole, vorrebbe che le tue dottrine avessero senso logico».

«Non è disposto ad accettare l’idea che certe cose restino un mistero, comprensibile solo alla mente di Dio. L’ambiguità lo rende impudente, e il paradosso causa in lui aperta ribellione».

«Un ragazzo insopportabile».

«Il peggiore che mi sia mai capitato» ammise Thrower.

Lo sguardo del Messo lampeggiò. Thrower avvertì una fitta al cuore.

«Ho tentato» balbettò Thrower. «Ho tentato di rivolgerlo al servizio del Signore. Ma l’influenza del padre…».

«Chi attribuisce il proprio fallimento alla forza altrui è soltanto un debole» disse il Messo.

«Ma ancora non ho fallito!» esclamò Thrower. «Mi avevi detto che avevo tempo finché il ragazzo non avesse compiuto i quattordici…».

«No. Ti ho detto che io avevo tempo finché il ragazzo non avesse compiuto i quattordici anni. Tu invece hai tempo solo finché egli resta qui».

«Non mi risulta che i Miller vogliano trasferirsi altrove. Hanno appena sistemato la macina del mulino, a primavera cominceranno a macinare il grano, non se ne andrebbero senza…».

Il Messo scese dall’altare ergendosi davanti al pastore. «Lascia che io ti ponga questo caso, reverendo Thrower. Puramente ipotetico. Supponiamo che tu sia nella stessa stanza col peggior nemico di tutto ciò che io rappresento. Supponiamo ch’egli sia infermo, e giaccia impotente nel suo letto. Se guarisse, verrebbe condotto fuori dalla tua portata, e avrebbe via libera per distruggere tutto ciò che tu e io più veneriamo. Ma se morisse, la nostra grande causa sarebbe salva. Adesso supponiamo che qualcuno ti metta in mano un coltello, e t’implori di compiere sul ragazzo un delicato intervento chirurgico. E supponiamo che scivolandoti la mano, anche solo di un capello, il coltello recida un’arteria importante. E supponiamo che, indugiando tu anche solo per qualche istante, il sangue esca tanto copiosamente che in pochi istanti egli ne muoia. In questo caso, reverendo Thrower, quale sarebbe il tuo dovere?»

Thrower era inorridito. Per tutta la vita si era preparato a insegnare, persuadere, esortare, spiegare. Mai a compiere un atto come quello che il Messo gli aveva suggerito. «Non sono adatto a questo genere di cose» farfugliò.

«Non sei adatto al regno di Dio?» chiese il Messo.

«Ma il Signore ha detto: ‘Non uccidere’».

«Davvero? È questo ciò che disse a Giosuè indicandogli la via della Terra Promessa? È questo ciò che disse a Saul quando lo inviò contro gli Amaleciti?»

Thrower ripensò a quei foschi passi del Vecchio Testamento, e tremò di paura al pensiero di prender parte a simili imprese.

Ma il Messo non intendeva dargli tregua. «Samuele, giudice d’Israele, ordinò al re Saul di uccidere tutti gli Amaleciti… uomini, donne e fanciulli. Ma Saul non ebbe il coraggio di farlo. Risparmiò il re degli Amaleciti e lo riportò indietro vivo. Che cosa fece allora il Signore per punirlo della sua disobbedienza?»

«Scelse Davide perché regnasse al suo posto» mormorò Thrower.

Ora il Messo era vicinissimo a Thrower e lo trafiggeva col suo sguardo di fuoco. «E poi che cosa fece Samuele, giudice d’Israele, mite servitore di Dio?»

«Ordinò che Agag, re degli Amaleciti, gli venisse condotto dinanzi».

Il Messo continuò a incalzarlo, implacabile. «E Samuele che cosa fece?»

«Lo uccise» sussurrò Thrower.

« Che cosa dice esattamente la Scrittura? Che cosa fece Samuele? » ruggì il Messo. Le pareti della chiesa tremarono, le vetrate tintinnarono.

Thrower adesso piangeva dalla paura, ma pronunciò le parole che il Messo gli aveva richiesto: «Samuele lo fece a pezzi… dinanzi al Signore».

L’unico rumore nella chiesa era il respiro ansimante di Thrower che cercava di controllare il suo pianto isterico. Il Messo gli sorrise con occhi colmi d’amore e d’indulgenza. Un istante dopo era scomparso.

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