Margaret Weis - Il destino dei gemelli
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Crysania si ritrasse davanti a quel terribile sarcasmo, e vide Caramon sussultare come se le parole di Raistlin fossero state tanti minuscoli aculei avvelenati che gli erano stati lanciati contro, penetrandogli nella pelle. Ma il mago non parve accorgersene, o forse la cosa non gì’importava.
Stava leggendo il libro degli incantesimi aperto sulla scrivania, mormorando parole sommesse e tracciando simboli nell’aria con le mani sottili.
«Sì, sono sopravvissuto alla tua prova,» replicò Caramon con calma. Entrò nella stanza e venne illuminato dalla luce del bastone. Crysania trattenne il fiato per la paura.
«Raistlin!» gridò, arretrando da Caramon, quando l’omone avanzò lentamente, con in pugno la spada insanguinata. «Raistlin, guarda!» esclamò Crysania, incespicando contro la scrivania accanto alla quale si trovava il mago, entrando senza saperlo dentro il cerchio di polvere d’argento. Alcuni granelli di polvere rimasero appiccicati al fondo della sua veste, scintillando alla luce del bastone.
Irritato da quell’interruzione, il mago levò lo sguardo.
«Sono sopravvissuto alla tua prova,» ripetè Caramon, «come tu sei sopravvissuto alla Prova della Torre. Là hanno infranto il tuo corpo. Qui tu hai infranto il mio cuore. Adesso al suo posto non c’è nulla, soltanto un gelido vuoto, nero come le tue vesti. E come la lama di questa spada, è intriso di sangue. Un povero, sventurato minotauro è morto trafitto da questa lama. Un amico ha dato la sua vita per me, un’amica è morta fra le mie braccia. Hai mandato il kender a morire, non è vero? E quanti altri sono morti per portare avanti i tuoi malvagi disegni?». La voce di Caramon divenne un letale bisbiglio.
«Questo mette la parola fine a tutto, fratello mio. Nessun altro morirà per causa tua. Salvo uno, io stesso. È giusto, non è vero, Raist? Siamo venuti al mondo insieme, e insieme lo lasceremo.»
Fece un altro passo avanti. Raistlin parve sul punto di parlare, ma Caramon lo interruppe.
«Non puoi usare la tua magia per fermarmi, non questa volta. Conosco questo incantesimo che intendi lanciare. So che richiederà tutta la tua potenza, tutta la tua concentrazione. Se userai anche la più piccola frazione di magia contro di me, non avrai più la forza per lasciare questo posto, e il mio scopo sarà stato ugualmente raggiunto. Se non morirai per mano mia, morirai per mano degli dei.»
Raistlin fissò suo fratello senza fare nessun commento, poi, scrollando le spalle, tornò a leggere il suo libro. Fu soltanto quando Caramon fece un altro passo avanti, e Raistlin sentì sferragliare l’armatura dorata, che il mago sospirò per l’esasperazione e levò lo sguardo sul suo gemello. I suoi occhi, che luccicavano dalle profondità del cappuccio, parevano gli unici punti di luce della stanza.
«Ti sbagli, fratello mio,» disse Raistlin con voce sommessa. «C’è un altro che morirà.» Il suo sguardo simile a uno specchio andò a Crysania, che era rimasta sola fra i due fratelli, con le vesti bianche che spiccavano nel buio.
Gli occhi di Caramon s’intenerirono per la pietà quando anche lui guardò Crysania, ma la determinazione sulla sua faccia non vacillò. «Gli dei la prenderanno con loro,» disse, misurando le parole. «Lei è un vero chierico. Nessuno dei veri chierici è morto nel Cataclisma. È per questo che Par-Salian l’ha mandata indietro nel tempo.» Tendendo la mano, indicò. «Guarda, la ce n’è uno che aspetta.»
Crysania non ebbe bisogno di voltarsi a guardare. Sentiva la presenza di Loralon.
«Vai da lui, Reverenda Figlia,» le disse Caramon. «Il tuo posto è alla luce, non qui nell’oscurità.»
Raistlin non disse niente, non fece movimenti di alcun genere; si limitò a rimanere in silenzio alla scrivania, con la mano sottile appoggiata sul libro degli incantesimi.
Crysania non si mosse. Le parole di Caramon le martellavano nella mente come le ali delle creature malefiche che svolazzavano intorno alla Torre dell’Alta Stregoneria. Udì le parole, ma per lei non avevano alcun significato. Tutto quello che poteva vedere era se stessa, che reggeva nella mano quella luce splendente guidando il popolo. La Chiave... il Portale... Vide Raistlin che teneva in mano la Chiave, lo vide che le faceva segno di avvicinarsi. Ancora una volta sentì il tocco delle labbra di Raistlin che le ardeva sulla fronte.
Una luce tremolò e si spense. Loralon se n’era andato.
«Non posso,» cercò di dire Crysania, ma non si udì nessuna voce. Non ce n’era bisogno. Caramon comprese. Esitò, fissandola per un unico, lungo istante, poi sospirò.
«Così sia,» disse infine Caramon, con freddezza, mentre anche lui avanzava nel cerchio d’argento.
«Un’altra morte non significherà molto per nessuno di noi due, adesso, non è vero, fratello mio?»
Crysania fissava affascinata la spada insanguinata che risplendeva alla luce del bastone.
L’immaginò con grande chiarezza che le trafiggeva il corpo e, sollevando lo sguardo e guardando Caramon negli occhi, vide che anche lui s’immaginava la stessa cosa ma che neppure questo l’avrebbe fatto desistere. Lei non era niente per lui, neppure un essere umano vivente che respirava.
Era soltanto un ostacolo sulla sua strada, che le impediva di arrivare al suo vero obbiettivo, suo fratello.
Che terribile odio! pensò Crysania e poi, guardando nelle profondità di quegli occhi che adesso erano così vicini ai suoi, ebbe un improvviso lampo d’intuizione: che terribile amore!
Caramon le si lanciò addosso con una mano protesa, pensando di afferrarla e di scagliarla da parte.
Spinta dal panico, Crysania schivò la sua stretta, barcollando all’indietro e finendo addosso a Raistlin il quale non fece nessun movimento per toccarla. La mano di Caramon ghermì soltanto una manica della sua veste lacerandogliela e stappandola via. In preda al furore, Caramon scagliò a terra il bianco tessuto, e adesso Crysania seppe di dover morire. Ma continuò a interporre il proprio corpo fra quello di Raistlin e suo fratello.
La spada di Caramon balenò.
Disperata, Crysania strinse il medaglione di Paladine che le cingeva la gola.
«Fermo!». Urlò quell’ordine nel medesimo istante in cui chiudeva gli occhi per la paura. Il suo corpo si ritrasse in attesa del terribile dolore dell’acciaio che le lacerava le carni. Poi udì un gemito e il tonfo metallico di una spada che cadeva sul pavimento di pietra. Il sollievo la invase e fu colta da una debolezza improvvisa; fu sul punto di svenire. Singhiozzando, sentì che stava per cadere.
Ma mani snelle e agili l’afferrarono; braccia sottili e muscolose la strinsero, una voce sommessa pronunciò il suo nome in tono di trionfo. Fu avvolta da una calda oscurità, vi affogò dentro, affondando sempre più in basso. E sentì bisbigliare al suo orecchio le parole della strana lingua della magia. Come mani o ragni che l’accarezzassero, le parole strisciarono sopra il suo corpo. Il salmodiare delle parole divenne sempre più forte, la voce di Raistlin sempre più alta. La luce argentea avvampò, poi scomparve. La stretta del braccio di Raistlin intorno a Crysania si serrò ancor più nell’estasi, e si sentì roteare, imprigionata in quell’estasi, vorticando via insieme a lui in mezzo alla tenebra.
Gli mise le braccia intorno alle spalle, gli appoggiò la testa sul petto e si lasciò affondare nella tenebra. Mentre cadeva, le parole della magia si mescolarono al canto del suo sangue e al canto delle pietre del Tempio...
E in mezzo a tutto questo, una singola nota discordante: un gemito aspro e straziante.
Tasslehoff Burrfoot sentì le pietre che cantavano, ed esibì un sorriso sognante. Ricordò di essere un topo che zampettava in mezzo alla polvere d’argento mentre le pietre cantavano...
Tas si risvegliò all’improvviso. Giaceva su un freddo pavimento di marmo, coperto di polvere e di macerie. Sotto di lui il suolo aveva ricominciato a tremare e a fremere. Tas seppe, a causa della strana e insolita sensazione di paura che andava crescendo dentro di lui, che stavolta gli dei facevano sul serio. Stavolta il terremoto non sarebbe finito.
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