Margaret Weis - Il destino dei gemelli

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Dopo averli visti cadere Caramon si girò di scatto e, preso lo slancio, si avventò con tutto il peso del suo corpo massiccio contro l’orco, piantando le spalle nello stomaco di Raag con tutta la forza che gli era stata data da quei mesi di allenamento. Era un colpo che avrebbe ucciso un essere umano, ma fece soltanto mancare il fiato all’orco. La violenza della carica di Caramon li mandò a sbattere violentemente tutti e due contro il muro.

Disperatamente, mentre Raag annaspava per riprendere il fiato, Caramon cercò di afferrare il robusto randello dell’orco. Ma proprio mentre lo strappava dalla stretta di Raag, l’orco si riprese.

Ululando per la collera Raag sollevò entrambe le mani massicce sotto il mento di Caramon, sferrando un colpo che fece schizzare il grosso guerriero dentro l’arena.

Atterrando pesantemente, per qualche istante Caramon non riuscì a vedere assolutamente niente, salvo il cielo e la terra che turbinavano tutt’intorno a lui. Ma, anche se stordito per il colpo, il suo istinto di guerriero prese il sopravvento. Cogliendo un movimento alla sua sinistra, Caramon guizzò via rotolando sul fianco, proprio nell’istante in cui il tridente del minotauro si piantava nel punto in cui si era trovato il braccio col quale di solito Caramon impugnava la spada. Sentì il minotauro che ringhiava e grugniva in preda ad una furia bestiale.

Caramon lottò per rimettersi in piedi, scrollando la testa per schiarirsela, ma sapeva che non avrebbe mai potuto sperare di evitare il secondo colpo del minotauro. E poi un corpo nero s’interpose fra lui e il Minotauro Rosso. Vi fu un lampeggiare d’acciaio quando la spada di Pheragas bloccò il colpo del tridente che avrebbe finito Caramon. Barcollando, Caramon arretrò per riprendere fiato e sentì le mani fresche di Kiiri che lo aiutavano a sorreggersi.

«Stai bene?» borbottò.

«Un’arma!» riuscì a rantolare Caramon, con la testa che ancora gli rintronava a causa del colpo infertogli dall’orco.

«Prendi la mia,» gli disse Kiiri, spingendo la sua spada corta tra le mani di Caramon. «Poi riposati un momento. Mi occupo io di Raag.»

L’orco, impazzito per la rabbia e l’eccitazione della battaglia, si era lanciato contro di loro come un bolide, con le mascelle sbavanti spalancate.

«No! Ne hai bisogno...» cominciò a protestare, ma Kiiri si limitò a rivolgergli un sogghigno.

«Osserva!» esclamò, poi pronunciò strane parole che richiamarono vagamente a Caramon il linguaggio della magia. Queste, però, avevano un lieve accento che ricordava la lingua elfa.

E d’un tratto Kiiri non c’era più. Al suo posto si ergeva un’orsa gigantesca. Caramon rimase senza fiato, incapace per un momento di capire cos’era successo. Poi ricordò: Kiiri era una sirine, dotata del potere di’ cambiar forma!

Inalberandosi sulle zampe posteriori, l’orsa torreggiò sopra l’enorme orco. Raag si arrestò di colpo, spalancando gli occhi, allarmato a quella vista. Kiiri ruggì per la rabbia, facendo balenare i denti aguzzi. La luce del sole si rifletté vivida sui suoi artigli quando una delle sue enormi zampe sferzò l’aria e colpì l’orco sulla faccia chiazzata.

L’orco ululò per il dolore, rivoli di sangue giallastro colarono dai segni lasciati dall’artiglio, un occhio scomparve in mezzo a una sanguinolenta massa gelatinosa. L’orsa balzò addosso all’orco.

Guardando, in preda allo sgomento, Caramon riuscì a vedere soltanto, in un turbine, la pelle gialla, la pelliccia marrone e il sangue.

Anche la folla, che pure all’inizio aveva lanciato un urlo deliziato, era divenuta d’un tratto conscia che quel combattimento non era simulato. Questo era reale. Qualcuno stava per morire. Vi fu un momento di scioccato silenzio, poi, qua e là, qualcuno applaudì. Ben presto i battimani e le urla divennero assordanti.

Ma Caramon dimenticò rapidamente la gente nelle tribune. Vide la sua possibilità. Adesso soltanto il nano gli bloccava l’uscita, e il volto di

Arack, anche se contorto per la rabbia, tradiva ugualmente, nelle sue smorfie, la paura. Caramon poteva facilmente passare...

In quel momento udì un grugnito di piacere del minotauro. Voltandosi, Caramon vide Pheragas accasciarsi al suolo per il dolore, colpito al plesso solare dal manico del tridente. Il minotauro invertì l’arma, alzandola per uccidere, ma Caramon cacciò un urlo, distraendo il minotauro quel tanto che bastava per fargli perdere lo slancio.

Il Minotauro Rosso si voltò per affrontare quella nuova sfida, con un sogghigno sulla faccia rossa e pelosa. Vedendo Caramon armato soltanto di una spada corta, il sogghigno del minotauro si allargò.

Scagliandosi addosso a Caramon, il minotauro cercò di affrettare la fine del combattimento. Ma Caramon lo schivò con destrezza; sollevando il piede sferrò un calcio, frantumando la rotula del minotauro. Fu un colpo doloroso e paralizzante, che lo fece ruzzolare al suolo.

Sapendo che il suo avversario era fuori combattimento, almeno per qualche istante, Caramon corse accanto a Pheragas. Il nero era ancora rannicchiato al suolo e si stringeva lo stomaco.

«Suvvia,» grugnì Caramon, cingendolo alla vita con un braccio. «Ti ho visto altre volte beccarti colpi del genere per poi alzarti e andare a trangugiare un pasto di cinque portate. Cosa succede?»

Ma non vi fu risposta. Caramon sentì il corpo dell’uomo tremare con- v vulsamente, e vide che la lucida pelle nera era bagnata di sudore. Poi Caramon vide i tre tagli sanguinanti che il tridente aveva lasciato sul braccio di Pheragas...

Pheragas sollevò lo sguardo verso il suo amico. Vedendo l’orrore nei suoi occhi, si rese conto che Caramon aveva capito. Rabbrividendo per il dolore causatogli dal veleno che scorreva nelle sue vene, Pheragas cadde in ginocchio. Il grosso braccio di Caramon lo cingeva alla vita.

«Prendi... prendi la mia spada.» Pheragas soffocò. «Presto, sciocco!» Sentendo, dai suoni che produceva il suo nemico, che il minotauro era di nuovo in piedi, Caramon esitò solo un istante, poi prese la grande spada dalla mano di Pheragas.

Pheragas rantolò al suolo contorcendosi per il dolore.

Stringendo la spada, con le lacrime che gli accecavano gli occhi, Caramon si sollevò e si girò di scatto, bloccando l’improvviso affondo del minotauro. Anche se zoppicava da una gamba, la forza del minotauro era tale da riuscire a compensare facilmente quella dolorosa lesione. Inoltre il minotauro sapeva che bastava soltanto un nonnulla per uccidere la sua vittima, e Caramon avrebbe dovuto entrare nell’arco d’azione del tridente per usare la spada.

I due si guatarono, mentre si giravano intorno lentamente. Caramon non sentiva più la folla che pestava i piedi e fischiava e applaudiva impazzita alla vista del vero sangue. Non pensava più alla fuga, non aveva più alcuna idea di dove si trovasse. I suoi istinti di guerriero avevano preso il sopravvento. Sapeva una sola cosa: doveva uccidere.

E così, aspettò. Pheragas gli aveva insegnato che i minotauri avevano un grosso difetto. Credendosi indistintamente superiori a tutte le altre razze, i minotauri sottovalutavano l’avversario. Facevano errori, bastava aspettarli al varco. Il Minotauro Rosso non faceva eccezione. Caramon poteva avvertire con chiarezza i pensieri del minotauro: dolore e collera indignazione per l’insulto subito, il desiderio bramoso di metter fine alla vita di quell’insignificante e stupido umano.

I due si stavano avvicinando sempre di più al punto in cui Kiiri era ancora avvinta a Raag in un combattimento, che da quello che Caramon poteva giudicare dagli schianti, i ringhii e le urla acute dell’orco era feroce. D’un tratto, in apparenza distrattosi a guardare Kiiri, Caramon scivolò su una pozza di viscido sangue giallo. Il Minotauro Rosso, ululando deliziato, si scagliò in avanti per impalare sul tridente quel corpo umano

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