Margaret Weis - Il destino dei gemelli
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Ma la scivolata era una finta. La spada di Caramon balzò alla luce del sole. Il minotauro, avvedendosi di essere stato raggirato, cercò di riprendersi dallo slancio in avanti. Ma si era dimenticato del ginocchio lesionato. Questo non poteva sorreggere il suo peso, e il Minotauro Rosso crollò al suolo mentre la spada di Caramon troncava di netto quella testa bestiale.
Disincagliando la spada con uno strattone, Caramon udì un orribile ringhio alle sue spalle e si voltò giusto in tempo per vedere le mascelle della grande orsa che si chiudevano sul gigantesco collo di Raag. Con un energico scuotimento del capo, Kiiri morse in profondità la giugulare. j bocca dell’orco si spalancò in un urlo che nessuno avrebbe mai sentito
Caramon fece per avvicinarsi, quando notò un improvviso movimento alla sua destra. Si girò fulmineo, ogni nervo vibrante, quando Arack gli sfrecciò accanto: il volto del nano era un’orrenda maschera di dolore e di furore. Caramon vide balenare il pugnale nella mano del nano, e si lanciò in avanti, ma era ormai troppo tardi. Non riuscì a fermare la lama prima che affondasse nel petto dell’orsa. Subito la mano del nano fu innondata di caldo sangue rosso. La grande orsa ruggì per il dolore e la collera. Una enorme zampa saettò in avanti. Afferrando il nano con le ultime, convulse energie, Kiiri sollevò Arack e lo scagliò attraverso l’arena. Il corpo del nano andò a schiantarsi contro la Guglia della Libertà dov’era appesa la chiave d’oro, impalandosi su una delle numerose decorazioni argentate. Il nano cacciò un urlo stridulo, spaventoso, poi l’intero pinnacolo crollò, abbattendosi dentro il pozzo sottostante colmo di fiamme.
Kiiri cadde, il sangue sgorgava dallo squarcio che aveva sul petto. La folla era in delirio, gridava e urlava il nome di Caramon. L’omone non li sentiva. Chinandosi, prese Kiiri tra le braccia.
L’incantesimo che aveva intessuto si sciolse. L’orsa non c’era più, era Kiiri quella che stringeva al petto.
«Hai vinto, Kiiri,» bisbigliò Caramon. «Sei libera.»
Kiiri levò lo sguardo su di lui e sorrise. Poi i suoi occhi si spalancarono, la vita li lasciò. Il suo sguardo morente rimase fisso sul cielo, quasi (così parve a Caramon) in attesa, come se adesso sapesse quello che stava per accadere.
Dopo aver disteso delicatamente il suo corpo sul terreno dell’arena inzuppato di sangue, Caramon si risollevò. Vide il corpo di Pheragas immobilizzarsi negli ultimi spasimi dell’agonia. Vide gli occhi fìssi e ciechi di Kiiri.
«Risponderai di questo, fratello mio,» disse Caramon con voce sommessa.
Udì un rumore alle sue spalle, un mormorio come quello rabbioso d’un mare in tempesta. Truce in volto, Caramon strinse la spada e si voltò, preparandosi ad affrontare qualunque nuovo nemico l’aspettasse. Ma non c’era nessun nemico, soltanto gli altri gladiatori. Alla vista del volto di Caramon, macchiato di sangue e rigato dalle lacrime, si trassero da parte ad uno ad uno, facendogli strada.
Guardandoli, Caramon capì che, finalmente, era libero. Libero di cercare suo fratello, libero di metter fine per sempre alla schiavitù. Sentì la sua anima librarsi, la morte aveva poco significato per lui, e non gli faceva nessuna paura. L’odore del sangue era nelle sue narici, e si sentiva colmato dalla dolce follia della battaglia.
Adesso, in preda alla più intensa bramosia di vendetta, Caramon corse fino ai margini dell’arena, preparandosi a scendere le scale che conducevano giù nelle gallerie che correvano sotto di essa, quando il primo dei terremoti frantumò la città condannata di Istar.
Capitolo diciottesimo
Crysania non vide né udì Tasslehoff. La sua mente era accecata da una miriade di colori che turbinavano dentro le sue profondità, sfavillando come splendidi gioielli, poiché all’improvviso aveva capito. Era per questo che Paladine l’aveva riportata qui, non per redimere il ricordo del Gran Sacerdote, ma per imparare dai suoi errori. E sapeva, sapeva nella sua anima, di aver imparato.
Poteva appellarsi agli dei e questi le avrebbero risposto, non con la collera, ma con il potere! La fredda oscurità dentro di lei spezzò il guscio e la creatura liberata esplose alla luce del sole.
Come in una visione contemplò se stessa che teneva sollevato in alto con una mano il medaglione di Paladine, la cui superficie di platino lampeggiava al sole. Con l’altra mano chiamava a sé legioni di credenti, e questi si affollavano intorno a lei con espressioni rapite e adoranti mentre li conduceva verso terre di una bellezza al di là di ogni immaginazione.
Sapeva di non possedere ancora la chiave che apriva la porta. E non poteva accadere qui, l’ira degli dei era troppo grande perché lei potesse penetrarla. Ma dove trovare la Chiave, o perfino la porta?
Quella danza di colori la stordiva, non riusciva a vedere e neppure a pensare. E poi sentì una voce, una piccola voce, e delle mani la tirarono per le vesti. «Raistlin...» sentì che la voce diceva, il resto delle parole andò smarrito. Ma d’un tratto la sua mente si schiarì. I colori sparirono, così come la luce, lasciandola sola in quella tranquilla oscurità che leniva la sua anima.
«Raistlin,» mormorò. «Lui ha cercato di dirmelo...»
Ma quelle mani la stringevano ancora. Con fare assente se le staccò di dosso e le spinse via.
Raistlin l’avrebbe condotta fino al Portale, l’avrebbe aiutata a trovare la Chiave. Il male si rivolge contro se stesso, aveva detto Elistan. Così Raistlin l’avrebbe aiutata senza volerlo. L’anima di Crysania cantava un inno di gioia a Paladine. Quando tornerò nella mia gloria, con la bontà in mano, quando tutto il male del mondo sarà stato vinto, allora lo stesso Raistlin vedrà la mia potenza, e finirà per capire e credere.
«Crysania!»
Il suolo tremò sotto i piedi di Crysania, ma lei non si accorse del tremito. Sentì una voce che chiamava il suo nome, una voce sommessa, rotta da colpi di tosse.
«Crysania,» disse ancora la voce. «Non c’è molto tempo. Fai presto!»
La voce di Raistlin! Guardandosi intorno con occhi spiritati, Crysania lo cercò, ma non vide nessuno. E poi si rese conto che stava parlando alla sua mente, che la stava guidando. «Raistlin,» mormorò, «ti sento. Sto arrivando.»
Voltandosi, corse lungo la corsia e uscì dal Tempio. Il grido del kender alle sue spalle cadde su orecchie sorde.
«Raistlin?» si chiese Tas, perplesso, guardandosi intorno. Poi capì. Crysania stava andando da Raistlin! In qualche modo, magicamente, lui la stava chiamando e lei lo avrebbe trovato! Tasslehoff si precipitò a sua volta fuori nel corridoio del Tempio, inseguendo Crysania. Certo, avrebbe indotto Raistlin a riparare il congegno...
Una volta fuori, Tas guardò nelle due direzioni, e vide subito Crysania. Ma il cuore quasi gli balzò dal petto: correva così rapidamente che aveva raggiunto l’estremità del corridoio.
Accertandosi che i frammenti del congegno frantumato fossero al sicuro nella sua borsa, Tas, con espressione risoluta, si lanciò all’inseguimento di Crysania, tenendo d’occhio le bianche vesti svolazzanti.
Sfortunatamente la cosa non durò molto a lungo. Crysania scomparve ben presto dietro un angolo.
Il kender corse come non aveva mai corso prima, neppure quando gli immaginari terrori del Bosco di Shoikan l’avevano perseguitato. Il ciuffo dei capelli sbatteva al vento dietro di lui, le sue borse gli rimbalzavano intorno all’impazzata, spargendo fuori il loro contenuto, lasciandosi dietro una scia luccicante di anelli, braccialetti e altri ninnoli.
Stringendo saldamente la borsa che conteneva il congegno magico, Tas raggiunse l’estremità del corridoio e slittò intorno ad essa, andando a sbattere, nella fretta, contro la parete opposta. Oh, no! Il cuore, dopo avergli sobbalzato in petto, gli cadde ai calcagni con un tonfo. Cominciò a desiderare, con uno scatto irritato, che il suo cuore se ne stesse tranquillo. Le sue acrobazie cominciavano a dargli la nausea.
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