Margaret Weis - Il destino dei gemelli

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Ma quando li riaprì, non fu così.

«Ho fatto tutto nel modo giusto. Voleva che lo rompessi!» Tas piagnucolò, rabbrividendo.

«Perché? Per farci arenare qui! Per farci morire tutti? No! Vuole Crysania, lo hanno detto i maghi della Torre. Ecco!» Tas si girò di scatto. «Crysania!»

Ma il chierico non lo sentì né lo vide. Con lo sguardo fisso davanti a sé, immobile, malgrado il pavimento le tremasse sotto i ginocchi là dov’era genuflessa, gli occhi di Crysania ardevano di un’arcana luce interiore. Le sue mani, ancora congiunte come in preghiera, erano serrate con tale forza l’una sull’altra che le dita erano diventate d’un rosso scarlatto e le nocche bianchissime.

Le sue labbra si muovevano. Stava pregando?

Correndo di nuovo dietro le tende, Tas si affrettò a raccogliere ogni più minuscolo frammento del congegno ingioiellato. Raccolse la catenella che era scivolata quasi del tutto dentro una crepa del pavimento, poi ficcò il tutto in una borsa e la chiuse accuratamente. Dando un’ultima occhiata al pavimento, strisciò fuori nella Camera Sacra.

«Crysania,» bisbigliò. Detestava dover disturbare le sue preghiere, ma la faccenda era troppo urgente.

«Crysania?» disse ancora, avvicinandosi e fermandosi accanto a lei, dal momento che appariva ovvio che non era neppure consapevole della sua presenza.

Osservando le sue labbra, vi lesse le parole silenziose:

«So...» stava dicendo Crysania, «so qual è stato il-mio errore! Forse a me gli dei concederanno quello che hanno negato a lui!»

Tirando un profondo respiro, abbassò la testa. «Grazie, Paladine. Grazie!» la sentì intonare Tas, con fervore. Poi, Crysania si alzò rapidamente in piedi. Lanciando un’occhiata un po’ stupita agli oggetti che tutt’intorno a lei nella stanza si agitavano in una danza mortale, il suo sguardo guizzò sopra la testa del kender senza vederlo.

«Crysania!» barbugliò il kender, questa volta tirandola per le vesti bianche, «Crysania, l’ho rotto! L’unica nostra via di scampo per tornare! Una volta ho rotto un globo dei draghi. Ma quel giorno lo feci apposta! Questo non ho mai avuto intenzione di romperlo. Povero Caramon! Devi aiutarmi! Vieni con me, parla a Raistlin, fa’ in modo che l’aggiusti!»

Il chierico abbassò su Tasslehoff uno sguardo privo d’espressione, come se il kender fosse un estraneo che l’avesse accostata per strada, «Raistlin!» mormorò, staccando con gentilezza ma con fermezza le mani del kender dalla sua veste. «Certo! Aveva cercato di dirmelo, ma io non ho voluto ascoltare. E adesso so. Conosco la verità!»

Spingendo via Tas, Crysania raccolse le sue morbide vesti bianche, corse fuori dalla fila dei banchi e si precipitò lungo la corsia centrale senza guardare una sola volta dietro di sé, mentre le fondamenta stesse del Tempio sobbalzavano.

Fu soltanto quando Caramon ebbe cominciato a salire le scale che conducevano fuori nell’arena che Raag rimosse i legacci che imprigionavano i polsi del gladiatore. Flettendo le dita e sogghignando, Caramon seguì Kiiri e Pheragas e il Minotauro Rosso fino al centro dell’arena. Il pubblico l’applaudì. Caramon, prendendo il suo posto fra Kiiri e Pheragas, lanciò un’occhiata nervosa al cielo. Era passata l’Alta Veglia e il sole aveva incominciato la sua lunga discesa.

Istar non sarebbe mai vissuta per vedere il tramonto.

Pensando a questo, e pensando che anche lui non avrebbe mai più rivisto i raggi del sole inondare lo sperone d’una fortezza, o fondersi con il mare, o illuminare le cime dei vallenwood, Caramon sentì le lacrime pungergli gli occhi. Non piangeva tanto per sé, quanto per quelli che gli erano accanto, i quali quel giorno dovevano morire, e per tutti gli innocenti che sarebbero periti senza capirne il perché.

Piangeva anche per il fratello che aveva amato, ma le sue lacrime per Raistlin erano per qualcuno che era morto molto tempo addietro.

«Kiiri, Pheragas,» disse Caramon a bassa voce quando il minotauro avanzò a grandi passi per inchinarsi da solo davanti agli spettatori, «non so che cosa il mago vi abbia detto, ma io non vi ho mai traditi.»

Kiiri si rifiutò anche soltanto di guardarlo. Vide il suo labbro che si arricciava. Pheragas, lanciandogli un’occhiata con la coda dell’occhio, vide la chiazza delle lacrime sul volto di Caramon ed esitò, corrugando la fronte, prima di volgere anche lui altrove lo sguardo.

«In realtà non ha importanza,» continuò Caramon, «che mi crediate o no. Potete uccidervi tra di voi per la chiave, se volete, poiché io troverò la mia libertà a modo mio.»

Adesso Kiiri lo guardò, con gli occhi spalancati per l’incredulità. La folla era in piedi, urlando il nome del minotauro, il quale stava compiendo il giro dell’arena, agitando il tridente sopra la testa.

«Sei pazzo!» bisbigliò, con la voce più alta che osava emettere. Girò significativamente lo sguardo su Raag. Come al solito l’enorme corpo giallastro dell’orco bloccava l’unica uscita.

Imperturbabile, Caramon seguì la direzione dello sguardo di Kiiri senza che la sua faccia cambiasse espressione.

«Le nostre armi sono vere, amico mio,» disse Pheragas, aspro. «Le tue non lo sono!»

Caramon annuì ma non rispose.

«Non farlo!» Kiiri gli si avvicinò di più. «Oggi ti aiuteremo noi a fingere nell’arena. Cre... credo che nessuno di noi due abbia davvero creduto a quell’uomo dalle Vesti Nere. Devi ammettere che sembrava strano che tu cercassi di far lasciare la città a noi due! Abbiamo pensato, come ha detto lui, che tu volessi il premio tutto per te. Ascolta, fingi di essere ferito proprio all’inizio. Fatti portar fuori. Stanotte ti aiuteremo noi a scappare.»

«Non ci sarà stanotte,» disse Caramon con voce sommessa. «Non per me, non per nessuno di noi. Non ho molto tempo. Non posso spiegare. Tutto quello che chiedo è questo, non cercate di fermarmi.»

Pheragas tirò un sospiro, ma le parole gli morirono sulle labbra quando un altro tremito, questa volta più forte, scosse il terreno.

Adesso tutti se ne accorsero. L’arena ondeggiò sulle sue fondamenta, i ponti sopra i Pozzi della Morte scricchiolarono, il pavimento si alzò e ricadde, facendo quasi perdere l’equilibrio al Minotauro Rosso. Kiiri si afferrò a Caramon. Pheragas piantò i piedi per terra come un marinaio a bordo di un vascello in balia delle onde. La folla delle tribune tacque all’improvviso quando i sedili oscillarono sotto i corpi degli spettatori. Sentendo il crepitio del legno qualcuno urlò. Parecchi balzarono in piedi. Ma il tremito cessò con la stessa rapidità con cui era cominciato. Tutto era ritornato tranquillo... troppo tranquillo. Caramon sentì i capelli che gli si rizzavano sulla testa e gli venne la pelle d’oca. Nessun uccello cantava, non un cane abbaiava. La folla era silenziosa, aspettava in preda alla paura. Devo uscire di qui! decise Caramon. I suoi amici non avevano più importanza, niente aveva importanza. Aveva un unico obbiettivo: fermare Raistlin.

E doveva agire adesso, prima che arrivasse la prossima scossa e prima che la gente si fosse ripresa da quella appena finita. Lanciando una rapida occhiata intorno a sé, Caramon vide Raag accanto all’uscita, il volto giallastro e chiazzato dell’orco era corrugato, perplesso, il suo lento cervello stava cercando di capire quello che stava succedendo. Arack era comparso all’improvviso accanto a lui e si stava guardando intorno. Probabilmente sperava di non trovarsi costretto a rifondere i soldi ai suoi clienti. Già la folla aveva cominciato a quietarsi, anche se molti continuavano a lanciare occhiate incerte tutt’intorno.

Caramon tirò un profondo respiro poi, stringendo Kiiri fra le braccia, la sollevò con tutte le sue forze e scagliò la donna stupefatta addosso a Pheragas, facendoli rotolare tutti e due per terra.

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