Margaret Weis - Il destino dei gemelli

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Arack, saggiamente, mantenne alta l’andatura dei primi combattimenti, rendendoli leggeri, perfino comici. Per l’occasione aveva importato qualche nano dei burroni, e li aveva mandati nell’arena dando loro delle vere armi (che, naturalmente, non avevano nessuna idea di come usare). Il pubblico ululava la sua contentezza, ridendo fino alle lacrime alla vista dei nani che inciampavano sulle loro stesse spade, vibrandosi stoccate feroci con l’elsa dei pugnali, oppure voltando le spalle e scappando fuori dall’arena strillando a squarciagola. Naturalmente il pubblico non si godette il numero quanto gli stessi nani che, alla fine, buttarono via tutte le armi e si lanciarono in un combattimento con il fango. Dovettero esser portati fuori dall’arena a viva forza.

La folla applaudì, ma adesso molti cominciarono a pestare i piedi esigendo, di buonumore ma ugualmente impazienti, l’attrazione principale. Arack tirò la cosa alquanto in lungo ben sapendo, da quell’uomo di spettacolo che era, quanto fosse utile espandere la loro eccitazione. Aveva ragione.

Ben presto le tribune giunsero a oscillare a causa della folla che applaudiva frenetica, batteva i piedi e cantava.

E fu così che nessuno tra la folla sentì il primo tremore.

Caramon lo sentì, e lo stomaco gli sobbalzò quando il suolo tremò sotto i suoi piedi. Si sentì raggelare dalla paura... non la paura di morire, ma la paura di morire senza riuscire a portare a compimento il suo obbiettivo. Sollevando con ansia lo sguardo al cielo, cercò di ricordare ogni singola leggenda che aveva udito sul Cataclisma. Gli parve di ricordare che si era abbattuto verso la metà del pomeriggio. Ma c’erano stati terremoti, eruzioni vulcaniche, spaventosi disastri naturali di ogni genere su tutto Krynn ancora prima che la montagna di fuoco si schiantasse sulla città di Istar facendola affondare talmente in profondità nel suolo che il mare l’aveva sommersa.

Caramon ricordava vividamente le rovine di quella città condannata come le aveva viste dopo che la loro nave era stata risucchiata dentro il vortice di quello che, nel suo tempo, era conosciuto come il Mare di Sangue di Istar. Allora gli elfi del mare li avevano salvati, ma non ci sarebbe stata nessuna salvezza per quella gente. Vide ancora una volta gli edifici contorti e infranti. La sua anima si ritrasse per l’orrore e si rese conto, con un sussulto, di aver tenuto lontano dalla sua mente quel terribile spettacolo.

Non ho mai creduto sul serio che sarebbe successo, si rese conto, rabbrividendo, per la paura, mentre il terreno fremeva quasi per solidarietà. Ho soltanto poche ore a disposizione, forse neppure tanto. Devo uscire da qui. Devo raggiungere Raistlin!

Poi si calmò. Raistlin lo aspettava. Raistlin aveva bisogno di lui, o per lo meno aveva bisogno di un «guerriero addestrato». Raistlin si sarebbe assicurato che lui avesse tempo in abbondanza, tempo di vincere e di arrivare fino a lui. Oppure tempo per perdere e venir sostituito.

Ma fu con una sensazione di enorme sollievo che Caramon sentì cessare il tremito, poi udì la voce di Arack provenire dal centro dell’arena che annunciava lo Scontro Finale.

«Un tempo hanno combattuto come una squadra, signore e signori, e come voi tutti sapete, è stata la migliore squadra che abbiamo mai visto da molti anni a questa parte. Molte volte avete visto uno di loro rischiare la propria vita per salvare quella di un compagno di squadra. Erano come fratelli,»

Caramon trasalì a queste parole, «ma adesso sono acerrimi nemici, signore e signori, poiché quando si tratta della libertà, della ricchezza, di vincere questo Gioco, il più grande di tutti, l’amore deve accontentarsi dell’ultima fila. Daranno tutto di se stessi, di questo potete essere sicuri, signore e signori. Questo è un combattimento all’ultimo sangue fra Kiiri, la Sirine, Pheragas di Ergoth, Caramon il Vittorioso, e il Minotauro Rosso. Non lasceranno questa arena se non con i piedi in avanti!»

La folla applaudì e ruggì. Anche se sapevano che era una finta, adoravano convincere se stessi che non lo era. Il ruggito crebbe d’intensità quando il Minotauro entrò, la sua faccia bestiale come sempre sdegnosa. Kiiri e Pheragas gli lanciarono un’occhiata, guardarono il tridente che impugnava, poi si scambiarono un’occhiata. La mano di Kiiri si serrò intorno al pugnale.

Caramon sentì che il terreno aveva ripreso a tremare. Poi Arack chiamò il suo nome. Era giunto il momento dell’inizio del Gioco.

Tasslehoff sentì il primo tremito e per un momento pensò che fosse soltanto la sua immaginazione, una reazione a quella terribile collera che rullava intorno a loro. Poi vide le tende ondeggiare avanti e indietro e si rese conto che, sì, il suolo tremava davvero...

Attiva il congegno! echeggiò all’improvviso una voce nel suo cervello. Con le mani che gli tremavano, gli occhi puntati sul ciondolo, Tas ripetè le istruzioni:

«Il tuo tempo è il tuo, vediamo, giro la faccia verso di me. ecco. anche se ci viaggi attraverso. sposto questa piastra da destra a sinistra. vedi come si espande, la piastra posteriore cade, formando due dischi collegati da aste... funziona!»

Eccitatissimo, Tass continuò:

«...attraverso l’eternità, giro la cima rivolta verso di me in senso antiorario dal fondo. non ostacolare il suo scorrere. Assicurati che la catenella del ciondolo sia libera... ecco, esatto. Adesso, stringi con mano ferma l’inizio e la fine. Tieni i dischi ad entrambe le estremità. girali su se stessi, così, e tutto quello che è sciolto sarà assicurato. La catenella si arrotolerà da sola dentro il corpo! Non è meraviglioso? Lo sta proprio facendo! Adesso, il destino sarà sopra la tua testa. Lo tengo sopra la mia testa e... aspetta! C’è qualcosa che non va! non credo che debba succedere questo...»

Un minuscolo pezzo ingioiellato cadde dal congegno, colpendo Tas sul naso. Poi un altro, e un altro ancora, fino a quando il kender, sconvolto, si ritrovò in mezzo ad una vera pioggia di frammenti multicolori.

«Cosa?» Tas fissò con occhi spiritati il congegno che teneva sollevato sopra la testa. Con movimenti frenetici girò di nuovo le estremità. Questa volta la pioggia dei frammenti divenne un rovescio, tintinnando sul pavimento con note squillanti simili ai rintocchi delle campane.

Tasslehoff non ne era sicuro, ma non credeva proprio che il comportamento dovesse essere quello.

Comunque, non si poteva mai sapere, specialmente quando si trattava dei giocattoli degli stregoni.

Lo guardò, trattenendo il fiato, aspettando la luce...

D’un tratto il terreno gli sobbalzò sotto i piedi, scagliandolo oltre le tende e facendolo finire lungo disteso sul pavimento ai piedi del Gran Sacerdote. Ma l’uomo non si accorse della presenza del kender dal volto cinereo. Il Gran Sacerdote si guardava intorno con perfetta serenità, osservando con spassionata curiosità le tende che s’increspavano come onde, le minuscole crepe che all’improvviso avevano cominciato a ramificarsi attraverso l’altare di marmo. Sorridendo fra sé, come rassicurato che quella fosse l’acquiescenza degli dei, il Gran Sacerdote voltò le spalle all’altare che si andava sbriciolando e tornò indietro lungo la corsia centrale, passando davanti ai banchi che tremavano e uscendo nella sezione principale del Tempio.

«No!» gemette Tas, scuotendo il congegno. In quell’istante, i sottili cilindri che collegavano le due estremità dello scettro si separarono fra le sue mani. La catena gli scivolò fra le dita. Lentamente, tremando quasi quanto il pavimento sul quale giaceva, Tasslehoff si rialzò, stringendo in mano i pezzi rotti del congegno magico.

«Cos’ho fatto?» gemette Tas. «Ho seguito le istruzioni di Raistlin, sono sicuro di averle seguite! Io...»

E d’un tratto il kender seppe. Attraverso le lacrime tutti quei frammenti luccicanti divennero una macchia confusa. «È stato così carino con: me,» mormorò Tas. «Mi ha fatto ripetere le istruzioni più e più volte, per essere sicuro che tu abbia capito bene, mi aveva detto.» Tas serrò gli occhi, bramando ardentemente che quando li avesse riaperti tutto gli fosse apparso come un brutto sogno.

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