Margaret Weis - La guerra dei gemelli

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Chiudendo gli occhi, Crysania si dimenticò di quel sorriso. Stringendosi a lui, avvolta in quel calore, ascoltò il rapido battito del suo cuore...

Mormorando parole magiche, lui trasformò entrambi in nulla. Le loro ombre parvero librarsi per un istante alla luce della luna, poi anche queste svanirono con un sussurro.

«Lo tieni qui? Nelle segrete?» chiese Crysania, rabbrividendo nell’aria gelida e umida.

«Shirak.» Raistlin fece accendere il cristallo in cima al Bastone di Magius riempiendo la stanza d’una morbida luce. «Giace laggiù,» disse il mago, indicandole il punto.

Un rozzo letto spiccava contro la parete. Rivolgendo a Raistlin un’occhiata di rimprovero, Crysania si affrettò accanto al letto. Quando il chierico s’inginocchiò accanto al kender e gli appoggiò la mano sulla fronte febbricitante, Tas urlò. I suoi occhi si spalancarono di colpo, ma la fissarono senza vederla. Raistlin seguendola più lentamente, fece segno a un nano scuro che era rannicchiato in un angolo. «Lasciaci,» gli intimò il mago, poi si avvicinò anche lui al letto. Sentì la porta della cella che si chiudeva alle spalle del nano.

«Come puoi tenerlo chiuso in una simile oscurità?» l’accusò Crysania. «Hai mai curato prima d’oggi le vittime della peste, Dama Crysania?» le chiese Raistlin, con uno strano tono nella voce.

Sorpresa, lei levò lo sguardo su di lui, poi arrossì e guardò altrove. Sorridendo amaramente, Raistlin rispose alla propria domanda. «No, certo che no. La peste non è mai arrivata a Palanthas. Non ha mai colpito i belli, i ricchi...» Non fece nessuno sforzo per nascondere il proprio disprezzo, e Crysania sentì la propria pelle bruciare, come se fosse lei quella che aveva la febbre.

«Be’, da noi è arrivata,» continuò Raistlin. «Ha spazzato i quartieri più poveri di Haven. Naturalmente, non c’erano guaritori. Né erano molti quelli disposti a restare per curare i malati. Perfino i membri delle loro stesse famiglie li sfuggivano. Povere anime patetiche. Io ho fatto quello che potevo curandoli con l’abilità che avevo acquisito nell’uso delle erbe. Se non potevo guarirli, potevo almeno alleviare i loro dolori. Il mio Maestro disapprovava.» Raistlin parlava in tono sommesso, e Crysania si rese conto che si era dimenticato della sua presenza. «E anche Caramon: diceva di temere per la mia salute. Bah!» Raistlin rise senza allegria. «Temeva per se stesso. Il pensiero della peste lo spaventava più di un esercito di goblin. Ma io, potevo voltar loro la schiena? Non avevano nessuno... nessuno. Poveri sventurati che stavano morendo... in totale solitudine.»

Fissandolo ammutolita, Crysania sentì le lacrime pungerle gli occhi. Raistlin non la vedeva. Nella sua mente, era tornato in quelle piccole, fetide capanne ammucchiate ai margini della città come se fossero corse là a nascondersi. Vide se stesso muoversi fra i malati nelle sue vesti rosse, costringendoli a ingurgitare l’amara medicina, reggendo i morenti fra le braccia, alleviando i loro ultimi istanti. Lavorava tra i malati con animo cupo, senza chiedere nessun ringraziamento, senza aspettarsene nessuno. La sua faccia, l’ultima faccia umana che molti avrebbero visto, non esprimeva né compassione né sollecitudine. Eppure i morenti vi trovavano conforto. Accanto a loro c’era qualcuno che capiva, che viveva quotidianamente nel dolore, che aveva guardato in faccia la morte e non aveva paura...

Raistlin accudiva le vittime della peste. Faceva quello che sentiva di dover fare a rischio della propria vita, ma perché? Per una ragione che non aveva ancora capito. Una ragione, forse, dimenticata...

«In ogni caso,» Raistlin tornò al presente, «ho scoperto che la luce faceva male agli occhi dei malati di peste. Anche gli occhi di quelli che si erano ripresi, spesso subivano...»

Fu interrotto da un urlo terrificante del kender.

Tasslehoff lo stava fissando con occhi spiritati. «Per favore, Raistlin! Sto cercando di ricordare! Non riportarmi dalla Regina delle Tenebre...»

«Zitto, Tas,» disse Crysania con voce sommessa, stringendo il kender con entrambe le mani quando Tas parve tentare, alla lettera, di arrampicarsi dentro la parete alle sue spalle. «Calmati, Tas. Sono Dama Crysania. Mi riconosci? Ti aiuterò.»

Tas puntò il suo sguardo febbricitante e folle sul chierico, guardandola per qualche istante senza capire. Poi con un singhiozzo si aggrappò a lei. «Non lasciare che mi riporti nell’Abisso, Crysania! Non lasciare che ci porti anche te! È orribile... orribile. Moriremo tutti, moriremo come il povero Gnimsh. Me l’ha detto la Regina delle Tenebre!»

«Sta delirando,» mormorò Crysania, cercando di liberarsi dalle mani di Tas, costringendolo a stendersi. «Che strane allucinazioni. Succede a tutte le vittime della peste?»

«Sì,» annuì Raistlin. Fissando intensamente Tas, il mago s’inginocchiò accanto al letto. «Talvolta è meglio assecondarli. Può servire a calmare il malato. Tasslehoff...»

Raistlin appoggiò una mano sul petto del kender, e all’istante Tas crollò sul letto, ritraendosi dal mago, tremando e fissandolo in preda all’orrore. «Sarò bravo, Raistlin,» uggiolò. «Non farmi del male, non come al povero Gnimsh. Lampi! Lampi!»

«Tas,» disse Raistlin con fermezza, con una nota di collera e di esasperazione nella voce che indusse Crysania a fissarlo con aria di rimprovero.

Ma quando vide soltanto un’espressione di fredda preoccupazione sul suo volto, suppose di aver frainteso il tono della sua voce. Chiuse gli occhi e toccò il medaglione di Paladine che portava appeso al collo, cominciando a mormorare una preghiera di guarigione.

«Non ti farò del male, Tas. Sst, non muoverti.» Vedendo Crysania smarrita nella comunione con il suo dio, Raistlin sibilò: «Dimmi, Tas, dimmi cos’ha detto la Regina delle Tenebre.»

Il volto del kender perse l’acceso rossore causato dalla febbre a mano a mano che le sommesse parole di Crysania scivolavano su di lui, più dolci e più fresche delle acque delle sue deliranti fantasticherie. Con il calare della febbre il volto di Tas diventò d’un colore spettrale, cinereo. Un debole bagliore di buon senso riemerse nei suoi occhi. Ma il kender non distolse mai il suo sguardo da Raistlin.

«Me l’ha detto... prima che ce ne andassimo...» disse Tas con voce soffocata.

«Che ve ne andaste?» Raistlin si sporse in avanti. «Credevo che tu avessi detto che siete scappati!»

Tas sbiancò in volto, leccandosi le labbra aride e screpolate. Cercò con uno sforzo di distogliere lo sguardo dal mago, ma gli occhi di Raistlin, scintillando al riflesso del Bastone, trattenevano saldamente il kender spremendogli fuori la verità. Tas deglutì. La gola gli faceva male.

«Acqua,» implorò.

«Quando me l’avrai detto!» ringhiò Raistlin, lanciando un’occhiata a Crysania, che era ancora inginocchiata, con la testa fra le mani, intenta a pregare Paladine.

Tas deglutì dolorosamente. «Pensavo... pensavo che stessimo... scappando. Abbiamo usato i... il congegno, e abbiamo cominciato... a sollevarci. Ho visto... l’Abisso, la pianura, piatta, vuota, precipitare giù sotto i m... miei piedi. E,» Tas rabbrividì, «non era più vuota! C’erano... c’erano ombre e...» Buttò indietro la testa, gemendo. «Oh, Raistlin, non farmelo ricordare! Non farmi tornare laggiù!»

«Zitto!» bisbigliò Raistlin, coprendogli la bocca con la mano. Crysania sollevò lo sguardo preoccupata, ma vide soltanto Raistlin che accarezzava con tenerezza la guancia del kender.

Vedendo il volto pallido e l’espressione terrorizzata di Tas, Crysania corrugò la fronte e scosse la testa.

«Sta meglio,» disse. «Non morirà. Ma ombre buie si librano intorno a lui, impedendo alla luce risanante di Paladine di guarirlo del tutto. Sono le ombre delle sue farneticazioni febbricitanti. Non puoi fare niente per eliminarle?» Le sue delicate sopracciglia s’intrecciarono. «Di qualunque cosa si tratti, sembra sia molto reale per lui. Dev’essere stato qualcosa di davvero orrendo per aver spaventato in questo modo un kender.»

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