Margaret Weis - La guerra dei gemelli
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- Название:La guerra dei gemelli
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«Ma adesso,» il kender si guardò intorno, «la prima cosa da fare è trovare Caramon e dirgli che ho il congegno magico, e che possiamo andare a casa. Non ho mai pensato che l’avrei detto,» proseguì Tas con nostalgia, ruotando le gambe e appoggiando i piedi sul pavimento, «ma “casa” in questo momento suona tremendamente simpatico!»
Era sul punto di alzarsi, ma a quanto pareva le sue gambe preferivano tornare a letto, poiché Tas si ritrovò di nuovo seduto.
«Questo non va bene!» esclamò il kender, fissando con furore le parti disobbedienti del suo corpo.
«Senza di me non siete niente! Ricordatevelo! Sono io il capo, e quando dico muovetevi, voi vi muovete! Adesso, sto per alzarmi di nuovo,» ribadì, ammonendo severamente le sue gambe. «E mi aspetto un po’ di collaborazione.»
Quel discorso ebbe un certo effetto. Questa volta le sue gambe si comportarono un po’ meglio e il kender, anche se ancora un po’ traballante, riuscì ad attraversare la stanza buia verso il corridoio illuminato dalle torce che poteva vedere al di là della porta.
Raggiunta la porta, Tas sbirciò con cautela lungo il corridoio, nelle due direzioni, ma non c’era nessuno in vista. Strisciando fuori nel corridoio, vide soltanto celle buie e sbarrate, come quella in cui si era trovato lui, e ad una estremità una scala che conduceva in alto. Guardando verso l’altra estremità, vide soltanto ombre cupe.
«Chissà dove mi trovo?» Tas s’incamminò lungo il corridoio in direzione della scala, essendo, da quello che poteva vedere, l’unica via che conduceva di sopra. «Oh, be’,» rifletté il kender con filosofia, «non credo che abbia importanza. L’essere stato nell’Abisso ha di buono che qualunque altro posto, non importa quanto squallido, al confronto sembra simpatico.» Dovette fermarsi un momento per una breve discussione con le sue gambe, che parevano ancora assai tentate di tornarsene a letto, ma quella momentanea debolezza passò, e il kender raggiunse la base della scala.
Tendendo l’orecchio, potè udire delle voci.
«Maledizione,» borbottò, fermandosi e arretrando in mezzo alle ombre. «C’è qualcuno, lassù. Guardie, immagino. Sembrano nani. Quei, come li chiamano, Dewar.» Tas rimase immobile in silenzio, cercando di capire cosa stessero dicendo quelle voci profonde. «Una lingua che la gente possa capire... Però sembrano eccitati.»
Finalmente, sopraffatto dalla curiosità, Tas salì furtivo la prima rampa di gradini di pietra e sbirciò da dietro l’angolo. Si ritrasse rapidamente con un sospiro. «Sono in due. Bloccano la scala e non c’è modo di aggirarli.»
Non aveva più le borse con gli utensili e le armi, erano rimaste nella segreta della montagna di Thorbardin. Ma aveva ancora il suo coltello. «Non che serva a molto contro quelle!» rifletté Tas, richiamando alla mente le enormi asce da guerra che aveva visto impugnare ai nani.
Attese qualche altro momento, sperando che i nani se ne andassero. Una cosa era certa: apparivano eccitati, ma sembrava anche che avessero messo radici in quel punto.
«Non posso restare qui tutto il giorno, o la notte, qualunque cosa sia,» mugugnò il kender. «Be’, come diceva papà, “cerca sempre di parlare prima di scassinare la serratura.” Suppongo che il peggio che possano farmi, a parte uccidermi, sia di mettermi di nuovo sotto chiave. E se so giudicare le serrature, probabilmente sarei di nuovo fuori in meno di mezz’ora.» Ricominciò a salire le scale. «È stato papà a dirlo,» rifletté mentre saliva, «oppure lo zio Trapspringer?»
Girò l’angolo e affrontò i due Dewar, i quali parvero considerevolmente sorpresi di vederlo. «Ehi voi!» esclamò il kender con allegria. «Mi chiamo Tasslehoff Burrfoot.» Porse loro la mano. «E voi, come vi chiamate? Oh, non volete dirmelo. Comunque, è probabile che non riuscirei comunque a pronunciare i vostri nomi. Ecco, sono un prigioniero e sto cercando il tipo che mi teneva chiuso a chiave in quella cella laggiù. Forse lo conoscete, un fruitore di magia vestito di nero. Mi stava interrogando quando qualcosa che ho detto lo ha colto di sorpresa, credo, poiché ha avuto una specie di scatto ed è corso fuori della stanza. E si è dimenticato di chiudere la porta alle sue spalle. Qualcuno di voi ha visto da quale parte... Be’!» Tas sbatté le palpebre. «Che maleducati.»
Questo in risposta alla reazione dei Dewar che, dopo aver fissato il kender con crescente espressione di allarme sul viso, avevano urlato una parola, si erano girati ed erano scappati a gambe levate.
«Antarax,» ripetè Tas, seguendoli perplesso con lo sguardo. «Vediamo. Sembra nanesco per... per... Oh, naturalmente! La morte che brucia. Ah... pensano che io abbia ancora la peste! Mmm... è comodo. O no?»
Il kender si ritrovò solo in un altro lungo corridoio, desolato e squallido, in tutto e per tutto simile a quello che aveva appena lasciato. «Non so ancora dove mi trovo, e non c’è nessuno che sembri propenso a dirmelo. L’unica via d’uscita è quella scala laggiù, e quei due sono scappati appunto da quella parte, perciò la cosa migliore da fare, credo, sia quella di seguirli. Caramon deve per forza trovarsi da qualche parte qua dentro.»
Ma le gambe di Tas, che avevano già manifestato la loro avversione a camminare, informarono il kender in termini espliciti che mettersi a correre era fuori questione. Seguì perciò i nani quanto più rapidamente possibile con passo incespicante, ma i due nani erano sfrecciati su per le scale ed erano scomparsi alla sua vista quando arrivò a metà corridoio. Ansimando, sentendosi un po’ stordito ma deciso a trovare Caramon, Tas li seguì su per la scala. Quando girò l’angolo si fermò di colpo.
«Ups!» esclamò, e si affrettò a nascondersi in mezzo alle ombre. Tappandosi la bocca con una mano, si rimproverò severamente. «Chiudi il becco, Burrfoot! C’è l’intero esercito dei Dewar!»
E pareva proprio che fosse così. I due che aveva seguito avevano incontrato una ventina di nani.
Rannicchiato nell’ombra, Tas li sentì vociare tutti eccitati, e si aspettò di vederseli arrivare addosso con passo cadenzato da un momento all’altro... ma non successe nulla.
Aspettò, ascoltando la conversazione. Poi, rischiando una sbirciata, vide che alcuni dei nani presenti non avevano l’aspetto dei Dewar. Erano puliti, con la barba pettinata, ed erano rivestiti di armature sfavillanti. E non apparivano soddisfatti. Fissavano trucemente uno dei Dewar, come se avessero voluto scuoiarlo vivo.
«Nani delle montagne!» borbottò Tas fra sé, in preda allo stupore, riconoscendo le armature. «E da quello che Raistlin ha detto, sono il nemico. Il che significa che dovrebbero essere nella loro montagna, non nella nostra. Sempre che noi siamo in una montagna, naturalmente, cosa che comincio a considerare probabile, a giudicare dall’aspetto. Ma, mi chiedo...»
Quando uno dei nani della montagna cominciò a parlare, Tas s’illuminò. «Finalmente qualcuno che si fa capire!» Il kender sospirò di sollievo. A causa della mescolanza delle razze, il nano stava parlando una rozza mescolanza di comune e nanesco.
Il succo della conversazione, da quello che Tas riuscì a seguire, era che al nano della montagna non importava una pietra crepata dello stregone matto o di un kender errabondo infestato dalla peste.
«Siamo venuti qui per prendere la testa del generale Caramon,» ringhiò il nano delle montagne.
«Hai detto che lo stregone ha promesso di organizzare la cosa. Bene, allora, adesso tocca a noi. E, comunque, preferisco fare a meno di trattare con una Veste Nera. E adesso rispondi a questo, Argat. I tuoi sono pronti ad attaccare l’esercito dall’interno? Siete pronti a uccidere questo generale? Oppure era soltanto un trucco? Se è così, scoprirete che si ripercuoterà duramente sul vostro popolo a Thorbardin!»
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