Margaret Weis - La guerra dei gemelli
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Mentre il Dewar veniva avanti strascicando i piedi, Kharas fissò i suoi occhi scuri. E vide, con orrore, che qualunque equilibrio mentale un tempo il nano potesse aver posseduto, adesso era completamente scomparso.
«Io l’ho visto,» disse il Dewar, sogghignando. «Io l’ho visto. Nelle sue Vesti Nere e tutto il resto. È venuto per lo gnomo. Ed è venuto per il kender. E la prossima volta verrà per noi!»
Il nano scuro scoppiò a ridere orribilmente. «Per noi!» ripetè.
«Chi?» chiese Kharas, in tono severo. «Hai visto chi? Chi è venuto per il kender?»
«Ebbene, lui... lei stessa!» bisbigliò il Dewar, voltandosi per fissare il corpo dello gnomo, sgranando gli occhi spiritati. «La morte...».
Capitolo dodicesimo
Da secoli nessuno aveva più posto piede all’interno della magica fortezza di Zhaman. I nani la guardavano con sospetto e diffidenza, per parecchie ragioni. Innanzi tutto perché apparteneva agli stregoni. E ancora, quelle mura di pietra non erano state costruite dai nani, ma non erano neppure naturali. La fortezza era stata fatta sorgere, così narrava la leggenda, dal suolo per magia, ed era la magia che la teneva ancora insieme.
«Deve trattarsi di magia,» brontolò Reghar rivolto a Caramon, lanciando una feroce occhiata alle guglie alte e sottili della fortezza, «altrimenti sarebbe crollata già parecchio tempo fa.»
I nani delle colline, rifiutandosi all’unanimità di mettere anche soltanto la punta della barba dentro la fortezza, piantarono l’accampamento fuori, sui pianori. Gli uomini delle pianure fecero lo stesso.
Non tanto per paura dell’edificio magico, anche se lo guardavano di traverso, bofonchiando qualcosa su di esso nella loro lingua, ma per il fatto che si sentivano a disagio in qualsiasi edificio.
Gli altri umani, facendosi beffe di ogni superstizione, entrarono nell’antica fortezza, ironizzando, con scroscianti risate, sugli spettri e le infestazioni. Rimasero dentro una notte soltanto. La mattina seguente li vide intenti ad accamparsi all’aperto, borbottando che sotto le stelle si dormiva meglio e che l’aria era più fresca.
«Cos’è successo qui dentro?» chiese Caramon, vagamente inquieto, a suo fratello mentre camminavano attraverso la fortezza dopo il loro arrivo. «Hai detto che non era una Torre della Grande Stregoneria, ma è ovvio che c’è magia. Sono stati gli stregoni a costruirla. E,» l’omone rabbrividì, «dà una strana sensazione, non arcana come le Torri. Ma una sensazione di... di...»
S’interruppe in un balbettio.
«Di violenza,» mormorò Raistlin, abbracciando con lo sguardo guizzante e penetrante tutti gli oggetti intorno a lui. «Di violenza e di morte, fratello mio, poiché questo era un luogo di esperimenti. I maghi costruirono questa fortezza lontano dalle terre civilizzate per un buon motivo, perché sapevano che la magia evocata qui poteva benissimo sfuggire al loro controllo. E così effettivamente accadde, spesso. Ma qui emersero anche grandi cose, una magia che aiutò il mondo.»
«Perché mai è stata abbandonata?» chiese Dama Crysania, stringendosi ancora di più intorno alle spalle il mantello di pelliccia. L’aria che si muoveva attraverso gli stretti corridoi era gelida e sapeva di polvere e di pietra.
Raistlin rimase silenzioso per lunghi momenti, corrugando la fronte. Lentamente e in silenzio avanzarono lungo quei corridoi contorti. I morbidi stivali di cuoio di Dama Crysania non producevano neppure un fruscio mentre camminava. I tonfi dei pesanti stivali di Caramon traevano echi dalle camere vuote, le vesti fruscianti di Raistlin sussurravano attraverso i corridoi, il Bastone di Magius sul quale si appoggiava picchiava sommesso sul pavimento. Silenziosi com’erano, avrebbero potuto essere i fantasmi di se stessi che camminavano lungo quell’intrico di passaggi.
Quando Raistlin parlò, la sua voce fece sussultare sia Caramon sia Crysania.
«Malgrado ci siano sempre state le tre Vesti, buone, neutrali e malvagie, fra i fruitori di magia, non abbiamo, sfortunatamente, sempre mantenuto l’equilibrio,» disse Raistlin. «Quando la gente si rivoltò contro di noi, le Vesti Bianche si ritirarono nelle loro Torri, sostenendo la pace. Le Vesti Nere, però, dapprima cercarono di reagire. S’impadronirono di questa fortezza e la usarono compiendo esperimenti per creare eserciti.» Fece una pausa. «Esperimenti che all’epoca non ebbero successo, ma che portarono alla creazione dei draconici nella nostra epoca.
«Con questo insuccesso, i maghi si resero conto della situazione disperata in cui si trovavano. Abbandonarono Zhaman, unendosi ai loro compagni in quelle che diventarono note come le Battaglie Perdute.»
«Sembri conoscere la strada, qua dentro,» osservò Caramon.
Raistlin lanciò un’occhiata penetrante a suo fratello, ma il volto di Caramon era pacato, innocente, anche se forse c’era una strana espressione nebbiosa nei suoi occhi castani.
«Non capisci ancora, fratello mio?» chiese Raistlin, con voce aspra, fermandosi in un corridoio buio e ventoso. «Non sono mai stato qui, eppure ho percorso questi corridoi. La cella nella quale ho dormito è la stessa dove ho già passato molte notti, anche se devo ancora passare una sola notte in questa fortezza. Sono un estraneo, qua dentro, eppure conosco la collocazione di ogni singola stanza, da quelle per la meditazione e lo studio in cima alla fortezza alle sale dei banchetti al primo livello.»
Anche Caramon si fermò. Lentamente, si guardò intorno, fissando il soffitto polveroso, scrutando i corridoi vuoti dove la luce del sole filtrava attraverso le finestre scolpite per proiettarsi in quadrati sui pavimenti di pietra. Alla fine, il suo sguardo tornò ad incontrare quello del suo gemello.
«Allora, Fistandantilus,» disse con voce greve, «tu sai che questa sarà la tua tomba.»
Per un istante, Caramon colse una piccola crepa nel vetro degli occhi di Raistlin: ma non rabbia, bensì divertimento, trionfo. Poi lo specchio luminoso fu nuovamente integro, e Caramon vi vide soltanto il riflesso di se stesso, in piedi in mezzo a una chiazza della debole luce del sole invernale.
Crysania si mosse, ponendosi accanto a Raistlin. Gli mise la mano sul braccio con cui lui si appoggiava al bastone e guardò Caramon con occhi grigi e freddi. «Gli dei sono con noi,» disse.
«Non erano con Fistandantilus. Tuo fratello è forte nella sua arte, io sono forte nella mia fede. Non falliremo!»
Sempre guardando Caramon, sempre mantenendo il riflesso del suo gemello nelle orbite luccicanti dei suoi occhi, Raistlin sorrise. «Sì,» bisbigliò, e c’era un leggero sibilo nelle sue parole, «gli dei sono davvero con noi!»
Al primo livello della grande fortezza magica di Zhaman si aprivano gigantesche sale scolpite nella pietra che, nel passato, erano stati luoghi d’incontri e di celebrazioni. C’erano anche stanze che un tempo erano state colme di libri, attrezzate per poter studiare e meditare nella tranquillità.
All’estremità opposta c’erano le cucine e i magazzini, che da molto tempo non venivano più usati ed erano coperti dalla polvere degli anni.
Ai livelli superiori c’erano camere da letto rigurgitanti di mobili bizzarri di antica foggia. I letti erano coperti da lenzuola perfettamente conservate, nel corso degli anni, dall’aria asciutta del deserto. Caramon, Dama Crysania e gli ufficiali dello stato maggiore di Caramon dormivano in quelle stanze. Se non dormivano saporitamente, se talvolta si svegliavano durante la notte pensando di aver udito delle voci che cantavano inusitate parole o di aver intravisto strane figure spettrali che fluttuavano attraverso l’oscurità illuminata dal chiarore lunare, nessuno ne parlava alla luce del giorno.
Ma dopo alcune notti, tutto questo venne dimenticato, inghiottito da preoccupazioni più gravi e immediate riguardanti i rifornimenti, le risse fra gli uomini e i nani, e i rapporti delle spie secondo i quali i nani di Thorbardin stavano ammassando un esercito immenso e bene armato.
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