Margaret Weis - La guerra dei gemelli
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Un silenzio imbarazzante calò nella stanza. Caramon teneva di nuovo lo sguardo abbassato sul fuoco. Anche Raistlin fissava le fiamme e sorseggiava la sua pozione senza fare commenti.
Crysania tornò alla propria poltrona per far ciò, se ne rese conto, che anche gli altri due certamente stavano facendo: dipanando i propri pensieri, per cercare di tirar fuori un senso da quanto era accaduto.
Poche ore prima, lei si era trovata in una città condannata, una città destinata a morire a causa dell’ira degli dei. Era stata sull’orlo d’un completo collasso fisico e mentale. Adesso poteva ammetterlo, anche se allora non aveva potuto. Con quanta indulgenza aveva immaginato che la sua anima fosse cinta dalle mura di acciaio della sua fede. Adesso vedeva, con vergogna e rincrescimento, che non di acciaio si era trattato. Non acciaio, ma ghiaccio. Ghiaccio che si era fuso all’aspra luce della verità, lasciandola esposta e vulnerabile. Se non fosse stato per Raistlin, sarebbe perita laggiù, a Istar.
Raistlin... Si sentì arrossire. Questo era quel qualcosa con cui non aveva mai pensato di doversi battere: l’amore, la passione. Molti anni prima era stata fidanzata a un giovane che le piaceva molto.
Ma non lo amava. In realtà non aveva mai veramente creduto nell’amore, il genere di amore che esisteva nelle storie raccontate ai bambini. Essere avvinti in questo modo a un’altra persona le era sembrato un ostacolo, una debolezza da evitare. Ricordava qualcosa che Tanis Mezzelfo aveva detto a proposito di sua moglie, Laurana... cos’era mai? «Quando se ne sarà andata, sarà come se mi mancasse il mio braccio destro...»
Che romantiche stupidaggini! aveva pensato allora. Ma adesso chiese a se stessa... era questo che provava per Raistlin? I suoi pensieri andarono all’ultimo giorno che aveva trascorso a Istar, alla terribile tempesta, al balenare dei lampi... e a come si era trovata all’improvviso tra le sue braccia. Il suo cuore si contrasse al rapido tormento del desiderio mentre sentiva, ancora una volta, il suo forte abbraccio. Ma c’era anche una violenta paura, una strana ripugnanza. Ricordò con riluttanza il febbricitante luccichio dei suoi occhi, la sua esultanza in mezzo alla tempesta, come se fosse stato lui stesso ad evocarla.
Era come lo strano odore degli incantesimi che gli si era appiccicato addosso, il piacevole odore delle rose e delle spezie ma, mischiato ad esso, l’afrore nauseante delle creature putrefatte e l’acre odore dello zolfo. Mentre il suo corpo anelava il tocco di Raistlin, qualcosa nella sua anima si ritraeva in preda all’orrore...
Lo stomaco di Caramon rumoreggiò sonoramente. Fu quasi uno stupefacente fragore in quella stanza in cui gravava un mortale silenzio.
Sollevando lo sguardo, i suoi pensieri brutalmente interrotti, Crysania vide l’omone imporporarsi per l’imbarazzo. D’un tratto, all’improvviso conscia della propria fame (non riusciva a ricordare l’ultima volta che aveva mandato giù un boccone) Crysania scoppiò a ridere.
Caramon la fissò dubbioso, forse pensando che fosse in preda a un attacco isterico. All’espressione perplessa sulla faccia dell’omone, Crysania rise ancora di più. In effetti, ridere le faceva provare una buona sensazione. L’oscurità della stanza parve venir sospinta indietro, le ombre si sollevarono dalla sua anima. Rise con allegria e, alla fine, invischiato dalla natura contagiosa della sua gioia, anche Caramon cominciò a ridere, pure se continuava a scuotere la testa, tutto rosso in faccia.
«Così gli dei ci ricordano che siamo umani,» disse Crysania, quando riuscì di nuovo a parlare, asciugandosi le lacrime dagli occhi. «Ci troviamo qui, nel più orribile luogo immaginabile, circondati da creature che aspettano con ansia di divorarci in un sol boccone, e tutto quello che adesso mi riesce di pensare è quanto sono disperatamente affamata!»
«Abbiamo bisogno di cibo,» replicò Caramon con calma, ritornando serio tutto d’un tratto. «E di indumenti decenti, se vogliamo rimanere qui a lungo.» Guardò suo fratello. «Per quanto tempo resteremo qui?»
«Non per molto,» rispose Raistlin. Aveva terminato la pozione, e la sua voce era già più forte. Un po’ di colore era riaffiorato sul suo pallido viso. «Mi serve tempo per riposare, per recuperare le mie forze, e per completare i miei studi. Questa dama,» i suoi occhi luccicanti fissarono Crysania, e lei rabbrividì al tono improvvisamente impersonale della sua voce, «ha bisogno di entrare in comunione con il suo dio e di rinnovare la sua fede. Poi saremo pronti a varcare il Portale. E allora, fratello mio, potrai andare dove vorrai.»
Crysania sentì l’occhiata interrogativa di Caramon, ma tenne il proprio volto immobile e privo d’espressione, anche se il freddo, casuale accenno di Raistlin all’ingresso nel temuto Portale, entrando nell’Abisso e affrontando la Regina delle Tenebre, le aveva raggelato il cuore. Perciò si rifiutò d’incontrare lo sguardo di Caramon e continuò a fissare il fuoco.
L’omone sospirò, poi si schiarì la gola. «Mi manderai a casa?» chiese al suo gemello.
«Se è là che desideri andare.»
«Sì,» ribadì Caramon con voce profonda e severa. «Voglio tornare da Tika e... parlare con Tanis.»
La sua voce si spezzò. «Dovrò... dovrò spiegargli in qualche modo che Tas è morto... là a Istar...»
«In nome degli dei, Caramon,» sbottò Raistlin, facendo un gesto d’irritazione con la mano sottile,
«pensavo che avessimo visto un barlume di maturità occhieggiare in quel tuo corpaccione! Senza alcun dubbio quando tornerai troverai Tasslehoff seduto nella tua cucina intento a deliziare Tika, snocciolandole una sciocca storia dopo l’altra, dopo averti svuotato la casa, nel frattempo!»
«Cosa?» Caramon impallidì, sgranando gli occhi.
«Ascolta, fratello mio!» sibilò Raistlin, puntando un dito contro Caramon. «Il kender si è condannato da se stesso quando ha scombussolato l’incantesimo di Par-sallian. C’è una buona ragione per impedire a quelli della sua razza, e alla razza dei nani e degli gnomi, di viaggiare indietro nel tempo. Dal momento che sono stati creati a causa di un incidente, per un ghiribizzo del destino e la disattenzione del dio Reorx, queste razze non si sono trovate all’interno del fiume del tempo come invece gli umani, gli elfi e gli orchi, le razze che per prime sono state create dagli dei.
«Così, il kender avrebbe potuto alterare il tempo, come ha subito intuito quando mi sono lasciato inavvertitamente sfuggire questo fatto. Non potevo permettere che ciò accadesse! Se avesse fermato il Cataclisma, com’era sua intenzione, chissà cosa avrebbe potuto succedere! Forse saremmo ritornati nel nostro tempo per scoprire che la Regina delle Tenebre regnava suprema e incontrastata, dal momento che il Cataclisma è stato mandato, in parte, per preparare il mondo alla sua venuta e dargli la forza di sconfiggerla...»
«Così, lo hai assassinato!» lo interruppe Caramon con voce roca.
«Gli ho detto come doveva fare per impadronirsi del congegno.» Raistlin quasi masticò le parole.
«Gli ho insegnato come usarlo, e l’ho rimandato a casa!»
Caramon sbatté le palpebre. «L’hai fatto davvero?» chiese sospettoso.
Raistlin sospirò e tornò ad appoggiare la testa sui cuscini della poltrona. «L’ho fatto, ma non mi aspetto che tu mi creda, fratello mio.» Le sue mani acconciarono fiaccamente le vesti nere che indossava. «Perché dovresti farlo, dopotutto?»
«Sai,» intervenne Crysania con voce sommessa, «mi pare di ricordare, durante quegli ultimi, terribili momenti prima che il terremoto colpisse Istar, di aver visto Tasslehoff. Era... con me... nella Camera Sacra...»
Vide gli occhi di Raistlin socchiudersi in una fessura. Il suo sguardo luccicante penetrò il suo cuore e la fece trasalire, distraendo per un attimo i suoi pensieri.
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