Robert Jordan - La grande caccia
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Loial gli rivolse uno sguardo addolorato. «Rand, gli Ogier edificarono Mafal Dadaranell, ma la città fu distrutta durante le Guerre Trolloc. Questa città fu costruita dagli uomini. Potrei disegnarti una piantina di Mafal Dadaranell, perché una volta ho visto le mappe, in un vecchio libro a Stedding Shangtai, ma di Fal Dara so quanto te. Però è costruita bene, vero? Rozza, ma funzionale.»
Rand si lasciò andare contro la parete e chiuse gli occhi, «Devo trovare un modo per uscire» mormorò. «Le porte sono sbarrate e non lasciano passare nessuno, ma devo uscire di qui.»
«Perché? Qui nessuno ti farà niente. Ti senti bene? Rand?» Alzò la voce. «Mat! Perrin! Credo che Rand stia male.»
Rand aprì gli occhi in tempo per vedere i suoi due amici alzarsi dal gruppetto di giocatori. Mat Cauthon, lungo di gambe come una cicogna, aveva sempre un mezzo sorriso, come di chi veda qualcosa di divertente che sfugge a tutti gli altri. Perrin Aybara, dai capelli ispidi, aveva spalle robuste e braccia muscolose, grazie al lavoro d’apprendista fabbro. Tutt’e due indossavano ancora l’abbigliamento tipico dei Fiumi Gemelli, semplice e resistente, ma ormai logoro.
Mat sì staccò dal gruppetto di giocatori e gettò per terra i dadi. Uno lo* apostrofò: «Ehi, meridionale, non puoi andartene quando vinci.»
«Meglio in vincita che in perdita» replicò Mat, con una risata. Senza accorgersene, si toccò la giubba all’altezza della cintola e Rand trasalì. Mat aveva un pugnale con l’elsa di rubino, che non abbandonava mai: era una lama proveniente dalla città morta di Shadar Logoth, contaminata da un male brutto quasi quanto il Tenebroso, lo stesso male che duemila anni prima aveva ucciso Shadar Logoth e che ancora viveva fra le rovine abbandonate. La contaminazione avrebbe ucciso Mat, se il giovane teneva con sé il pugnale; l’avrebbe ucciso ancora più in fretta, se lui l’avesse messo da parte. «Vi darò la possibilità di rifarvi.» I giocatori sbuffarono di storto, perché non credevano d’averne molte.
Anche Perrin, a occhi bassi, si avvicinò a Rand. Negli ultimi tempi teneva sempre gli occhi bassi e le spalle chine come se portasse un peso eccessivo anche per la sua robustezza.
«Cosa c’è, Rand?» disse Mat. «Sei bianco come la tua camicia. Ehi! Dove hai preso quei vestiti? Sei diventato shienarese? Forse mi comprerò anch’io una giacca come la tua e una bella camicia.» Scosse la tasca della giubba, provocando un tintinnio di monete. «A quanto pare, ho fortuna, con i dadi. Appena li tocco, vinco.»
«Non devi comprare niente» rispose Rand, con aria stanca, «Moiraine ha fatto sostituire tutti i nostri indumenti. Per quanto ne so, li avranno già bruciati, tranne quelli che avete addosso. Elansu sarà lì ad aspettare di prendere anche gli ultimi, perciò, se fossi in voi, mi cambierei in fretta, prima che lei stessa ve li tolga di dosso.» Perrin continuò a tenere bassi gli occhi, ma arrossì; il sorriso di Mat divenne più marcato, anche se parve poco spontaneo. «E sto benissimo» proseguì Rand. «Devo solo uscire di qui. Nella rocca c’è l’Amyrlin Seat. Lan ha detto... ha detto che, con lei qui, per me sarebbe meglio essere via da una settimana. Devo andarmene, ma tutte le porte sono sbarrate.»
«Ha detto così?» replicò Mat. «Non capisco. Lan non ha mai parlato male di nessuna Aes Sedai. Perché proprio ora? Senti, Rand, anche a me le Aes Sedai piacciono poco, ma non ci faranno niente.» Nel dire queste parole, abbassò il tono di voce e si guardò alle spalle per vedere se qualcuno dei giocatori stesse ad ascoltare. Forse altrove le Aes Sedai incutevano paura, ma nelle Marche di Confine erano tutt’altro che odiate; un commento irrispettoso nei loro riguardi poteva terminare in una zuffa a suon di pugni o peggio. «Guarda Moiraine: non è poi cattiva, anche se è Aes Sedai. Ti comporti come il vecchio Cenn Buie, con le sue storie alla Locanda della Fonte di Vino. Voglio dire, Moiraine non ci ha fatto niente e nemmeno le altre ci faranno niente. Giusto?»
Perrin alzò gli occhi. Occhi giallastri, che brillavano nella penombra come oro brunito. “Moiraine non ci ha fatto niente?" pensò Rand. Quando loro tre avevano lasciato i Fiumi Gemelli, gli occhi di Perrin erano marrone come quelli di Mat. Non sapeva come fosse avvenuto il cambiamento: Perrin non ne parlava; anzi, da allora era diventato taciturno, si teneva ingobbito e si comportava con un certo distacco, quasi si sentisse isolato anche in compagnia degli amici. Gli occhi di Perrin e il pugnale di Mat. Non sarebbe accaduto, se non avessero lasciato Emond’s Field; ed era stata Moiraine a farli andare via. Ma era un pensiero ingiusto: se lei non fosse venuta nel loro villaggio, a quest’ora loro tre sarebbero morti per mano dei Trolloc. Però questa considerazione non ridava a Perrin l’allegria d’un tempo, né toglieva dalla cintura di Mat il pugnale. E lui? Se fosse rimasto a casa, e se fosse stato ancora vivo, sarebbe diventato quel che era adesso? Forse. Ma almeno non avrebbe dovuto preoccuparsi di quel che le Aes Sedai gli avrebbero fatto.
Mat continuava a guardarlo con aria perplessa e Perrin aveva alzato la testa quanto bastava per fissarlo da sotto le sopracciglia. Loial aspettava, paziente. Rand non poteva dire loro perché doveva stare lontano dall’Amyrlin Seat. I suoi amici non sapevano che cosa era diventato. Lan lo sapeva, Moiraine anche. Egwene e Nynaeve pure. Rand rimpianse che sapessero, soprattutto Egwene; ma almeno Mat e Perrin, e anche Loial, lo credevano lo stesso di prima. Avrebbe preferito morire, anziché informarli e vedere nei loro occhi la preoccupazione che a volte scorgeva in quelli di Egwene e di Nynaeve, anche quando cercavano di non mostrarla.
«Qualcuno... mi tiene d’occhio» disse infine. «Mi segue. Ma... ma non c’è nessuno.»
Perrin mosse di scatto la testa; Mat si umettò le labbra e mormorò: «Un Fade?»
«No, certo» sbuffò Loial. «Un Senza Occhi non potrebbe mai entrare a Fal Dara. Per legge, fra le mura della città nessuno può nascondere il viso e gli addetti alle lampade tengono illuminate le vie per tutta la notte, in modo che non ci siano zone d’ombra dove i Myrddraal possano nascondersi.»
«Le mura non fermano un Fade deciso a entrare» brontolò Mat. «E non so se leggi e lampade hanno miglior risultato.» Non parevano le parole di uno che, solo sei mesi prima, considerava i Fade semplici personaggi delle storie dei menestrelli.
«E poi c’è stato il vento» disse Rand. Raccontò che cosa gli era accaduto in cima alla torre. Perrin serrò i pugni fino a far crocchiare le nocche. «Voglio solo andarmene di qui» concluse Rand. «A meridione. Lontano. In un posto qualsiasi.»
«Ma se le porte sono chiuse» obiettò Mat «come usciamo?»
Rand lo fissò. «Usciamo?» Doveva andare da solo. Alla fine, chi gli stava intorno si sarebbe trovato in pericolo. Nemmeno Moiraine poteva dire quanto tempo mancava. «Mat» replicò «tu devi andare con Moiraine a Tar Valon e lo sai. L’unico posto dove puoi essere separato da quel maledetto pugnale senza morirne. E sai che cosa accadrà, se continui a tenerlo.»
Mat si toccò la giubba, quasi senza accorgersene. «Un dono delle Aes Sedai è esca per pesci» citò. «Be’, forse non voglio abboccare all’amo. Forse quel che lei vuole farmi a Tar Valon è peggiore della sorte che mi toccherà se non ci vado. Forse mente.» E citò ancora: «La verità di una Aes Sedai non è mai la verità come la intendi.»
«Hai altri vecchi proverbi di cui liberarti?» replicò Rand. «Vento di meridione porta l’ospite, vento di settentrione vuota la casa? Un maiale dipinto d’oro è sempre un maiale? Oppure: Lingua non tosa pecore? La parola d’uno sciocco è polvere?»
«Calma, Rand» intervenne piano Perrin. «Non c’è bisogno d’essere così scorbutico.»
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