Robert Jordan - La grande caccia

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«Il Benvenuto è terminato, milord.» Con un gesto indicò la torre campanaria. «L’Amyrlin Seat manderà a chiamare milord e i suoi amici perché si presentino subito da lei.»

Rand si allontanò di corsa. Ebbe solo il tempo di scorgere l’aria sorpresa sul viso di Thema. Non gli importava che cosa avrebbe pensato lo stalliere. Aveva in testa un solo pensiero: l’Amyrlin Seat già lo cercava.

3

Amici e nemici

Rand corse solo fino alla porta secondaria, girato l’angolo della stalla. Poi rallentò e cercò d’assumere un’aria indifferente e tranquilla.

La porta ad arco, ben sbarrata, consentiva appena il passaggio di due cavalieri affiancati; come tutte le porte nelle mura esterne, era rinforzata da larghe strisce di ferro e bloccata da una robusta sbarra. Era sorvegliata da due soldati in elmo conico e corazza a piastre e a maglia, armati di una lunga spada portata sulla schiena. I due avevano la sopravveste color oro, col Falco Nero sul petto. Rand ne conosceva di vista uno, Ragan, che aveva sulla guancia, dietro le barre della visiera, una cicatrice biancastra, triangolare, ricordo di una freccia Trolloc. Nel vedere Rand, il soldato sorrise.

«La pace ti favorisca, Rand al’Thor» gridò quasi, per farsi sentire al di sopra dello scampanio. «Vuoi sempre dare bastonate in testa ai conigli o insisti che quel randello è un arco?» Il secondo soldato cambiò posizione per mettersi proprio davanti alla porta.

«La pace ti favorisca, Ragan» rispose Rand, fermandosi di fronte ai due, con uno sforzo per mantenere calma la voce. «Lo sai che è un arco. Mi hai visto tirare.»

«Non va bene, da cavallo» commentò acidamente il secondo soldato, con occhi neri e incassati che parevano sempre fissi. Ora Rand lo riconobbe e imprecò contro la sfortuna: solo una Aes Sedai di guardia alla porta era peggio di Masema. «Troppo lungo» soggiunse Masema. «Io faccio in tempo a scagliare da cavallo tre frecce, mentre tu ne tiri una, con quel mostro.»

Rand si costrinse a sogghignare, come se fosse una battuta. Che sapesse, Masema non aveva mai detto frasi scherzose né riso alle battute. I soldati di Fal Dara, per la maggior parte, avevano accettato Rand: si allenava con Lan, sedeva alla tavola di lord Agelmar e, soprattutto, era giunto in compagnia di Moiraine, una Aes Sedai. Però alcuni parevano incapaci di dimenticare che era un forestiero e gli rivolgevano a malapena la parola, solo se costretti. Masema era il peggiore di costoro.

«Per me va benissimo» replicò Rand. «A proposito di conigli, Ragan, mi fai uscire? Frastuono e confusione non mi piacciono. Meglio andare a caccia di conigli, a costo di non vederne neppure uno.»

Ragan si girò a mezzo per guardare il compagno e Rand sentì crescere la speranza. Ragan era un bonaccione, che col proprio comportamento smentiva la cicatrice, e pareva avere in simpatia Rand. Masema però scuoteva già la testa. Ragan sospirò. «Impossibile, Rand al’Thor.» Accennò a Masema, come per giustificarsi: se fosse dipeso solo da lui... «Nessuno può uscire senza un lasciapassare scritto. Peccato, se venivi qualche minuto fa... Abbiamo appena avuto l’ordine di sbarrare le porte.»

«Ma perché lord Agelmar dovrebbe tenere dentro proprio me?» replicò Rand. Intanto Masema guardava i fagotti e le bisacce. Rand cercò di ignorarlo. «Sono suo ospite» prosegui. «Sul mio onore, potevo andarmene in qualsiasi momento, in queste ultime settimane. L’ordine viene da lord Agelmar, no?» A quest’ultima frase, Masema ebbe un moto di sorpresa e si accigliò più del solito; quasi dimenticò i fagotti di Rand.

Ragan rise. «E chi potrebbe dare un ordine del genere, Rand al’Thor? Be’, a noi l’ha detto Huno, ma di chi vuoi che sia?»

Masema fissò Rand in viso, senza battere ciglio. «Volevo starmene un po’ da solo, tutto qui» spiegò Rand. «Proverò i giardini: non ci saranno conigli, ma neppure folla. La Luce vi illumini e la pace vi favorisca.»

Si allontanò senza aspettare risposta, ben deciso a non avvicinarsi neppure ai giardini. Terminate le cerimonie, poteva esserci qualche Aes Sedai. Consapevole dello sguardo di Masema, mantenne un passo normale.

A un tratto le campane smisero di suonare e Rand trasalì. Il tempo volava. A quest’ora l’Amyrlin Seat era già nelle sue stanze e avrebbe mandato a chiamare Rand; se non lo trovavano, avrebbe dato inizio alla ricerca. Appena fuori vista della porta, si rimise a correre.

Accanto alla cucina delle caserme, la Porta dei Carrettieri, dalla quale entravano i vettovagliamenti della rocca, era sbarrata e sorvegliata da due soldati. Rand proseguì per il cortile delle cucine, come se non avesse mai avuto intenzione di fermarsi alla porta.

Anche la Porta del Cane, sul retro della rocca, alta e ampia solo quanto bastava al passaggio d’un uomo a piedi, era sorvegliata. Rand scantonò, prima che i due soldati lo vedessero. Per quanto la rocca fosse vasta, non c’erano molte porte; e se perfino la Porta del Cane era sorvegliata, di sicuro anche tutte le altre avevano soldati di guardia.

Forse, se trovava una fune... Salì in cima alle mura di cinta, sull’ampio camminamento col parapetto merlato. Non era in posizione ottimale, così in alto e allo scoperto, nel caso fosse tornato il vento di poco prima; ma dall’alto scorgeva, al di sopra dei comignoli e dei tetti a punta, le mura della città. Anche dopo quasi un mese, a lui che era abituato ai Fiumi Gemelli, le case parevano ancora bizzarre, con i tetti spioventi che toccavano quasi terra e comignoli di sbieco per far scivolare la neve. La rocca era circondata da un’ampia piazza a lastrico, ma a soli cento passi delle mura c’erano vie piene di gente impegnata nelle faccende quotidiane: bottegai in grembiule sotto il tendone davanti alla bottega, contadini in abiti rozzi venuti in città a fare mercato, venditori ambulanti e mercanti attorniati di capannelli e senza dubbio occupati a discutere dell’arrivo a sorpresa dell’Amyrlin Seat. Rand notò che da una porta della città uscivano carretti e persone. Evidentemente lì le guardie non avevano ordine di bloccare la gente.

Alzò gli occhi verso la torre di guardia più vicina: un soldato gli rivolse un cenno di saluto. Con una risata amara, Rand gli rispose agitando il braccio. Tutto il muro di cinta era sotto gli occhi delle guardie. Rand si sporse da una strombatura e scrutò, oltre le feritoie nella pietra per fissare le palizzate, il tratto a strapiombo fino al fossato asciutto, ampio venti passi e profondo dieci, rivestito di pietra levigata. Un muretto inclinato per non offrire riparo circondava il fossato e impediva che qualcuno vi cadesse accidentalmente; il fondo era cosparso di punte affilate come rasoio. Anche con una fune per calarsi e senza soldati a guardare, era impossibile attraversare il fossato: in situazioni disperate, teneva fuori i Trolloc; in questo caso, teneva dentro lui.

A un tratto Rand si sentì prosciugato, esausto. L’Amyrlin Seat si trovava nella rocca e non c’era modo d’uscire. Se l’Amyrlin sapeva che lui era lì, se aveva mandato lei quel vento, allora già gli dava la caccia, con i poteri d’una Aes Sedai. Avevano più possibilità i conigli contro il suo arco, si disse. Però non voleva cedere. C’era chi diceva che la gente dei Fiumi Gemelli poteva insegnare alle pietre e dar lezione ai muli. Quando non rimaneva altro, la gente dei Fiumi Gemelli si aggrappava alla propria testardaggine.

Rand lasciò le mura e vagabondò per la rocca. Evitò di andare in posti dove l’avrebbero cercato di sicuro, come la sua stanza, le stalle, le porte (forse Masema avrebbe rischiato i rimproveri di Huno e gli avrebbe riferito il suo tentativo d’uscire) e i giardini. Riusciva solo a pensare di tenersi lontano da qualsiasi Aes Sedai, Moiraine compresa. Moiraine sapeva di lui, ma non aveva fatto niente contro di lui. Per il momento. Ma se avesse cambiato idea? Forse era stata lei a far venire l’Amyrlin Seat.

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