Robert Jordan - La grande caccia

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La fioca luce della lampada mostrò un ampio corridoio con inferriate ai lati, davanti a celle dalle pareti di pietra. Solo due erano occupate: ciascun prigioniero sedeva su di una stretta brandina e, colpito dalla luce, si schermò gli occhi e lanciò occhiate astiose.

«A quello piace bere e fare a pugni» mormorò Egwene, indicando un tipo massiccio con le guance infossate. «Questa volta ha fatto a pezzi la sala comune di una locanda e ha ferito gravemente alcuni avventori.» Il secondo carcerato indossava una giubba ricamata in oro, ampia di maniche, e stivali bassi e lucidi. «Ha cercato di lasciare la città senza pagare il conto della locanda» spiegò Egwene; e tirò su col naso, perché suo padre era il padrone della locanda di Emond’s Field, oltre che sindaco del villaggio «e il dovuto a cinque fra bottegai e mercanti.»

I due carcerati li apostrofarono con le peggiori imprecazioni che Rand avesse mai sentito dalle guardie dei mercanti.

«Anche questi due peggiorano di giorno in giorno» disse Egwene, con voce tesa. Allungò il passo.

Lo precedeva un poco, quando arrivarono alla cella di Padan Fain, proprio in fondo al corridoio; Rand si fermò al limitare della pozza di luce.

Fain sedeva sulla brandina, chino in avanti, come in attesa. Era un uomo ossuto, dagli occhi acuti, braccia lunghe e naso grosso, ancora più magro di quanto Rand non ricordasse. Dimagrito non per la prigionia (i carcerati avevano lo stesso cibo della servitù e nemmeno il peggiore era tenuto a pane e acqua), ma per quel che aveva fatto prima di giungere a Fal Dara.

La vista dell’ex ambulante riportò a Rand ricordi di cui il giovane avrebbe fatto a meno volentieri. Fain a cassetta del grosso carro, che attraversava il Ponte Carraio ed entrava a Emond’s Field il giorno del Mezzo Inverno. E la Notte d’Inverno in cui erano giunti i Trolloc, a uccidere, incendiare, dare la caccia. La caccia a tre ragazzi, aveva detto Moiraine. La caccia a lui, se solo avessero saputo. Usando Fain come segugio.

All’arrivo di Egwene, Fain si alzò, senza schermarsi gli occhi né battere le palpebre alla luce. Le rivolse un sorriso che toccava solo le labbra, poi alzò gli occhi e guardò sopra di lei, direttamente verso Rand, nascosto nel buio. Puntò il dito. «Sento che sei lì nascosto, Rand al’Thor» disse, come se recitasse una cantilena. «Non puoi nasconderti, né da me, né da loro. Credevi che fosse finita, vero? Ma la battaglia ancora non c’è stata, al’Thor. Vengono per me, vengono per te, e la guerra continua. Che tu viva o muoia, per te non è mai finita. Mai.» All’improvviso si mise a canticchiare:

Presto arriverà il giorno in cui
saran tutti liberi, anche tu, anch’io.
Presto arriverà il giorno in cui
saran tutti morti, certo tu, giammai io.

Lasciò ricadere il braccio e alzò gli occhi a fissare il buio. Con un sorriso storto increspò le labbra e ridacchiò di gola, come se vedesse uno spettacolo divertente. «Mordeth sa più di voi tutti. Mordeth sa.»

Egwene indietreggiò fino a trovarsi accanto a Rand e solo il cerchio di luce sfiorò le sbarre della cella. Il buio nascose l’ambulante, ma si udiva ancora la sua risatina. Anche senza vederlo, Rand era sicuro che Fain fissasse ancora il vuoto.

Con un brivido staccò le dita dall’elsa. «Luce santa!» disse con voce rauca. «Secondo te, sarebbe quello di prima?»

«A volte sta meglio, a volte peggio» replicò Egwene, con voce incerta. «Stavolta è peggio... molto peggio del solito.»

«Mi chiedo cosa veda. È pazzo, a fissare il soffitto nel buio.» Non ci fossero state le pietre, avrebbe guardato dritto nelle stanze delle donne. Dove c’erano Moiraine e l’Amyrlin Seat. Rand rabbrividì di nuovo. «È pazzo.»

«Non era una buona idea, Rand» disse Egwene, con un’occhiata alla cella; lo tirò più lontano e abbassò la voce, quasi timorosa che Fain ascoltasse. Il ridacchiare di Fain li seguì. «Anche se qui non ti cercheranno» riprese «non puoi restare con lui, visto lo stato in cui è ridotto. Oggi in lui c’è qualcosa che...» Trasse un sospiro incerto. «C’è un solo posto più sicuro di questo. Non te ne ho parlato perché era più facile farti entrare qui. Gli alloggi delle donne. Lì non ti cercheranno mai.»

«Gli alloggi delle... Egwene, Fain sarà pazzo, ma tu sei più pazza di lui! Per sfuggire alle vespe non ci si nasconde nel vespaio.»

«Quale posto migliore? L’unica zona della rocca dove un uomo, fosse anche lord Agelmar, non entrerebbe senza l’invito d’una donna. L’unico posto in cui non verrebbe neppure in mente di cercare un uomo.»

«L’unico posto della rocca sicuramente pieno di Aes Sedai. Che idea folle, Egwene.»

Con una spinta ai fagotti, Egwene parlò come se fosse tutto già deciso. «Devi avvolgere nel mantello spada e arco, così sembrerà che porti della roba per me. Non sarà difficile trovarti una giubba e una camicia un po’ meno eleganti. Però dovrai camminare a spalle basse.»

«Te l’ho detto, niente da fare.»

«Sei più testardo d’un mulo, quindi ti si addice di sicuro fare la parte del mio facchino. Se non vuoi proprio stare qui sotto con lui.»

Dal buio giunse la risatina di Fain. «La battaglia ancora non c’è stata, al’Thor. Mordeth sa.»

«Avrei migliori possibilità saltando dalle mura» brontolò Rand. Ma si tolse di tracolla i fagotti e cominciò ad avvolgere nel mantello spada, arco e faretra, come aveva suggerito Egwene.

Nel buio, Fain scoppiò a ridere. «Non è mai finita, al’Thor. Mai.»

4

Convocazione

Da sola nella sua stanza, Moiraine si sistemò lo scialle ricamato a pampini e foglie d’edera e si esaminò allo specchio posto nell’angolo. Aveva occhi scuri che parevano acuti quanto quelli d’un falco, quando era arrabbiata; e ora sembravano trapassare il vetro argentato dello specchio. Solo per combinazione aveva nelle bisacce della sella quello scialle. Lontano da Tar Valon, indossava di rado lo scialle con la * fiamma bianca al centro della schiena e con la lunga frangia del colore della sua Ajah, l’azzurro del cielo mattutino; in genere lo portava solo nella Torre Bianca. A Tar Valon poche circostanze, a parte le riunioni del Consiglio della Torre, richiedevano la formalità dello scialle e fuori delle Mura Lucenti la vista della Fiamma avrebbe fatto correre molta gente, a nascondersi o forse a chiamare i Figli della Luce. Una freccia dei Manti Bianchi era fatale anche per le Aes Sedai e i Figli della Luce erano troppo scaltri per farsi scorgere prima che la freccia colpisse il bersaglio. Moiraine non aveva mai immaginato d’indossare lo scialle a Fal Dara. Ma per un’udienza dell’Amyrlin Seat bisognava rispettare il protocollo.

Moiraine era snella, bassina, liscia di carnagione al punto da sembrare a volte più giovane, ma possedeva una grazia e una calma che potevano dominare qualsiasi assemblea. Il suo modo di fare, acquisito crescendo nel palazzo reale di Cairhien, era accentuato dagli anni trascorsi come Aes Sedai. Quel giorno, Moiraine lo sapeva, avrebbe avuto bisogno di tutta la sua calma, anche se per la maggior parte era solo calma superficiale. C’erano di sicuro dei guai, altrimenti l’Amyrlin non sarebbe venuta di persona, si disse per la decima volta. Quali guai? E da chi si era fatta accompagnare? Perché proprio lì, e in quel momento? Ormai non era più possibile commettere errori.

L’anello col Gran Serpente, al dito della destra, rifletté la luce, mentre Moiraine toccava la delicata catenella d’oro che le fermava i capelli neri e ondulati, lunghi alla spalla. Dalla catenella pendeva sulla fronte una piccola gemma azzurro chiaro. Molte, nella Torre Bianca, conoscevano gli artifici che Moiraine poteva realizzare usando come punto focale quella gemma. Era solo un pezzetto di cristallo levigato, un ciondolo che una ragazzina aveva adoperato nei primi tempi d’apprendimento, senza nessuno che la guidasse, Quella ragazzina aveva ricordato le storie degli angreal e dei più potenti sa’angreal , reliquie favolose dell’Epoca Leggendaria che permettevano alle Aes Sedai di incanalare l’Unico Potere in quantità superiore a quella comunemente usata senza aiuti; e aveva pensato che un simile punto focale fosse sempre necessario per incanalare il Potere, Le sue Sorelle nella Torre Bianca conoscevano alcuni suoi artifici e ne sospettavano altri, compresi alcuni inesistenti. In realtà, con quella pietra lei faceva cose di scarsa importanza, anche se utili all’occorrenza: il genere di cose che verrebbe in mente a una bambina. Ma se le donne al seguito dell’Amyrlin erano quelle sbagliate, forse sarebbero rimaste spiazzate dal cristallo, proprio a causa delle voci che circolavano.

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