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Robert Jordan: Presagi di tempesta

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Robert Jordan Presagi di tempesta

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I segni sono inequivocabili: l’Ultima Battaglia si avvicina. Rand al’Thor, il Drago Rinato, è determinato a stipulare una pace con gli invasori Seanchan. Per ottenerla, vuole dimostrare la sua buona fede riportando l’ordine nell’Arad Doman, un paese sotto attacco dei Seanchan, ma anche privo di un re… e dietro la sparizione del sovrano potrebbe esserci Graendal, una dei Reietti, maestra nella Coercizione. Nel frattempo, sia Mat che Perrin, superate varie vicissitudini, stanno cercando di tornare verso l’Andor per riunirsi a Rand prima dell’Ultima Battaglia. Ancora più difficile è il compito di Egwene: catturata e ridotta a novizia nella Torre Bianca, è riuscita a instillare il dubbio in molte delle Aes Sedai rimaste fedeli a Elaida, tanto che alcune di loro prestano ascolto alle sue parole e le chiedono addirittura consiglio. Ma sulla Torre incombe lo spettro di un attacco dei Seanchan: Egwene l’ha sognato e sa che avverrà e anche molto presto. Tarmon Gai’don, l’Ultima Battaglia, si avvicina. Ma l’umanità non è pronta.

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Cosa le aveva avvisate? Purtroppo, probabilmente aveva qualcosa a chetare con la cattura dell’Ajah Nera nel campo delle ribelli da parte di Egwene. Temeva di aver giocato male la sua mano. Ma cos’altro avrebbe potuto fare? La sua sola speranza era stata catturare tutte le Nere nell’accampamento e sperare che la notizia non sì diffondesse fino alla Torre Bianca.

Ma così era stato. Aveva catturato quelle rimaste e le aveva fatte giustiziare. Poi aveva costretto ogni Sorella nella Torre a giurare di nuovo sul Bastone dei Giuramenti. A loro non era piaciuto, naturalmente. Ma sapere che tutte le donne nell’accampamento delle ribelli lo avevano fatto le aveva convinte. E se così non era, l’aveva fatto probabilmente la notizia che Egwene aveva ordinato l’esecuzione della sua stessa Custode degli Annali. Di sicuro era stato un sollievo quando Silviana si era offerta di giurare per prima, di fronte all’intero Consiglio, per dar prova di se. Egwene aveva quindi giurato di nuovo di persona, poi aveva detto al Consiglio di aver visto tutte quante le donne nell’accampamento dimostrare di non essere degli Amici delle Tenebre. Avevano catturato altre tre Sorelle Nere che non erano nell’elenco di Verin. Solo tre. Che precisione! Verin aveva dato prova di se ancora una volta.

Egwene mise da parte il rapporto. La consapevolezza di coloro che erano scappate la rodeva ancora. Aveva conosciuto i nomi di sessanta Amici delle Tenebre e quelli le erano sfuggiti. Quel numero saliva a ottanta, se includeva le Sorelle scappate dal campo delle ribelli.

Io ti troverò, Alviarin, pensò Egwene, tamburellando il foglio col dito. Vi troverò tutte. Eravate un marciume all’interno della Torre stessa. La peggior specie di marciume. Non vi permetterò di diffonderlo.

Mise da parte il foglio e ne prese un altro. Su questo c’erano solo pochi nomi. Una lista di tutte le donne nella Torre che non erano sull’elenco di Verin e che erano state catturate dai Seanchan oppure erano scomparse dopo l’attacco.

Verin aveva creduto che una dei Reietti, Mesaana, si stesse nascondendo nella Torre. La confessione di Sheriam corroborava questa ipotesi. Il compito di Egwene di far giurare di nuovo ogni Aes Sedai sul Bastone dei Giuramenti non aveva rivelato nessun Amico delle Tenebre di enorme potere. La sua speranza era che il fatto stesso di giurare di nuovo avrebbe allentato la tensione fra le Ajah. Potevano smettere di preoccuparsi che ci fossero delle Nere fra loro. Naturalmente il solo fatto di fornire una prova che l’Ajah Nera fosse davvero esistita avrebbe potuto indebolire le Ajah.

A ogni modo, Egwene aveva un problema. Esaminò il foglio davanti a lei. Ogni donna nella Torre Bianca aveva dimostrato di non essere un Amico delle Tenebre. Per ogni donna sulla lista di Verin c’era un resoconto. Giustiziala, catturata, fuggita dalla Torre Bianca nel giorno dell’elezione di Egwene, catturata dai Seanchan o lontana dalla Torre al momento e da qualche tempo. Le Sorelle avevano istruzioni di stare in guardia per queste ultime.

Forse erano state fortunate e la Reietta era una delle donne prese dai Seanchan. Ma Egwene non credeva a quel genere di fortuna. Una dei Reietti non si sarebbe lasciata catturare così facilmente. Era probabile che avesse saputo dell’attacco fin dall’inizio.

Questo lasciava i tre nomi sulla lista di fronte a Egwene. Nalasia Merhan, una Marrone; Teramina, una Verde; e Jamilla Norsish, una Rossa. Tutte erano molto deboli nel Potere. E le donne su questa lista erano state nella Torre per anni. Pareva poco plausibile che Mesaana avesse impersonato una di loro così bene da far passare inosservato il suo sotterfugio. Egwene aveva una sensazione. Un presentimento, forse. Quantomeno un timore. Questi tre nomi erano gli unici che potevano essere stati la Reietta. Ma nessuno di essi corrispondeva, niente affatto. Questo le diede un brivido. E se Mesaana fosse stata ancora nascosta nella Torre?

In tal caso, in qualche modo sapeva come sconfiggere il Bastone dei Giuramenti.

Qualcuno bussò piano alla porta. Un attimo dopo si socchiuse. «Madre?» chiese Silviana. Egwene alzò gli occhi, sollevando le sopracciglia.

«Pensavo che potessi voler vedere questo» disse Silviana entrando, i suoi capelli neri raccolti in un’ordinata crocchia nera, la stola rossa da Custode degli Annali attorno alle spalle.

«Cosa c’è?»

«Dovresti venire a vedere.»

Incuriosita, Egwene si alzò. Non c’era tensione nella voce di Silviana, perciò non poteva trattarsi di qualcosa di troppo sinistro. Le due donne si lasciarono alle spalle lo studio, costeggiando il perimetro dell’edificio fino al Consiglio della Torre. Quando lo raggiunsero, Egwene sollevò un sopracciglio. Silviana le fece cenno di entrare.

Il Consiglio non era in sessione e le sedie erano vuote. Degli attrezzi da carpentiere giacevano sparpagliati su bianche lenzuola nell’angolo e un gruppo di operai in spessi grembiuli marroni e camicie bianche con le maniche arrotolate era raccolto di fronte al buco nel muro lasciato dai Seanchan. Egwene aveva ordinato che venisse montato un rosone nell’apertura invece di farla sigillare del tutto, un modo per ricordare quando la Torre Bianca era stata attaccata. Un monito per evitare che accadesse di nuovo. Prima che la finestra potesse essere installata, però, i carpentieri erano occupati a puntellare i lati e a creare l’alloggiamento.

Egwene e Silviana scivolarono nella stanza, scendendo la corta rampa fino al pavimento, che era stato ridipinto giustamente con i colori di tutte e sette le Ajah. I carpentieri le videro, poi si fecero indietro rispettosamente. Uno di essi si tolse il copricapo e se lo strinse contro il petto. Raggiungendo il margine della stanza, proprio davanti all’apertura, Egwene notò infine quello che Silviana l’aveva portata a vedere.

Dopo tutto questo tempo, le nubi si erano infine diradate. Si erano ritratte in un anello attorno a Montedrago. Da lì il sole splendeva radioso, illuminando quel distante spuntone innevato. Le fauci spezzate e il picco più alto delle pendici danneggiate erano immersi nella luce. Era la prima volta che Egwene riusciva a ricordarsi di aver visto la luce solare vera e propria da settimane. Forse piu’.

«Alcune novizie sono state le prime ad accorgersene, Madre» disse Silviana, accostandosi a lei. «E le notizie si diffondono in fretta. Chi avrebbe mai pensato che un anello cosi piccolo di luce solare avrebbe causato tanta agitazione? E una cosa tanto semplice, davvero. Nulla che non abbiamo visto prima. Ma…»

C’era qualcosa di stupendo in esso. La luce si riversava verso il basso in una colonna, forte e pura. Lontana, eppure magnificente. Era come qualcosa di dimenticato, ma in qualche modo ancora familiare, che tornava a splendere da un ricordo distante per portare di nuovo calore.

«Cosa significa?» chiese Silviana.

«Non lo so» disse Egwene. «Ma è una gradita visione.» Esitò. «Quel varco nelle nubi è troppo regolare per essere naturale. Segna questo giorno sui calendari, Silviana. Qualcosa è accaduto. Forse, prima o poi, verremo a sapere di cosa si tratta.»

«Sì, Madre» disse Silviana, guardando di nuovo fuori attraverso il foro.

Egwene rimase lì con lei, invece di tornare immediatamente nel suo studio. Fissare quella luce distante, così nobile e accogliente, era rilassante. «Presto arriveranno delle tempeste» pareva dire. «Ma per ora, io sono qui.»

Io sono qui.

Alla fine del tempo, quando i molti diventeranno uno,
l’ultima tempesta radunerà i suoi venti furiosi per distruggere una terra già morente.
E al suo centro, il cieco si ergerà
sopra la sua stessa tomba. Lì egli vedrà di nuovo,
e piangerà per ciò che è stato fatto.

da Le Profezie del Drago, Ciclo Essanik.

Traduzione ufficiale di Malhavish, Archivio imperiale di Seandar, Quarto circolo dell’Elevazione.

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