Robert Jordan - Presagi di tempesta

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I segni sono inequivocabili: l’Ultima Battaglia si avvicina. Rand al’Thor, il Drago Rinato, è determinato a stipulare una pace con gli invasori Seanchan. Per ottenerla, vuole dimostrare la sua buona fede riportando l’ordine nell’Arad Doman, un paese sotto attacco dei Seanchan, ma anche privo di un re… e dietro la sparizione del sovrano potrebbe esserci Graendal, una dei Reietti, maestra nella Coercizione. Nel frattempo, sia Mat che Perrin, superate varie vicissitudini, stanno cercando di tornare verso l’Andor per riunirsi a Rand prima dell’Ultima Battaglia.
Ancora più difficile è il compito di Egwene: catturata e ridotta a novizia nella Torre Bianca, è riuscita a instillare il dubbio in molte delle Aes Sedai rimaste fedeli a Elaida, tanto che alcune di loro prestano ascolto alle sue parole e le chiedono addirittura consiglio. Ma sulla Torre incombe lo spettro di un attacco dei Seanchan: Egwene l’ha sognato e sa che avverrà e anche molto presto.
Tarmon Gai’don, l’Ultima Battaglia, si avvicina. Ma l’umanità non è pronta.

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Una marionetta, che recitava la stessa parte più e più volte?

Era arrabbiato. Arrabbiato verso il mondo, arrabbiato verso il Disegno, arrabbiato verso il Creatore per aver abbandonato gli umani a combattere contro il Tenebroso senza una guida. Che diritto aveva ognuno di loro di esigere la vita di Rand per se?

Be’, Rand aveva offerto loro quella vita. Gli ci era voluto molto per accettare la sua morte, ma era in pace con se stesso per quello. Non era sufficiente? Doveva soffrire fino alla fine?

Aveva pensato che, se si fosse indurito abbastanza, questo avrebbe portato via il dolore. Se non poteva provare emozioni, allora non poteva nemmeno soffrire.

Le ferite al suo fianco pulsarono tormentandolo. Per qualche tempo era stato capace di dimenticarle. Ma le morti che aveva causato avevano vessato la sua anima. Quell’elenco che iniziava con Moiraine. Tutto aveva cominciato ad andar male con la sua morte. Prima di allora, lui aveva ancora speranza.

Prima di allora, non era mai stato rinchiuso in una cassa.

Rand capiva cosa gli sarebbe stato richiesto ed era cambiato nei modi che riteneva necessari. Quei cambiamenti servivano a impedire che venisse sopraffatto. Morire per proteggere persone che non conosceva? Scelto per salvare l’umanità ? Scelto per costringere i regni del mondo a unirsi dietro di lui, distruggendo quelli che rifiutavano di ascoltare? Scelto per causare le morti di migliaia che combattevano nel suo nome, per portare quelle anime sulle sue spalle, un peso che doveva gravare su di lui? Quale uomo poteva fare tali cose e restare sano di mente? L’unico modo che aveva concepito era stato porre un freno alle sue emozioni, rendere se stesso come cuendillar.

Ma aveva fallito. Non era stato in grado di scacciare i suoi sentimenti. La voce dentro di lui era così bassa, ma lo aveva punzecchiato, come un ago che bucava il suo cuore con tanti piccoli forellini. Perfino dal più piccolo avrebbe sanguinato.

Quei fori lo avrebbero prosciugato di tutto il suo sangue.

La voce sommessa adesso era scomparsa. Era svanita quando aveva gettato Tarn per terra e lo aveva quasi ucciso. Senza quella voce, Rand osava continuare? Se era l’ultimo vestigio del vecchio Rand — il Rand che aveva creduto di sapere cos’era giusto e cos’era sbagliato — cosa voleva dire il suo silenzio?

Rand raccolse la chiave d’accesso e si alzò in piedi, gli stivali che raschiavano la pietra. Era mezzogiorno, anche se il sole era sempre nascosto dietro le nuvole. Sotto poteva vedere colline e foreste, laghi e villaggi.

«E se io non volessi che il Disegno continuasse?» urlò. Fece un passo avanti, proprio fino al limitare della roccia, tenendo la chiave d’accesso serrata contro il petto.

«Viviamo le stesse vite!» gridò loro. «Ancora e ancora e ancora. Commettiamo gli stessi errori. I regni fanno le stesse cose stupide. I governanti deludono la loro gente più e più volte. Gli uomini continuano a soffrire, a odiare, a morire, a uccidere!»

I venti lo sferzavano, facendo garrire il suo mantello marrone e i suoi eleganti pantaloni tarenesi. Ma le sue parole si diffondevano, riecheggiando per le rocce spezzate di Montedrago. Faceva freddo, l’aria era fresca e frizzante. Il suo flusso lo teneva caldo abbastanza per sopravvivere, ma non fermava il gelo. Lui non lo aveva voluto.

«E se pensassi che è tutto senza senso?» domandò con la voce fragorosa di un re. «E se non volessi che continuasse a girare? Viviamo le nostre vite dal sangue di altri! E quegli altri vengono dimenticati. A che serve se tutto quello che conosciamo svanirà ? Grandi imprese o grandi tragedie, nulla ha il minimo significato! Diventeranno leggende, poi quelle leggende saranno dimenticate, poi ricomincerà da capo!»

La chiave d’accesso iniziò a risplendere nella sua mano. Le nuvole sopra di lui parvero diventare più scure.

La rabbia di Rand pulsava a ritmo col suo cuore, esigendo di essere liberata.

«E se lui avesse ragione?» gridò Rand. «E se fosse meglio che tutto questo finisse? E se la Luce fosse stata una menzogna fin dall’inizio e tutto questo fosse solo una punizione? Viviamo più e più volte, indebolendoci, morendo, intrappolati per sempre. Non siamo altro che torturali per l’eternità !»

Il potere si riversò dentro Rand come enormi marosi che riempivano un nuovo oceano. Lui si rianimò, gloriandosi in saidin, incurante che quella manifestazione dovesse essere visibile come un faro a tutti gli uomini al mondo in grado di incanalare. Si sentì risplendente di Potere, come un sole per il mondo sottostante.

«Nulla di questo ha importanza!»

Chiuse gli occhi, attingendo sempre più Potere, sentendosi come solo altre due volte in vita sua. Una quando aveva purificato saidin. L’altra quando aveva creato questa montagna.

Poi ne attinse ancora.

Sapeva che troppo Potere lo avrebbe distrutto. Aveva smesso di importargli. La furia che era montata dentro di lui per anni fu infine liberata, sguinzagliata dopo tanto tempo. Spalancò le braccia, la chiave d’accesso in mano. Lews Therin aveva avuto ragione a uccidersi e a creare Montedrago. Solo che non era andato abbastanza oltre.

Rand riusciva a ricordare quel giorno. Il fumo, il boato, gli acuti dolori di una Guarigione che lo riportava alla lucidità mentre giaceva in un palazzo spezzato. Ma quei dolori erano impalliditi a paragone del distrutto della comprensione. Tormento di vedere quelle bellissime pareti sfregiate e fratturate. Di vedere le pile di cadaveri familiari, gettati sul pavimento come stracci scartati. Di vedere Ilyena a poca distanza, i suoi capelli dorati sparsi per terra attorno a lei. Riusciva a percepire il palazzo attorno a lui tremare per gli stessi singhiozzi della terra. Oppure era Montedrago, che pulsava per l’immenso Potere che lui aveva attinto dentro di se?

Poteva odorare l’aria densa di sangue e fuliggine, di morte e dolore. Oppure era solo l’odore di un mondo morente, che si estendeva davanti a lui?

I venti iniziarono a sferzarlo, ruotando, le enormi nubi nel cielo si rimestavano su se stesse, come antichi leviatani che si agitavano nelle profondità buie e remote.

Lews Therin aveva commesso un errore. Era morto, ma aveva lasciato il mondo in vita, ferito, che continuava a zoppicare. Aveva lasciato che la Ruota del Tempo seguitasse a girare, ruotare, marcire e riportarlo indietro ancora. Non poteva sfuggirvi. Non senza porre termine a tutto quanto.

«Perche?» mormorò Rand ai venti che turbinavano attorno a lui. Il Potere che gli giungeva attraverso la chiave d’accesso era maggiore di quello che aveva trattenuto nel ripulire saidin. Forse maggiore di quanto ogni uomo ne avesse mai trattenuto. Vasto abbastanza da dipanare il Disegno stesso e portare la pace definitiva.

«Perche dobbiamo fare questo di nuovo?» sussurrò. «Io ho già fallito. Lei è morta per mano mia. Perche dovete farmelo vivere ancora?»

Un fulmine si stagliò sopra di lui, mentre il tuono lo investiva. Rand chiuse gli occhi, appollaiato su uno strapiombo che precipitava verso il basso per migliaia di piedi, nel mezzo di una tempesta di vento gelido. Attraverso le palpebre, poteva percepire la luce avvampante della chiave d’accesso. Il Potere che tratteneva dentro di se offuscava quella luce. Lui era il sole. Era fuoco. Era vita e morte.

Perche? Perche dovevano ripetere tutto questo ancora e ancora? Il mondo non poteva dargli risposte.

Rand sol levò le braccia in alto, un condotto di Potere ed energia. Un’incarnazione di morte e distruzione. Lui vi avrebbe posto fine. Avrebbe posto fine a tutto e avrebbe permesso che gli uomini trovassero riposo, finalmente, dalle loro sofferenze.

Avrebbe impedito che dovessero vivere ancora e ancora. Perche? Perche il Creatore aveva fatto loro questo? Perche?

Perche viviamo ancora?, chiese tutto a un tratto Lews Therin. La sua voce era chiara e distinta. Sì, disse Rand implorante. Dimmi, Perche?

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