Robert Jordan - Presagi di tempesta

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I segni sono inequivocabili: l’Ultima Battaglia si avvicina. Rand al’Thor, il Drago Rinato, è determinato a stipulare una pace con gli invasori Seanchan. Per ottenerla, vuole dimostrare la sua buona fede riportando l’ordine nell’Arad Doman, un paese sotto attacco dei Seanchan, ma anche privo di un re… e dietro la sparizione del sovrano potrebbe esserci Graendal, una dei Reietti, maestra nella Coercizione. Nel frattempo, sia Mat che Perrin, superate varie vicissitudini, stanno cercando di tornare verso l’Andor per riunirsi a Rand prima dell’Ultima Battaglia.
Ancora più difficile è il compito di Egwene: catturata e ridotta a novizia nella Torre Bianca, è riuscita a instillare il dubbio in molte delle Aes Sedai rimaste fedeli a Elaida, tanto che alcune di loro prestano ascolto alle sue parole e le chiedono addirittura consiglio. Ma sulla Torre incombe lo spettro di un attacco dei Seanchan: Egwene l’ha sognato e sa che avverrà e anche molto presto.
Tarmon Gai’don, l’Ultima Battaglia, si avvicina. Ma l’umanità non è pronta.

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Non avrebbero riconosciuto Rand finche lui non li avesse distrutti.

Sarà un atto di clemenza, sussurrò Lews Therin. La morte è sempre clemente. Il folle non suonava così pazzo come un tempo. In effetti, la sua voce aveva iniziato a suonare parecchio simile a quella di Rand.

Rand si fermò in cima a un altro ponte, rimirando il massiccio palazzo dalle bianche mura della città , sede della corte seanchan. Si innalzava per quattro piani, con anelli d’oro alla base delle quattro cupole e altro oro ancora sulle punte delle sue molte guglie. La Figlia delle Nove Lune si sarebbe trovata là dentro. Lui poteva dare a quelle mura una purezza, una perfezione che non avevano mai conosciuto. Questo avrebbe reso completo quell’edificio, in un certo senso, il momento prima che scomparisse nel nulla.

Svolse la chiave d’accesso, solo un forestiero come tanti, in piedi sul ponte fangoso. Dopo aver distrutto il palazzo, avrebbe dovuto fare in fretta. Avrebbe mandato esplosioni di fuoco malefico a distruggere le navi nel porto, poi avrebbe usato qualcosa di più ordinario per far piovere fuoco sulla città stessa, gettandola nel panico. Il caos avrebbe ritardato la reazione dei suoi nemici. Dopodiche avrebbe Viaggiato alle guarnigioni ai cancelli cittadini e le avrebbe distrutte. Ricordava vagamente i rapporti degli esploratori sui campi di approvvigionamento a nord, ben riforniti sia di soldati che di vettovaglie. Sarebbero stati i prossimi a essere distrutti. Da lì si sarebbe spostato ad Amador, poi a Tanchico e alle altre città. Avrebbe Viaggiato rapidamente, non rimanendo in un solo posto tanto a lungo da essere intercettato dai Reietti. Una guizzante luce di morte, come un tizzone ardente, che avvampava prima qui, poi lì. Molti sarebbero morti, ma la maggior parte sarebbero stati Seanchan. Invasori.

Abbassò lo sguardo verso la chiave d’accesso. Poi afferrò saidin. La nausea lo investì in modo più potente che mai. Quella forza lo sbatte a terra come un colpo fisico. Urlò, notando a malapena quando colpì le pietre. Gemette, stringendo la chiave d’accesso, avvolgendosi attorno a essa. Gli pareva di bruciare dentro e la testa gli girava; rotolò sulla spalla e vomitò giù dal ponte.

Ma trattenne saidin. Aveva bisogno del potere. Quello stupendo potere succulento. Perfino il lezzo del suo stesso vomito gli sembrava più reale, più dolce, per via del potere dentro di lui. Aprì gli occhi. La gente era radunata attorno a lui, preoccupata. Una pattuglia seanchan si stava avvicinando. Ora era il momento. Doveva colpire.

Ma non poteva. La gente sembrava così in apprensione. Così preoccupata. A loro importava. Urlando dalla frustrazione, Rand intesse un passaggio, e la gente fece un balzo all’indietro dallo sconcerto. Barcollò in piedi e vi si gettò attraverso, arrancando a quattro zampe, mentre i soldati Seanchan sguainavano le spade e gridavano parole sconosciute.

Rand atterrò su un grosso disco di pietra bianco e nero, e l’aria attorno a lui era un vuoto oscuro. Il portale si chiuse alle sue spalle, sigillando il varco su Ebou Dar, e il disco iniziò a muoversi. Fluttuò attraverso il vuoto, illuminato da qualche strana luce. Rand si raggomitolò sul disco, cullando la chiave d’accesso, respirando a fondo.

Perche non posso essere abbastanza forte? Non sapeva se quel pensiero fosse suo o di Lews Therin. I due erano la stessa cosa. Perche non posso fare quello che devo?

Il disco viaggiò per breve tempo, e l’unico suono nel vuoto era quello del suo respiro. Il disco pareva uno dei sigilli per la prigione del Tenebroso, diviso da una linea sinuosa che separava il bianco dal nero. Rand vi giaceva proprio sopra. Chiamavano la metà nera la Zanna del Drago. Per la gente simboleggiava il male. La distruzione.

Ma Rand era una distruzione necessaria. Perche il Disegno lo aveva Spinto con tanta forza se non doveva distruggere? All’inizio aveva tentato di evitare di uccidere… ma era molto improbabile che potesse funzionare. Poi si era costretto a evitare di uccidere donne. Quello si era rivelato impossibile.

Lui era distruzione. Doveva accettarlo e basta. Qualcuno doveva essere abbastanza duro per fare quello che andava fatto, giusto?

Un passaggio si aprì e lui si alzò in piedi incerto, la mano stretta sulla chiave d’accesso. Scese dalla piattaforma del Volo Aleggiato su un prato vuoto. Il posto dove una volta aveva combattuto i Seanchan con Callandor. E aveva fallito.

Fissò a lungo quel luogo, inspirando ed espirando, poi intesse un altro passaggio. Questo si aprì su un campo innevato e un vento gelido lo sferzò. Lo attraversò, mentre i suoi piedi scrocchiavano nella neve, e lasciò che il passaggio si chiudesse.

Qui il mondo si estendeva davanti a lui. Perche siamo venuti qui?, pensò Rand.

Perche, replicò Rand. Perche abbiamo fatto noi questo. Qui è dove siamo morti.

Era in piedi sulla vetta stessa di Montedrago, il picco solitario che aveva eruttato dove Lews Therin si era ucciso tremila anni prima. Da un lato, poteva guardare giù per centinaia di piedi dove il lato della montagna si apriva in un baratro creato da un’esplosione. L’apertura era enorme, più grande di quanto sembrava di profilo. Un ampio ovale di roccia rossa, ardente e in continuo movimento. Era come se un pezzo della montagna mancasse semplicemente, strappato via, lasciando il picco a elevarsi in aria ma con l’intero fianco della montagna svanito. Rand fissò giù in quell’abisso ribollente. Erano come le fauci di una bestia. Il calore ardeva da sotto e fiocchi di cenere roteavano in aria.

Il ciclo plumbeo sopra di lui era coperto di nubi. La terra pareva ugualmente distante, a malapena visibile, come una trapunta contrassegnata di motivi. Qui una toppa verde che era una foresta. Lì una cucitura che era un fiume. Verso est, vide una macchiolina in quel fiume, come una foglia galleggiante catturata dalla corrente. Tar Valon.

Rand si sedette, e la neve scricchiolava sotto il suo peso. Mise la chiave d’accesso sul bordo del precipizio davanti a lui e intesse Aria e Fuoco per tenersi al caldo.

Poi appoggiò i gomiti sulle ginocchia e la testa sulle mani, fissando la minuta statua dell’uomo col globo.

Per pensare.

50

Vene d’oro

Il vento soffiava attorno a Rand, seduto sulla cima del mondo. I suoi flussi di Aria e Fuoco avevano sciolto la neve attorno a lui, lasciando esposta una frastagliata punta di roccia grigio-nera larga circa tre passi. Il picco era come un’unghia rotta protesa verso il cielo, e Rand vi era seduto proprio sulla punta. A quanto poteva distinguere, questa era la vetta vera e propria di Montedrago. Forse il punto più alto al mondo.

Sedeva sul suo piccolo affioramento, la chiave d’accesso posata sulla roccia di fronte a lui. L’aria era rarefatta qui e Rand aveva problemi a respirare finche non trovò un modo di intessere Aria così da comprimerla leggermente attorno a se. Come il flusso che lo aveva riscaldato, non era certo di come l’aveva fatto. Si ricordava vagamente di Asmodean che provava a insegnargli un flusso simile, e Rand non era stato capace di intesserlo in modo corretto. Ora gli veniva naturale. l’influsso di Lews Therin oppure la sua crescente familiarità con l’Unico Potere?

La bocca aperta e spezzata di Montedrago era situata diverse centinaia di piedi sotto di lui, verso sinistra. Gli odori di cenere e zolfo erano pungenti, perfino a questa distanza. Le fauci erano nere di cenere e rosse di roccia fusa e fuochi ardenti.

Rand tratteneva ancora la Fonte. Non osava lasciarla andare. l’ultima volta che l’aveva afferrata era la peggiore che potesse ricordare e temeva che la nausea lo avrebbe sopraffatto, se avesse provato di nuovo.

Era lì da ore. Eppure non si sentiva stanco. Fissò il ter’angreal, meditando.

Cos’era lui? Era il Drago Rinato? Un simbolo? Un sacrificio? Una spada, fatta per distruggere? Una mano protettiva, fatta per difendere?

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