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Rorbert Jordan: Memoria di luce

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Rorbert Jordan Memoria di luce

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«Se sei qui per implorare perdono,» disse Nynaeve «sei venuta dalla persona sbagliata. Ho una mezza idea di consegnarti ai Custodi per essere interrogata. Forse possono estorcere da quella tua mente infida qualcosa di utile sul tuo popolo.»

«Anch’io sono contenta di rivederti, Nynaeve» disse Leilwin in tono freddo.

«Allora cos’è successo?» domandò Nynaeve.

«Ho tentato» disse all’improvviso Bayle, con rammarico. «Li ho combattuti, ma sono stato sopraffatto facilmente. Avrebbero potuto dar fuoco alla mia nave, farci affondare tutti quanti, uccidere i miei uomini.»

«Sarebbe stato meglio se tu e tutti quelli a bordo foste morti, Illianese» disse Nynaeve. «Il ter’angreal è finito nelle mani di una dei Reietti: Semirhage si stava nascondendo tra i Seanchan, spacciandosi per qualche tipo di giudice. Una Voce della Verità? È quella la definizione giusta?»

«Sì» disse Leilwin piano. Ora capiva. «Mi dispiace aver infranto il mio giuramento, ma...»

«Ti dispiace , Egeanin?» disse Nynaeve, alzandosi in piedi e sbattendo indietro la sedia. «‘Dispiacere’ non è una parola che userei per aver messo in pericolo il mondo stesso, portandoci sull’orlo dell’oscurità per poi spingerci quasi oltre il bordo! Lei ha fatto fare delle copie di quell’aggeggio, donna. Una è finita attorno al collo del Drago Rinato. Il Drago Rinato in persona, controllato da una dei Reietti!»

Nynaeve gettò in alto le mani. «Luce! Siamo stati solo a pochi attimi dalla fine, a causa tua. La fine di tutto. Niente più Disegno, niente più mondo, niente di niente. Milioni di vite si sarebbero potute estinguere a causa della tua sbadataggine.»

«Io...» Tutt’a un tratto i fallimenti di Leilwin parvero monumentali. La sua vita, perduta. Il suo stesso nome, perduto. La sua nave, strappatale dalla Figlia delle Nove Lune in persona. Tutto scompariva alla luce di quello.

«Io ho combattuto» disse Bayle con maggiore fermezza. «Ho combattuto con tutto ciò che potevo dare.»

«Pare che mi sarei dovuta unire a te» disse Leilwin.

«Ho cercato di spiegarlo» disse Bayle con aria torva. «Molte volte ormai, che io sia folgorato, ma l’ho fatto eccome.»

«Bah» disse Nynaeve, portandosi una mano alla fronte. «Cosa ci fai qui, Egeanin? Speravo fossi morta. Se fossi morta cercando di mantenere il tuo giuramento, non avrei potuto biasimarti.»

L’ho dato a Suroth in persona, pensò Leilwin. Un prezzo pagato per la mia vita, l’unica via di salvezza.

«Ebbene?» Nynaeve la fissò con sguardo torvo. «Parla, Egeanin.»

«Non porto più quel nome.» Leilwin si inginocchiò. «Tutto mi è stato tolto, incluso il mio onore, a quanto pare. Mi concedo a te come pagamento.»

Nynaeve sbuffò. «Non teniamo le persone come se fossero animali, a differenza di voi Seanchan.»

Leilwin rimase inginocchiata. Bayle le appoggiò una mano sulla spalla, ma non cercò di tirarla in piedi. Oramai capiva piuttosto bene perché lei doveva comportarsi a quel modo. Era quasi del tutto civilizzato.

«In piedi» sbottò Nynaeve. «Luce, Egeanin. Ti ricordo così forte da poter masticare rocce e sputar fuori sabbia.»

«È la mia forza a obbligarmi» disse lei, abbassando gli occhi. Nynaeve non capiva quanto era difficile? Sarebbe stato più semplice tagliarsi la gola, solo che non le rimaneva abbastanza onore per chiedere una fine tanto facile.

«Alzati!»

Leilwin fece come le veniva detto.

Nynaeve prese il mantello dal letto e se lo mise addosso. «Vieni. Ti porteremo dall’Amyrlin. Forse lei saprà cosa fare con te.»

Nynaeve uscì a grandi passi nella notte e Leilwin la seguì. Aveva preso la sua decisione. C’era una sola strada che aveva senso, un solo modo per conservare un briciolo d’onore e forse per aiutare il suo popolo a sopravvivere alle menzogne che avevano raccontato a sé stessi per così tanto tempo.

Leilwin Senzanave ora apparteneva alla Torre Bianca. Qualunque cosa avessero detto, qualunque cosa avessero cercato di fare con lei, quel fatto non sarebbe cambiato. La possedevano. Sarebbe stata da’covale per quella Amyrlin, e avrebbe cavalcato quella tempesta come una nave la cui vela fosse stata fatta a brandelli dal vento.

Forse, con ciò che rimaneva del suo onore, sarebbe riuscita a conquistarsi la fiducia di quella donna.

«Fa parte di un vecchio rimedio per il dolore delle Marche di Confine» disse Melten, togliendo la benda sul fianco di Talmanes. «La vescichella rallenta la corruzione lasciata dal metallo maledetto.»

Melten era un uomo snello, con una zazzera di lunghi capelli. Era vestito come un boscaiolo andorano, con camicia e mantello semplici, ma parlava come un uomo delle Marche di Confine. Nel borsello portava una serie di palle colorate con cui alle volte faceva il giocoliere per altri membri della Banda. In un’altra vita, doveva essere stato un menestrello.

Era insolito che un uomo come lui fosse nella Banda, ma questo valeva per tutti, in un senso o nell’altro.

«Non so come faccia a smorzare il veleno» disse Melten. «Ma lo fa. Non è un veleno naturale, bada bene. Non puoi succhiarlo via.»

Talmanes si premette la mano contro il fianco. Il dolore bruciante era come rampicanti spinosi che gli strisciavano sottopelle, insinuandosi più in profondità e strappandogli la carne a ogni movimento. Poteva percepire il veleno muoversi attraverso il suo corpo. Luce, quanto faceva male.

Nelle vicinanze, gli uomini della Banda si facevano strada combattendo per Caemlyn, diretti su verso il Palazzo. Erano entrati attraverso il cancello meridionale, lasciando i drappelli di mercenari — sotto il comando di Sandip — a tenere il cancello occidentale.

Se c’era resistenza umana da qualche parte nella città, sarebbe stata al palazzo. Purtroppo, manipoli di Trolloc vagabondavano per la zona tra la posizione di Talmanes e il palazzo. Continuavano a imbattersi nei mostri e a rimanere coinvolti in scontri.

Talmanes non era riuscito a scoprire se c’era davvero qualcuno che resisteva lassù senza andarci effettivamente. Questo significava guidare i suoi uomini fino al Palazzo, facendosi strada combattendo, e rischiare che il percorso alle sue spalle venisse bloccato se uno di quei manipoli erranti li avesse aggirati. Non c’era altra possibilità, però. Doveva scoprire cosa rimaneva — sempre che rimanesse qualcosa — delle difese del palazzo. Da lì, poteva spingersi più in profondità dentro Caemlyn e cercare di prendere i Draghi.

L’aria puzzava di fumo e sangue; durante una breve pausa tra gli scontri, avevano impilato i Trolloc morti contro il lato destro della strada per lasciar spazio per passare.

C’erano anche dei profughi in quel quartiere cittadino, anche se non una fiumana. Un flusso, forse, che fuoriusciva dall’oscurità man mano che Talmanes e la Banda conquistavano parti della strada principale che portava al palazzo. Quei profughi non chiedevano mai che la Banda proteggesse i loro averi o salvasse le loro case; singhiozzavano dalla gioia nel trovare una resistenza umana. Madwin aveva l’incarico di mandarli verso la libertà lungo il corridoio sicuro che la Banda aveva tracciato.

Talmanes guardò su verso il palazzo, in cima alla collina, ma visibile solo a malapena nella notte. Anche se buona parte della città bruciava, il palazzo non era in fiamme; le sue mura bianche erano sospese come fantasmi nella notte fumosa. Niente fuoco. Quello doveva indicare una resistenza, giusto? I Trolloc non lo avrebbero forse attaccato come una delle prime cose una volta giunti in città?

Aveva mandato alcuni esploratori a perlustrare la strada più avanti mentre concedeva ai suoi uomini — e a sé stesso — un breve riposo.

Melten finì di legare stretto il cataplasma di Talmanes.

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