Rorbert Jordan - Memoria di luce

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Aviendha stessa iniziò ad avviarsi, ma una mano ossuta la prese per il braccio. Con la coda dell’occhio vide Bair in piedi dietro di lei, vestita di nuovo con blusa e gonna.

«Sapiente» disse Aviendha di riflesso.

«Sapiente» replicò Bair con un sorriso.

«C’è qualcosa che...»

«Voglio andare al Rhuidean» disse Bair, lanciando un’occhiata al cielo. «Potresti gentilmente creare un passaggio per me?»

«Hai intenzione di passare attraverso le colonne di vetro.»

«Una di noi deve farlo. Malgrado quello che dice Amys, Elenar non è pronta, in particolare non per vedere... qualcosa di questa natura. Quella ragazza passa la metà delle sue giornate a starnazzare come una poiana per l’ultimo pezzo di una carcassa marcia.»

«Ma...»

«Oh, non cominciare anche tu. Adesso sei una di noi, Aviendha, ma io sono ancora abbastanza vecchia da aver accudito la tua bisnonna quando era una bambina.» Bair scosse il capo; i suoi capelli bianchi parevano quasi brillare nella luce lunare che filtrava. «Sono la scelta migliore» continuò. «Le incanalatrici devono essere preservate per la battaglia a venire. E non voglio che qualche bambina cammini in mezzo a quelle colonne ora. Lo farò io. Adesso, quel passaggio? Esaudirai la mia richiesta oppure devo fare la prepotente con Amys perché lo crei?»

Ad Aviendha sarebbe piaciuto vedere qualcuno fare il prepotente con Amys. Forse Sorilea poteva riuscirci. Non disse nulla, però, e creò il flusso adeguato per aprire un passaggio.

Il pensiero che un’altra persona vedesse ciò che aveva visto lei le dava il voltastomaco. Se Bair fosse tornata esattamente con la stessa visione, cosa avrebbe significato? Avrebbe indicato che il futuro era più probabile?

«E stato terribile, vero?» chiese Bair piano.

«Orrendo. Avrebbe fatto piangere le lance e sbriciolare le rocce, Bair. Avrei preferito danzare con l’Accecatore in persona.»

«Allora è molto meglio che ci vada io piuttosto che qualcun’altra. Dovrebbe essere la più forte di noi a farlo.»

Aviendha si trattenne a stento dal sollevare un sopracciglio. Bair era robusta quanto cuoio buono, ma le altre Sapienti non erano esattamente petali di fiori. «Bair» disse Aviendha quando le venne in mente una cosa. «Hai mai incontrato una donna di nome Nakomi?»

«Nakomi.» Bair saggiò quella parola nella sua bocca. «Un nome antico. Non ho mai conosciuto nessuno che lo usasse. Perché?»

«Ho incontrato una donna aiel mentre ero in viaggio verso il Rhuidean» disse Aviendha. «Ha affermato di non essere una Sapiente, ma si comportava in un modo...» Scosse il capo. «Te l’ho chiesto solo per curiosità.»

«Be’, conosceremo un po’ della verità di queste visioni» disse Bair, avviandosi verso il passaggio.

«E se fossero vere, Bair?» si ritrovò a chiedere Aviendha. «E se non ci fosse nulla che possiamo fare?»

Bair si voltò. «Hai visto i tuoi figli, hai detto?»

Aviendha annuì. Non aveva parlato in dettaglio di quella parte della visione. Le era sembrata una faccenda più personale.

«Cambia uno dei loro nomi» disse Bair. «Non pronunciare mai il nome con cui il bambino veniva chiamato nella visione, nemmeno con noi. Allora saprai. Se una cosa è diversa, anche altre potrebbero esserlo. Lo saranno. Questo non è il nostro destino, Aviendha. E un sentiero che eviteremo. Assieme.»

Aviendha si ritrovò ad annuire. Sì. Un cambiamento semplice, un piccolo cambiamento, ma pieno di significato. «Grazie, Bair.»

L’attempata Sapiente le rivolse un cenno con il capo, poi entrò nel passaggio, correndo nella notte verso la città più avanti.

Talmanes si scagliò con la spalla contro un imponente Trolloc dalla faccia di cinghiale in una rozza armatura di maglia.

La bestia emanava un fetore orrendo, come fumo, pelliccia umida e carne non lavata. Grugnì per la forza dell’assalto di Talmanes; quelle cose sembravano rimanere sempre sorprese quando lui le attaccava.

Talmanes indietreggiò, strappando via la spada dal fianco della bestia mentre crollava a terra. Poi si scagliò in avanti e le conficcò la spada nella gola, incurante delle unghie frastagliate che gli graffiavano le gambe. La vita scomparve da quei piccoli occhi brillanti, fin troppo umani.

Gli uomini combattevano, urlavano, grugnivano, uccidevano. La strada procedeva in una pendenza ripida su verso il Palazzo. Orde di Trolloc si erano asserragliati lì, tenendo la posizione e impedendo alla Banda di raggiungere la cima.

Talmanes si afflosciò contro il lato di un edificio; quello accanto era in fiamme, illuminava la strada con colori violenti e inondandolo di calore. Quei fuochi parevano gelidi paragonati al terribile dolore avvampante della sua ferita. Quella vampata gli scendeva dalla gamba fino al piede e stava iniziando a salire fino alla spalla.

Sangue e maledette ceneri, pensò. Cosa darei per qualche altra ora con la mia pipa e un libro, da solo e in pace. Le persone che parlavano di morte gloriosa in battaglia erano degli stramaledetti idioti. Non c’era nulla di glorioso nel morire in quel caos di fuoco e sangue. Mille volte meglio una morte tranquilla.

Talmanes si rimise in piedi, gocce di sudore che gli cadevano dal volto. Sotto, i Trolloc erano ammassati dietro la sua posizione di retroguardia. Avevano bloccato la strada dietro la truppa di Talmanes, ma lui fu in grado di procedere, aprendosi un varco tra i Trolloc più avanti.

Sarebbe stato difficile riuscire in una ritirata. Non solo quella strada era piena di Trolloc, ma combattere nella città voleva dire che i Trolloc potevano aggirarli passando per le vie in piccoli gruppi e attaccarli sui fianchi, mentre avanzavano e più tardi quando avessero ripiegato.

«Scagliategli contro tutto quello che avete, uomini!» urlò, lanciandosi su per la strada contro i Trolloc che bloccavano il passaggio. Il Palazzo era molto vicino ora. Intercettò la spada di un Trolloc dalla testa di capra con il suo scudo appena prima che spiccasse la testa di Dennel. Talmanes cercò di scaraventare indietro l’arma della bestia, ma Luce, quanto erano forti i Trolloc. Talmanes riuscì a stento a impedire che questo lo gettasse a terra mentre Dannel si ristabiliva e lo attaccava alle cosce, facendolo cadere.

Melten si mise accanto a Talmanes. L’abitante delle Marche di Confine era fedele alla sua parola di stare vicino, nel caso Talmanes avesse avuto bisogno di una spada per porre fine alla sua vita. I due guidarono l’offensiva su per la collina. I Trolloc cominciarono a cedere, poi si radunarono, un ammasso ringhiante e ruggente di pelliccia scura, occhi e armi alla luce del fuoco.

Ce n’erano così tanti.

«Avanti così!» urlò Talmanes. «Per Lord Mat e la Banda della Mano Rossa.»

Se Mat fosse stato lì, probabilmente avrebbe imprecato parecchio, si sarebbe lamentato altrettanto, poi avrebbe proceduto a salvarli con qualche miracolo sul campo. Talmanes non riusciva a replicare il miscuglio di follia e ispirazione di Mat, ma il suo urlo parve incoraggiare gli uomini. I ranghi si strinsero. Gavid dispose le sue due dozzine di balestrieri — gli ultimi che Talmanes aveva con sé — in cima a un edificio che non era stato raso al suolo dalle fiamme. Iniziarono a scagliare dardi contro i Trolloc, una raffica dopo l’altra.

Quello avrebbe potuto mandare in rotta nemici umani, ma non i Trolloc. I dardi ne abbatterono alcuni, ma non quanti Talmanes avrebbe sperato.

C’è un altro Fade là dietro, pensò Talmanes. Che li spinge in avanti. Luce, non posso combatterne un altro. Non avrei dovuto affrontare nemmeno il primo!

Non sarebbe dovuto essere in piedi. La fiasca di acquavite di Melten non c’era più, prosciugata da tempo per lenire quello che poteva. La sua mente era già confusa fino al punto massimo che poteva permettersi. Si accostò a Dennel e Londraed in prima linea, combattendo, concentrandosi. Spargendo sangue di Trolloc sui ciottoli che poi scorreva giù per la collina.

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