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Rorbert Jordan: Memoria di luce

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Rorbert Jordan Memoria di luce

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L’uomo sbatté le palpebre.

«Avete due possibilità» disse Talmanes, voltando il suo cavallo e parlando ad alta voce alla truppa. «Potete combattere come il resto di noi e aiutare questo mondo a vedere nuovi giorni, e forse alla fine guadagnerete qualche moneta. Non posso prometterlo. L’altra vostra possibilità è starvene seduti qui, a guardare gente che viene massacrata e dire a voi stessi che non lavorate gratis. Se siete fortunati e il resto di noi salverà questo mondo senza di voi, respirerete per il tempo sufficiente a essere appesi per i vostri colli codardi.»

Silenzio. Corni risuonarono dall’oscurità dietro Talmanes.

Il capo mercenario guardò verso i suoi compagni. Quelli annuirono.

«Aiutate a tenere quel cancello» disse Talmanes. «Andrò dalle altre bande mercenarie e le convincerò a collaborare.»

Leilwin fece spaziare lo sguardo sulla moltitudine di accampamenti che punteggiavano il luogo noto come Campo di Merrilor. Nell’oscurità, con la luna che non sarebbe sorta ancora per qualche tempo, poteva quasi immaginare che i fuochi per cucinare fossero lanterne di navi in un porto indaffarato di notte.

Era uno spettacolo che probabilmente non avrebbe visto mai più. Leilwin Senzanave non era un capitano; non lo sarebbe stata mai più. Desiderare altrimenti era come sfidare la natura stessa di ciò che era diventata.

Bayle le mise una mano sulla spalla. Dita tozze, irruvidite da molti giorni di lavoro. Leilwin sollevò una mano per posarla sulla sua. Era stato semplice scivolare attraverso uno di quei passaggi creati a Tar Valon. Bayle sapeva come muoversi per la città, anche se si era lamentato di trovarsi lì. «Questo posto mi fa rizzare i peli delle braccia» aveva detto, e «Non volevo percorrere queste strade mai più. Non lo volevo davvero.»

Ma era andato con lei comunque. Un brav’uomo, Bayle Domon. Il migliore che avesse trovato in queste terre a lei sconosciute, malgrado momenti di commerci riprovevoli nel suo passato. Ma se l’era lasciato alle spalle. Se non capiva qual era il giusto corso delle cose, almeno ci provava.

«Questo sì che è uno spettacolo» disse lui, esaminando il silenzioso mare di luce. «Cosa vuoi fare ora?»

«Troviamo Nynaeve al’Meara o Elayne Trakand.»

Bayle si grattò il mento barbuto; lo portava alla maniera illianese, con il labbro superiore rasato. Le ciocche che aveva in testa erano di lunghezza variabile; aveva smesso di rasarsi una parte del capo adesso che lei l’aveva liberato. Leilwin l’aveva fatto in modo che potessero sposarsi, naturalmente.

Era un bene: una testa rasata avrebbe attirato l’attenzione lì. Lui si era comportato molto bene come so’jhin una volta che certe... questioni erano state risolte. Alla fine, comunque, Leilwin doveva ammettere che Bayle Domon non era fatto per essere so’jhin. Era troppo rozzo e nessuna marea avrebbe mai attenuato quelle spigolosità. Era così che lo voleva, anche se non l’aveva mai detto ad alta voce.

«È davvero tardi, Leilwin» disse lui. «Forse dovremmo a — spettare fino a domattina.»

No. Gli accampamenti erano silenziosi, vero, ma non era il silenzio del torpore. Era la quiete di navi che attendevano venti propizi.

Leilwin sapeva poco di ciò che stava accadendo lì: non aveva osato aprire la bocca a Tar Valon per fare domande, così da evitare di essere riconosciuta come Seanchan dal suo accento. Un raduno di queste dimensioni non avveniva senza un’adeguata pianificazione. La sua immensità la lasciava sorpresa: aveva sentito che lì ci sarebbe stato un raduno, uno al quale buona parte delle Aes Sedai erano venute a partecipare. Questo superava qualunque cosa avesse previsto.

Si avviò lungo il campo e Bayle la seguì; entrambi si unirono al gruppo di servitori di Tar Valon che avevano il permesso di accompagnare, grazie a qualche moneta di Bayle. I suoi metodi non le piacevano, ma Leilwin non era riuscita a escogitare nessun altro modo. Cercava di non pensare troppo ai contatti che lui aveva un tempo a Tar Valon. Be’, se lei non fosse più salita su una nave, Bayle non avrebbe avuto altre opportunità per il contrabbando. Quella era una piccola consolazione.

Sei un capitano di nave. E tutto ciò che conosci; tutto ciò che vuoi. E ora, sei Senzanave. Rabbrividì e chiuse le mani a pugno per non stringere le braccia attorno a sé stessa. Passare il resto dei suoi giorni in queste terre immutabili, non poter più muoversi a un passo più rapido di quello che poteva fornire un cavallo, non sentire più l’odore dell’aria del mare al largo, non indirizzare più la sua prora verso un orizzonte, issare l’ancora, far vela e semplicemente...

Si riscosse. Trovare Nynaeve ed Elayne. Poteva essere Senzanave ma non avrebbe permesso a sé stessa di scivolare negli abissi e affogare. Tracciò la rotta e iniziò a camminare. Bayle si ingobbì lievemente, sospettoso, e cercò di osservare tutto quello che li circondava. Le lanciò anche qualche occhiata, le labbra tese in una linea. Oramai Leilwin sapeva cosa significava.

«Cosa c’è?» domandò.

«Leilwin, cosa ci facciamo qui?»

«Te l’ho detto. Dobbiamo trovare...»

«Sì, ma perché? Cosa pensi di fare? Sono Aes Sedai.»

«Mi hanno mostrato rispetto in precedenza.»

«E perciò pensi che ci accoglieranno?»

«Forse.» Lo fissò. «Parla, Bayle. Hai qualcosa per la testa.»

Lui sospirò. «Perché dobbiamo farci coinvolgere, Leilwin? Potremmo trovarci una nave da qualche parte, nell’Arad Doman. Dove non ci siano Aes Sedai Seanchan.»

«Non capitanerei il tipo di nave che ti piacerebbe.»

Bayle le scoccò un’occhiata piatta. «So come condurre commerci onesti, Leilwin. Non sarebbe...»

Lei sollevò una mano per zittirlo, poi gliel’appoggiò sulla spalla. Si fermarono sul cammino. «Lo so, amore mio. Lo so.

Sto pronunciando parole per distrarre, per farci virare in una corrente che non va da nessuna parte.»

«Perché?»

Quell’unica parola la grattò come una scheggia sotto un’unghia. Perché? Perché era venuta fin lì, viaggiando con Matrim Cauthon, mettendosi pericolosamente vicino alla Figlia delle Nove Lune? «Il mio popolo vive con un’idea seriamente sbagliata del mondo, Bayle. Nel farlo, generano ingiustizia.»

«Ti hanno emarginato, Leilwin» disse lui piano. «Non sei più una di loro.»

«Io sarò sempre una di loro. Mi è stato tolto il nome, ma non il sangue.»

«Sono spiacente per l’insulto.»

Leilwin annuì bruscamente. «Sono ancora leale all’Imperatrice, che possa vivere per sempre. Ma le damane... loro sono le fondamenta stesse del suo dominio. Sono i mezzi tramite i quali crea l’ordine, con cui tiene assieme l’impero. E le damane sono una menzogna.»

Le sul’dam potevano incanalare. Il talento poteva essere appreso. Ora, mesi dopo aver scoperto la verità, la sua mente non riusciva ad abbracciare tutte le implicazioni. Qualcun altro forse avrebbe avuto più interesse nel vantaggio politico; qualcun altro sarebbe potuto tornare a Seanchan e usarlo per ottenere potere. Leilwin desiderava quasi averlo fatto. Quasi.

Ma le suppliche delle sul’dam... arrivare a conoscere quelle Aes Sedai, che erano completamente diverse da quello che le era stato insegnato...

Bisognava fare qualcosa. Eppure, nel farlo, rischiava forse di far crollare tutto quanto l’impero? Doveva ponderare con estrema attenzione le sue mosse, come gli ultimi turni di una partita di shal.

I due continuarono a seguire la fila di servitori nell’oscurità; accadeva spesso che delle Aes Sedai inviassero dei servitori a prendere qualcosa che avevano lasciato nella Torre Bianca, perciò viaggiare avanti e indietro era una cosa comune: un bene per Leilwin. Superarono il perimetro dell’accampamento delle Aes Sedai senza alcun controllo.

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