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Rorbert Jordan: Memoria di luce

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Rorbert Jordan Memoria di luce

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Chiunque fosse la donna, era sotto mentite spoglie, allora. Perché preoccuparsi di nascondersi lì? A ogni modo, doveva essere stata lei a convocarlo. Nessuna donna entrava nella Cittadina con un’espressione tanto imperiosa, tanta fiducia in sé, come se si aspettasse che le pietre stesse saltassero se lei gliel’avesse ordinato. Isam si abbassò silenziosamente su un ginocchio.

Quel movimento risvegliò il dolore nello stomaco, dov’era stato ferito. Ancora non si era ristabilito dal combattimento con il lupo. Sentiva un’emozione agitarsi dentro di lui: Luc odiava Aybara. Insolito. Luc tendeva a essere quello più accomodante, Isam quello più inflessibile. Be’, era così che lui si considerava.

A ogni modo, erano d’accordo su quel lupo in particolare. Da un lato, Isam era eccitato: come cacciatore, di rado gli si era presentata una sfida come Aybara. Però il suo odio era più profondo. Lui avrebbe ucciso Aybara.

Isam mascherò il dolore con una smorfia e chinò il capo. La donna lo lasciò inginocchiato e si mise a sedere al suo tavolo. Tamburellò un dito sul lato della tazza di stagno per qualche momento, fissando quello che conteneva, e non parlò.

Isam rimase immobile. Molti di quegli sciocchi che si facevano chiamare Amici delle Tenebre si agitavano e si contorcevano quando qualcuno affermava il proprio potere su di loro. In effetti, ammise con riluttanza, probabilmente Luc si sarebbe agitato proprio a quel modo.

Isam era un cacciatore. Quello era tutto ciò che gli importava. Quando avevi la certezza di ciò che eri, non c’era motivo di disprezzare che ti fosse mostrato il tuo posto.

Dannazione, quanto gli faceva male il lato della pancia.

«Lo voglio morto» disse la donna. La sua voce era morbida eppure intensa.

Isam non disse nulla.

«Lo voglio sventrato come un animale, le sue interiora versate per terra, il suo sangue in una scodella per i corvi, le sue ossa lasciate a sbiancare, poi ingrigire, poi frantumarsi al calore del sole. Lo voglio morto, cacciatore.»

«Al’Thor.»

«Sì. Hai fallito in passato.» La voce della donna era ghiaccio. Isam provò un brivido. Questa donna era dura. Dura come Moridin.

Nei suoi anni di servizio, aveva imparato a disprezzare molti dei Prescelti. Bisticciavano come bambini, nonostante tutto il loro potere e la loro presunta saggezza. Questa donna lo faceva esitare, e Isam si domandò se li avesse spiati davvero tutti. Lei pareva diversa.

«Ebbene?» chiese la donna. «Hai intenzione di discolparti dei tuoi fallimenti?»

«Ogni volta che qualcuno degli altri mi ha dato come incarico questa caccia,» disse lui «è venuto un altro a distogliermi e ad affidarmi qualche altro incarico.»

In verità, lui avrebbe preferito continuare la sua caccia al lupo. Non avrebbe disobbedito agli ordini, soprattutto non a ordini diretti dai Prescelti. A parte Aybara, una caccia per lui valeva quanto l’altra. Avrebbe ucciso questo Drago, se doveva.

«Non accadrà nulla del genere, stavolta» disse la Prescelta, ancora fissando la tazza. Non aveva guardato Isam e non gli aveva dato il permesso di alzarsi, perciò rimaneva inginocchiato. «Tutti gli altri hanno rinunciato alle rivendicazioni su di te. A meno che il Sommo Signore non ti dica altrimenti — a meno che non ti convochi personalmente — devi attenerti a questo compito. Uccidere al’Thor.»

Del movimento fuori dalla finestra indusse Isam a lanciare un’occhiata di lato. La Prescelta non osservò il passaggio di figure ammantate di nero e incappucciate. Il vento non agitava i loro mantelli.

Erano accompagnate da carrozze; uno spettacolo insolito nella Cittadina. Le carrozze si muovevano lente, ma dondolavano e sobbalzavano comunque sulla strada sconnessa. Isam non aveva bisogno di guardare all’interno delle tende ai finestrini per sapere delle tredici donne che viaggiavano dentro, in numero uguale ai Myrddraal. Nessun Samma N’Sei tornò sulla strada. Tendevano a evitare processioni come questa. Per ovvi motivi, erano... molto sensibili verso cose del genere.

Le carrozze passarono. Dunque ne avevano preso un altro. Isam aveva presunto che quella pratica sarebbe terminata, una volta ripulita la corruzione.

Prima di voltarsi di nuovo per guardare il pavimento, notò qualcosa di ancora più insolito. Un piccolo volto sporco che osservava dalle ombre di un vicolo dall’altro lato della strada. Occhi sgranati ma una postura furtiva. Il passaggio di Moridin e l’arrivo delle tredici avevano allontanato i Samma N’Sei dalla strada. Dove non c’erano loro, i monelli di strada potevano andare in giro con una certa sicurezza. Forse.

Isam voleva urlare al bambino di andar via. Dirgli di scappare, di arrischiarsi ad attraversare la Macchia. Morire nello stomaco di un Verme era meglio che vivere in questa Cittadina e patire quello che ti faceva. Va’! Fuggi! Muori!

Il momento passò rapido e il monello di strada si ritirò tra le ombre. Isam riusciva a ricordarsi di essere stato quel bambino. Aveva imparato così tante cose allora. Come trovare cibo di cui potevi quasi fidarti e che non avresti vomitato una volta scoperto cosa c’era dentro. Come combattere con i coltelli. Come evitare di essere visto o notato.

E come uccidere un uomo, naturalmente. Chiunque sopravvivesse abbastanza a lungo nella Cittadina imparava quella lezione particolare.

La Prescelta stava ancora guardando la tazza. Isam si rese conto che stava osservando il proprio riflesso. Cosa ci vedeva?

«Mi servirà aiuto» disse infine Isam. «Il Drago Rinato ha delle guardie con sé, e di rado è nel sogno.»

«L’aiuto è stato predisposto» disse lei piano. «Ma il tuo compito è trovarlo , cacciatore. Niente giochetti come hai fatto in precedenza, cercando di attirarlo verso di te. Lews Therin percepirà una trappola del genere. Inoltre non devierà dalla sua causa ora. Resta poco tempo.»

La Prescelta parlava dell’operazione disastrosa nei Fiumi Gemelli. Allora Luc aveva avuto il controllo. Cosa ne sapeva Isam di vere cittadine, di vere persone? Provava quasi un desiderio verso quelle cose, anche se sospettava che in realtà fosse un’emozione di Luc. Isam era solo un cacciatore. Non era interessato alle persone, se non a quale fosse il punto migliore in cui far penetrare una freccia affinché colpisse il cuore.

Quell’operazione ai Fiumi Gemelli... puzzava come una carcassa lasciata a marcire. Ancora non sapeva. Il vero scopo era stato attirare al’Thor, oppure era servita per tenere Isam lontano da eventi importanti? Sapeva che le sue capacità affascinavano i Reietti; era in grado di fare qualcosa di cui loro non erano capaci. Oh, potevano imitare il modo in cui entrava nel sogno, ma avevano bisogno di incanalare, di passaggi, di tempo.

Era stanco di essere una pedina nei loro giochi. Che lo lasciassero cacciare e basta; che smettessero di cambiare la preda ogni settimana.

Ma nessuno diceva cose del genere ai Prescelti. Tenne le sue obiezioni per sé.

Delle ombre offuscavano l’ingresso della locanda e la servitrice scomparve sul retro. Così il posto rimase completamente vuoto tranne per Isam e la Prescelta.

«Puoi alzarti» disse lei.

Isam lo fece in tutta fretta mentre due uomini entravano nella stanza. Alti, muscolosi e velati di rosso. Indossavano abiti color marrone come gli Aiel, ma non portavano lance o armi. Quelle creature uccidevano con armi molto più letali.

Anche se mantenne il volto impassibile, Isam provò un impeto di emozione. Un’infanzia di dolore, fame e morte. Una vita passata a evitare lo sguardo di uomini come quelli. Fece un grosso sforzo per non tremare mentre si dirigevano verso il tavolo, muovendosi con la grazia di predatori nati.

Gli uomini abbassarono i veli e snudarono i denti. Maledizione. Avevano i denti limati.

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