Arkadij Strugackij - Lo scarabeo nel formicaio
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- Название:Lo scarabeo nel formicaio
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- Издательство:Editori Riuniti
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- Год:1988
- Город:Roma
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Anton lo guardò.
— Sai, Dimka, — disse, — credo che non riuscirò mai ad abituarmi alle tue uscite.
— Non pensarci Anton. Non sei stato male neanche tu. Eri solo un po’ troppo indeciso, incerto… Racconterò a Galja che bravo comandante tu sia!
Anton fece una smorfia.
— No, è meglio che non racconti nulla, — fece una pausa. — Davvero si vedeva che non sapevo che pesci prendere?
— Secondo me, sì.
— Cerca di capire, non sapevo come comportarmi. Non mi ero mai trovato davanti ad un rompicapo come questo. Ne ho viste di tutti i colori, ma non mi era mai capitato di finire in una situazione in cui si debba fare qualcosa e non si possa far niente. Volevo migliorare qualcosa, ma capivo che non potevo combinare che guai… Era naturale che fossi sulle spine.
Vadim guardava la borgata.
— Però sei stato lo stesso un bravo comandante. Non ti avevo mai visto in questa parte… Chissà cosa starà facendo Haira? Mi sa che è sdraiato sulle pellicce puzzolenti e pensa alle belle scarpe che ha avuto a portata di mano… Di’, non puoi accelerare?
— No, qui è vietato.
— E tu dai retta ai divieti?… Fai pilotare me.
— Non se ne parla nemmeno, — disse Anton. — Ne ho già combinate abbastanza per perdere la patente di pilota.
— E che cosa hai combinato?
— Lasciamo perdere… Quel che è fatto è fatto. Puoi star certo che il pianeta Saul mi rivedrà non come pilota patentato, ma come mediocre dilettante di medicina.
Vadim si meravigliò. Che cosa avevano mai fatto? Soltanto il possibile ed il necessario. In fin dei conti non erano che in tre. Se fossero stati una ventina, avrebbero disarmato le guardie e l’avrebbero fatta finita. In ogni caso, di che cosa potevano essere rimproverati? Certo, avevano danneggiato il gruppo incaricato di trasportare Haira. Ma chi l’avrebbe potuto prevedere? C’era poco da dire: avevano compiuto un ottimo lavoro di esplorazione. Ne erano usciti con onore. Ora si trattava di rimboccarsi le maniche e di trovare le persone adatte. Per prima cosa, sarebbe stato costituito un comitato. Ovviamente, lui ed Anton ne sarebbero stati membri. Saul si sarebbe lasciato convincere. Non si poteva fare a meno di Saul: la presenza di uno scettico era indispensabile. Inoltre era combattivo e risoluto: i suoi studi sul XX secolo gli avevano modellato il carattere. Avrebbero preso anche Samson. Benché linguacciuto, era pur sempre un ottimo ingegnere. Nelly, da attrice qual era, avrebbe incantato i Sauliani. Un altro membro indispensabile era Grigorij Barabanov. Intanto faceva l’insegnante, e poi conosceva una caterva di altri insegnanti, che sembravano proprio brave persone… Ed il medico? C’era bisogno di un medico… Non poteva essere che in quella caterva di insegnanti non se ne trovasse nessuno specializzato in medicina. E c’era bisogno anche di cacciatori. Sì, erano indispensabili per sterminare quegli uccellacci dal becco ricurvo. Vadim ridacchiò. E poi il comitato avrebbe rivolto un appello a tutta la Terra…
A Vadim l’idea della vastità del progetto dava delle piacevoli vertigini. Sarebbero partite intere squadre di astronavi Delta, stracariche di giovani audaci, di medicinali, di sintetizzatori di cibo. Sarebbero state trasportate tonnellate di embrioni meccanici, che in mezz’ora si sarebbero trasformati in case, bioplani, stazioni meteorologiche ed altro ancora. Lui, Vadim, avrebbe trovato mille, diecimila, centomila nuovi amici!
— La flotta spaziale è in missione, — annunciò Anton.
— Come?
— Ho detto, la flotta spaziale è in missione. Ho fatto i conti: per cominciare, sarebbe necessario mandare una dozzina di astronavi Spettro. Però tutte le cinquantaquattro Spettro esistenti sono concentrate presso la EN-117 per il salto al di là della Macchia Cieca.
— Ne costruiremo delle altre, — decise Vadim.
Anton gli lanciò un’occhiata in tralice.
— Vaneggi, tanto per cambiare… Comunque, Dimka, è difficile che ti lascino tornare su Saul.
— Come sarebbe a dire: che mi lascino?
— Molto semplice. Il pianeta Saul non ha bisogno di ventenni pasticcioni ma di specialisti seri. Credi che la Terra possa privarsi di tanti specialisti?… E questo non è che la metà del problema.
— Forza! — l’incitò Vadim. — Parlami dell’altra metà.
Anton sospirò.
— Da un paio di centinaia di anni c’è un ente che non fa parlare molto di sé. È la Commissione per le Relazioni Extraterrestri. Senza il suo benestare nessun astronauta può pilotare niente. In questa Commissione non ci sono pasticcioni. C’è gente seria ed intelligente, che sa vedere le conseguenze.
Anton non scherzava, ma per ogni evenienza Vadim gli chiese:
— Dici sul serio?
— Altro che! — Anton fece scorrere un dito sui comandi ed aggiunse:
— Magari ti faccio guidare durante l’atterraggio, per consolarti… No, meglio di no. Ne ho abbastanza di cadaveri.
La navicella atterrò delicatamente nella stessa radura da dove era decollata trentanove ore prima. Anton spense il motore e per un po’ rimase seduto, accarezzando il cruscotto.
— Ebbene, — disse, — prima di tutto occupiamoci di Saul.
Vadim, rabbuiato, guardava dritto davanti a sé. Anton accese la ricetrasmittente di bordo e si collegò al servizio di pronto soccorso.
— Ambulatorio numero undici barra undici, — disse una tranquilla voce di donna.
— Abbiamo bisogno di un epidemiologo, — disse Anton. — Un uomo si è ammalato dopo una visita ad un pianeta di tipo terrestre.
Per qualche minuto la radio tacque. Poi una voce stupita chiese:
— Scusi, come ha detto?
— Vede, — spiegò Anton, — il malato non era stato sottoposto al blocco biologico.
— Strano. Va bene… la sua posizione?
— Eccola.
— Grazie, l’ho segnata. Saremo lì fra dieci minuti.
Anton guardò Vadim.
— Non prendertela, superstrutturalista, passerà. Andiamo da Saul.
Vadim si alzò lentamente. Scesero nel quadrato e videro subito che la porta della cabina di Saul era aperta. Saul e la sua borsa erano scomparsi. Lo skorcer giaceva sul tavolino.
— Ma dov’è? — chiese Anton.
Vadim corse verso l’uscita. Il portello era spalancato. Giungeva dall’esterno il frinire dei grilli nella tiepida notte serena.
— Saul! — chiamò Vadim.
Non rispose nessuno. Vadim non sapeva che fare. Camminò un poco sull’erba morbida. Dove poteva essere andato Saul, malato com’era? Chiamò di nuovo:
— Saul!
E di nuovo nessuno rispose. Soffiava un venticello caldo che accarezzava il volto di Vadim.
— Dimka, — chiamò Anton a voce bassa, — vieni qui.
Vadim tornò verso l’oblò illuminato. Anton gli tese un foglio di carta.
— Saul ha lasciato un biglietto, — disse. — L’aveva messo sotto lo skorcer .
Era un pezzo di grossolana carta grigia, coperta di ditate sporche. Vadim lesse:
«Cari ragazzi! Vi chiedo scusa per avervi ingannato. Non sono uno storico. Sono solo un disertore. Sono scappato fra voi perché volevo salvarmi. Voi non capireste. Mi era rimasto soltanto un caricatore e mi sentivo giù di morale. Ma ora me ne vergogno e torno indietro. Ma voi ritornate su Saul e fate il vostro dovere, io farò il mio. Ho ancora un caricatore intero. Vado. Addio. Il vostro S. Repnin».
— Senti, ma è proprio malato, — disse Vadim, sconcertato. — Corriamo a cercarlo!
— Leggi dall’altra parte, — disse Anton.
Vadim voltò il foglio. A grosse lettere storte c’era scritto:
Al Signor Raportführer Oberscharführer delle SS Wirth
da parte del detenuto n. 658617 capoblocco del n. 6
Rapporto
Riferisco che, a quanto risulta dalle osservazioni da me raccolte, il detenuto N. 819360 non è il criminale comune noto come Saul, ma un ex ufficiale delle forze corazzate dell’Armata Rossa, di nome Savel Petrovič Repnin, raccolto dalle forze dell’esercito tedesco presso Ržev in stato di incoscienza. Mi risulta che stia preparando un’evasione e che faccia parte del gruppo di cui ho parlato nel mio rapporto del mese di luglio del corrente anno 1943. Riferisco inoltre che questo gruppo prepara…
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