Arkadij Strugackij - Lo scarabeo nel formicaio

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Lo scarabeo nel formicaio: краткое содержание, описание и аннотация

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Saul borbottò qualcosa di incomprensibile.

— Come andranno le cose in concreto… — Anton si strinse nelle spalle. — Se ci sarà bisogno di sparare, impareremo di nuovo come si faceva una volta, e spareremo. Secondo me, però, se ne potrà fare a meno. Potremmo invitare, ad esempio, quelli che desiderano strane cose sulla Terra. Cominceremo da loro. Probabilmente, saranno ben contenti di andarsene da qui…

Saul alzò in fretta gli occhi e li riabbassò subito.

— No, — disse. — Questo no. Un vero uomo non vorrà andarsene. Quanto agli altri… — alzò di nuovo gli occhi e guardò in faccia Anton. — La Terra non ha bisogno di loro. A chi serve un disertore?

Chissà perché tacquero tutti. E chissà perché Anton si accorse di provare un’inesplicabile compassione e paura per Saul. Senza dubbio Saul aveva qualcosa che lo tormentava. Ma doveva trattarsi di qualcosa al di fuori dell’ordinario, di insolito, come era lui stesso, come erano le sue parole e il suo modo di fare.

Vadim esclamò con finta vivacità:

— Ehi, ma ci siamo dimenticati di una cosa! Perché quegli oppressi mi sono venuti addosso con la spada? Bisogna capire il perché!

Corse accanto ad Haira, cui già si piegavano le ginocchia per la stanchezza e per i cattivi presentimenti e gli applicò di nuovo sulle tempie i cristalli mnemonici.

— Di’ un po’, pitecantropo, — disse. — Perché i condannati che ti portavano a spasso ci si sono gettati addosso? Eri il loro beniamino, per caso?

Haira rispose:

— Per ordine della Grande Rupe Potente, della Battaglia Scintillante, di colui che posa un piede nel cielo e che vivrà quanto le macchine, i condannati vengono rinchiusi qui fino a quando le macchine non saranno scomparse…

— Cioè per sempre, — commentò Vadim.

— … ma se uno dei condannati riesce a far muovere una macchina, viene graziato e torna di là dai monti. Quelli che mi portavano, tornavano a casa. Erano già quasi uomini. Al posto di blocco avrei dovuto lasciarli liberi e proseguire a dorso d’uccello. Mi hanno difeso perché volevano vivere. Ma non ci sono riusciti e perciò verranno ammazzati. — Sbadigliò nervosamente e aggiunse: — Se il sole si è già levato, allora li hanno già giustiziati.

Anton balzò in piedi, facendo rovesciare la poltrona.

— O Signore! — disse Saul, e fece cadere la pipa.

VII

Il portatore di lancia del clan dei colli fu messo a sedere fra Saul e Anton. Era di nuovo avvolto nella sua pelliccia, che ora odorava di disinfettante, e sedeva immobile, limitandosi a storcere inquietamente il naso: si stava annusando. Erano le cinque del mattino, stava spuntando una smorta alba gelata. Faceva molto freddo.

Vadim guidava in silenzio il bioplano, mantenendosi sulla massima velocità. Pensava solo a una cosa: «Faremo in tempo o no?». Almeno quei poveracci avessero rinviato di un poco il loro rientro al villaggio! Ma si rendeva conto che non avevano dove andare. La loro unica possibilità di salvezza era cercare di commuovere il capo dei guardiani con la descrizione della loro eroica difesa del suo messaggero. Ma quel bestione, pensò amaramente Vadim, non si sarebbe commosso. Se il bioplano non fosse arrivato in tempo, li avrebbe ammazzati tutti. Immaginò se stesso nell’atto di consegnare Haira al grasso portatore di ottima spada, per poi dirgli: Kairame sorinata-mu karo-sika! , ecco il tuo uomo! — ed ordinare con voce stridula: Tatimata-ne korisa! , non osare di uccidere questi liberi! Non faceva che ripetersi in mente queste frasi, tanto che alla fine avevano perso per lui ogni significato. Oltre tutto non sarebbe stato così facile. Forse avrebbe dovuto avere una lunga conversazione. Ma difficilmente il portatore di spada sarebbe stato d’accordo a farsi applicare alla lurida testa di comandante i cristalli mnemonici. Vadim lanciò un’occhiata di sbieco alla scatola lucida dell’analizzatore. L’avrebbe fatto lavorare. Non per nulla si era sobbarcato il trasporto di quel peso di un quarto di quintale dall’astronave al bioplano.

Anton chiese:

— E cosa diceva il messaggio?

Vadim estrasse di tasca un foglietto spiegazzato e glielo tese, senza voltarsi.

— Leggi ciò che ho scritto fra le righe con la matita. È la traduzione fatta dall’analizzatore e riveduta da me.

Anton prese il foglietto e cominciò a leggere sottovoce:

«Alla Ruota Radiosa dalla pelliccia d’oro, al portatore di terribile dardo, al primo servo ai piedi del trono della Grande Rupe Potente, della Battaglia Scintillante, di colui che posa un piede nel cielo e che vivrà quanto le macchine, ai tuoi piedi getta questo rapporto l’umilissimo guardiano del clan dei turbini, portatore di ottima spada.

1) la grande macchina “soldato-cupola” è entrata in movimento quando sono stati toccati il quinto ed il quarantasettesimo foro. Il movimento è stato rapido, rettilineo ed incontenibile.

2) su una macchina mai vista sono giunti tre uomini, che non sanno parlare, non portano armi, ignorano i regolamenti e desiderano strane cose. Non conoscendo la loro natura, resto in attesa di direttive.

3) Il carbone sta finendo, ma per incapacità ed inesperienza non siamo in grado di applicare la tua clemente direttiva riguardo all’utilizzazione dei cadaveri per il riscaldamento.

Allegati:

a) lo schema della grande macchina “soldato-cupola”;

b) campioni della stoffa incollata dagli sconosciuti sopra le ferite dei criminali».

— Sì, non c’è niente di nuovo, — concluse Anton.

— Qui siamo in piena età feudale, — disse Saul. — Non perda tempo a far cerimonie, se non si vuole poi ritrovare con una picca nella pancia.

Ma chi ha voglia di stare a far cerimonie, pensava Vadim. E certo non per via delle picche. Il prigioniero all’improvviso si agitò sul sedile e implorò con rozza voce di basso:

Ringa

— Sentu ! — sibilò lentamente Vadim.

Il prigioniero restò impietrito.

— Vuole ancora della marmellata, — disse Vadim.

— Si rassegnerà, — disse Saul. — «Mangiare e bere, spaccare il muso…»

Non fa niente, — disse Vadim. — Vedrete che finirà anche lui per desiderare strane cose.

— Vadim, passami un paio di cristalli, — chiese Anton. — Voglio parlare con lui.

— Prendimeli dalla tasca destra, — rispose Vadim, senza voltarsi.

— Ascolta, Haira, — disse Anton. — Se ti riportiamo al villaggio, il tuo capo lascerà liberi quelli che ti hanno difeso?

— Sì, — rispose in fretta Haira. — Ma voi mi riportate al villaggio?

— Certo che ti riportiamo, — disse Anton. — Ti aspettavi che ti ammazzassimo?

Vadim gettò un’occhiata indietro. Haira aveva ripreso la sua aria altezzosa.

— Il capo è severo, — disse. — Forse non li lascerà liberi e li rimanderà a lavorare nella conca. Però voi potete sperare di restare in vita. Può darsi che vi lasci addirittura liberi di andarvene, se gli darete dei doni preziosi. Ne avete?

— Ne abbiamo, — rispose distrattamente Anton. — Abbiamo tutto.

— Che cosa sta dicendo? — brontolò Saul. — Vadim, dove sono i miei cristalli? Ah, eccoli…

— Forse ci toccherà veramente riscattarli, — proferì Anton sovrappensiero. — Non scateneremo certo una zuffa… Non ne ho nessuna voglia.

Haira si mise di nuovo a parlare, e la sua voce era ferma e stridula.

— E a me darete questo giubbotto, — indicò la casacca di Saul.

— E questa cassa, — mostrò l’analizzatore. — E tutta la marmellata. Tanto vi leveranno tutto, prima di mandarvi nelle baracche. Avete fatto bene a decidere di non scatenare una zuffa. Le nostre lance sono aguzze e dentellate, e quando vengono ritirate dopo il colpo, si tirano dietro tutte le interiora del nemico. E prenderò anche queste scarpe. E anche queste. Perché tutto ciò che si trova fra la terra e il cielo appartiene alla Grande Rupe Potente. E prenderò anche questo.

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