Arkadij Strugackij - Lo scarabeo nel formicaio
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- Название:Lo scarabeo nel formicaio
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- Издательство:Editori Riuniti
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- Год:1988
- Город:Roma
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— Credo che basti, Saul! — disse Anton.
Poteva fare a meno di dirlo, pensò Vadim. Saul smise di sparare — aveva finito i proiettili — e si era ripiegato su se stesso con la testa fra le braccia. La canna rovente dello skorcer era puntata verso il cielo. Vadim guardò la testa e le mani di Saul, coperte di fuliggine, e sentì la sua enorme stanchezza. Non capisco, pensò. Non è servito a niente. Povero Saul. Povero Saul.
— È la storia, — disse Saul con voce rauca, senza sollevare la testa. — Non si può fermare niente.
Si raddrizzò e guardò i ragazzi.
— Dovete scusarmi, — disse. — Il cuore non ha retto. Non ne ho potuto fare a meno. Dovevo fare qualcosa.
Restarono a guardare a lungo la strada. Le macchine si susseguivano, una fila dopo l’altra, spingendo via i rottami, e facendo turbinare la cenere. Ben presto tutto tornò come prima, a parte una macchia purpurea, che si raffreddava lentamente sull’autostrada, e la neve sporca tutt’intorno, e a lungo non si dissolse la cortina di fumo, oltre la quale tremolava, rosso e deformato, il disco della stella nana EN-7031.
Saul chiuse gli occhi e disse qualcosa di incomprensibile:
— Sono come i forni… Se distruggiamo solo i forni, ne verranno costruiti degli altri, e saremo al punto di prima.
Non lontano risuonarono grida lamentose, odiosamente familiari. Vadim volse il capo controvoglia. Sul sentiero che finiva nell’autostrada c’era una folla di uomini ischeletriti, vestiti di sacchi. Intorno a loro si agitavano indaffarati i portatori di picche, avvolti nelle pellicce. Che cosa cercano qui? si chiese Vadim con apatia. I guardiani fecero uscire dalla folla, spingendolo con i bastoni delle picche, uno di quegli infelici. Tremando e guardandosi alle spalle, questi oltrepassò la neve annerita e raggiunse l’autostrada. Una gigantesca torre lucente avanzò senza fretta verso il condannato. Egli guardò terrorizzato i guardiani, che gli urlarono qualcosa a proposito delle braccia. Il condannato chiuse gli occhi e spalancò le braccia. La macchina lo schiacciò e passò oltre. Saul si alzò. Lo skorcer cadde sul pavimento con un tonfo sordo.
— Voglio spaccargli il muso, — disse Saul. Le dita gli si piegavano e tornavano a distendersi.
Anton lo trattenne per la casacca.
— Parola d’onore, non serve.
— Lo so, — Saul si rimise a sedere. — Credete che non lo sappia? Ma perché non posso fare niente? Perché non sono riuscito a fare niente né qui né là?
I guardiani spinsero sulla strada un altro condannato. Il primo fu lasciato steso dov’era, piatto come un sacco vuoto. Il secondo spalancò le braccia e andò a mettersi davanti ad una piattaforma rossa, sormontata da una scatola cubica. La piattaforma rallentò e si arrestò a due passi da lui. I guardiani gridarono. Il condannato sollevò le braccia e cominciò a retrocedere verso il sentiero. La macchina rossa lo seguì come incatenata. Raggiunto il sentiero, procedette dietro di lui in direzione della conca, sobbalzando pesantemente sulle asperità. Intanto sull’autostrada sfilavano senza interruzione altre macchine.
— Ho fatto una sciocchezza, — disse amaramente Saul. — Sgridatemi. Comunque qui si dovrà cominciare con qualcosa del genere. So che tornerete qui. Ebbene, ricordatevi che bisogna sempre cominciare con ciò che semina il dubbio… Ma perché non mi rimproverate?
Vadim si limitò a sospirare, rabbrividendo. Anton rispose con dolcezza:
— Perché mai, Saul? Lei non ha fatto nulla di male. Ha fatto soltanto strane cose.
VIII
— Dimka, — disse Anton, — va’ a vedere come sta Saul.
Vadim si alzò e uscì dalla sala dei comandi. Scese nel quadrato ed andò a dare un’occhiata nella cabina di Saul. Era piena di fumo. Saul giaceva sul divano, nella stessa posizione in cui l’avevano messo dopo il salto subspaziale. Vadim gli si sedette accanto e gli toccò la fronte. Scottava. Saul borbottava confusamente:
— Gallette… abbiamo bisogno di gallette… Ma perché mi portate le forbici? Sono da sarto… non sono mica forbicine da manicure… Io vi chiedo le gallette… e voi mi portate le forbici… — sussultò all’improvviso e riprese con voce stridula: — Zum befail , signor capoblocco… Nossignore, stiamo ammazzando i pidocchi.
Vadim gli accarezzò una mano inerte. Stringeva il cuore guardare Saul. Addolora sempre vedere in tali condizioni un uomo forte e sicuro di sé. Saul aprì lentamente gli occhi.
— Ah… — disse. — Vadim… Dimoška… Non devi credere chissà che cosa… Gli interrogatori non sono mai una cosa piacevole… Non devi pensar male di me… Tornerò… È stato semplicemente un momento di debolezza… Ma adesso mi sono un po’ riposato e tornerò… Sbarrò gli occhi. Vadim lo guardava con compassione.
— Stiamo bruciando di nuovo… — borbottò Saul. — Bruciamo come legna. Stepanov sta bruciando! Presto, nel bosco, nel bosco!
Vadim sospirò e si alzò. Si guardò intorno. Nella cabina c’era un terribile disordine. La strana borsa di Saul era caduta sui pavimento, aprendosi. Il contenuto si era sparpagliato: strane cartelle di cartone grigio, piene di fogli, decorate con la raffigurazione stilizzata di un uccello con le ali spalancate. Una si era aperta ed i fogli si erano sparsi per tutta la cabina. Anche sul tavolino c’erano dei fogli. Vadim voleva mettere un po’ d’ordine, ma si accorse che Saul si era addormentato. Allora uscì in punta di piedi e chiuse piano dietro di sé la porta.
Anton era seduto davanti al quadro dei comandi con le dita posate sui contatti, e guardava pensieroso lo schermo visore. Sullo schermo passavano lentamente cime di pini, lontane case illuminate, e le luci rosse degli impianti.
— Sta male, — disse Vadim. — Delira. Però adesso si è addormentato.
Si sedette sul bracciolo di una poltrona e si mise a guardare una parete coperta di disegni raffiguranti figure umane ed oggetti.
— Avrei potuto fare a meno di sporcare la parete, — disse. — Avrei potuto chiedere un po’ di carta a Saul. A quanto pare la sua borsa ne è piena. A proposito, Haira si mise a singhiozzare di paura, quando cominciai a fare questi disegni…
— Sai, Dimka, — disse Anton sovrappensiero. — Saul è senz’altro un tipo strano, ma non capisco come abbia fatto ad arrivare alla sua età senza mai farsi sottoporre al blocco biologico… — scosse il capo.
— Quale malattia credi che abbia?
— Ti ho già detto che non lo so. Haira gli avrà attaccato qualche infezione.
Vadim si immaginò quale tipo di infezione Haira potesse attaccare, fece una smorfia e scivolò nella poltrona.
— Saul mi piace, — dichiarò. — Ha i suoi strampalati punti di vista e li sostiene. Ed è tanto misterioso che mi entusiasma. Non ho mai sentito un delirio tanto incomprensibile.
— Ma chi hai mai sentito delirare?
— Che c’entra! Ho letto qualcosa in proposito. Fra l’altro, Saul ha detto che la sua fuga dalla Terra è stata il frutto di un momento di debolezza e che adesso, dopo essersi riposato, tornerà indietro. Mi fa piacere per lui, Toška.
— Te l’ha detto mentre delirava?
— No, per un po’ è tornato in sé. — Vadim guardò lo schermo. L’astronave stava sorvolando la borgata Chibiny. — Quanto tempo ti sembra sia passato da quando siamo partiti?
— Mille anni, — disse Anton.
Vadim ridacchiò.
— Non sono state vacanze monotone. Ne abbiamo viste di belle, non è vero? — sorridendo beatamente si mise a ricordare gli episodi eroici che avrebbe raccontato l’indomani a Nelly e Samson. Avrebbe battuto Samson senza dover esibire crani: sarebbe bastata la cicatrice.
— Peccato, — disse a voce alta.
— Che cosa?
— Peccato che mi abbia colpito al fianco. Una cicatrice in faccia, dalla tempia sinistra al mento, sarebbe stata un’altra cosa. Te la figuri?
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