Non aveva detto nulla a Esaù. Aveva completamente taciuto l’avvertimento, la voce, le conclusioni che aveva raggiunto. Il suo affetto per Esaù era molto diminuito. Non si fidava completamente di lui. Pensava che ci sarebbe stato tutto il tempo per parlarne in seguito, e nel frattempo tutti erano più al sicuro, compreso Esaù, se Len avesse tenuto la bocca chiusa, e non avesse rivelato ad altri il suo segreto.
Len rimase nell’ambiente dei mercanti, senza fare domande, senza dire niente, tenendosi semplicemente pronto, là, con le orecchie tese e gli occhi aperti. Ma non vide nessuno che lui conoscesse, e nessuna voce segreta gli parlò furtivamente dall’ombra, dopo quella sera. Se si trattava di Hostetter, il mercante, questi non si faceva vedere. Si teneva nascosto, e bene, perché non c’era alcuna traccia della sua presenza a Refuge.
Ed era molto, molto difficile che qualcuno come Hostetter potesse rimanere nascosto a Refuge. Len decise che, se si trattava veramente di Hostetter, egli doveva trovarsi sull’altra riva del fiume, a Shadwell. E immediatamente Len provò il desiderio fortissimo di andare là. Forse, lontano dalle persone che lo conoscevano troppo bene, il mercante avrebbe tentato di stabilire un nuovo contatto.
Non aveva nessuna scusa per andare a Shadwell, ma non impiegò molto tempo a trovarne una. Una sera, mentre aiutava Dulinsky a chiudere l’ufficio, disse:
«Ho pensato che non sarebbe una cattiva idea andare a Shadwell, a sentire qual è l’opinione corrente su quello che state facendo. Dopotutto, se riuscite nel vostro intento, toglierete loro il pane di bocca. Potrei andare io a controllare.»
«Lo so benissimo, quello che pensano,» disse Dulinsky. Chiuse violentemente un cassetto, e guardò dalla finestra la nera intelaiatura della costruzione che sorgeva sullo sfondo azzurro del cielo. Dopo un momento, aggiunse, «Oggi ho visto il giudice Taylor.»
Len aspettò. In quei giorni, era sempre irascibile e nervoso. Gli sembrò che trascorressero delle ore, prima che Dulinsky decidesse di proseguire la frase.
«Mi ha detto che, se non mi fermerò nella costruzione, lui e le autorità della comunità mi arresteranno, insieme a tutti coloro che lavorano con me.»
«Pensate che lo faranno?»
«Gli ho ricordato, con una certa forza, che non ho violato nessuna legge locale. Il Trentesimo Emendamento è una legge federale, un campo nel quale lui non ha alcuna giurisdizione.»
«Che cosa ha risposto?»
Dulinsky si strinse nelle spalle:
«Quello che mi aspettavo. Se io non obbedissi all’ingiunzione, lui seguirebbe la solita prassi. Notificherebbe subito la cosa alla corte federale nel Maryland, chiedendo di essere investito dell’autorità necessaria, o, in via subordinata, chiedendo l’invio di un ufficiale federale qui a Refuge.»
«Oh, be’,» disse Len, «Per questo ci vorrà del tempo. E l’opinione della gente…»
«Sì,» disse Dulinsky. «L’opinione della gente è la mia unica speranza. E Taylor lo sa. Gli anziani lo sanno. Il vecchio Shadwell lo sa. Questa faccenda non aspetterà l’arrivo di qualche giudice federale del Maryland. Sarà risolta prima.»
«Otterrete la maggioranza all’adunanza di domani sera,» disse Len, con fiducia. «Refuge ce l’ha con Shadwell, che le toglie buona parte degli affari. La gente è in gran parte con voi.»
Dulinsky borbottò:
«Forse non è un’idea malvagia, la tua… quella di andare a Shadwell. L’adunanza è importante. A seconda del suo esito, avrò successo oppure cadrò, e se Shadwell si prepara a venire qui, per procurarmi dei guai, voglio saperlo. Ti darò qualche incarico da sbrigare, ufficialmente, in modo da non dare troppo l’impressione di essere andato là a spiare. Non fare domande, limitati a vedere quello che puoi raccogliere. Oh, e non portare con te Esaù.»
Len non ne aveva avuto alcuna intenzione, ma domandò:
«Perché no?»
«Tu hai il fegato e l’intelligenza sufficienti per tenerti fuori dai guai. Lui no, sfortunatamente. Sai dove passa la notte, di solito?»
«Be’,» disse Len, sorpreso. «Qui, suppongo. Perché?»
«Forse. Lo spero. Prendi il traghetto del mattino, Len, e torna nel primo pomeriggio. Voglio che tu sia qui per l’adunanza. Ho bisogno di tutte le voci che possano gridare Viva Mike!»
«Va bene,» disse Len. «Buonanotte, signor Dulinsky.»
Camminò sul molo, lentamente, passando accanto al nuovo magazzino. Di là veniva un profumo di legno nuovo, e la massa era robusta e piacevole alla vista, dava l’impressione di qualcosa di concreto, di solido. Len pensava che costruire era una cosa molto buona. Per il momento, era d’accordo con Dulinsky. Condivideva le sue idee, a quel riguardo, con tutta la forza di cui era capace.
Una voce lo chiamò, dall’ombra di una pila di travi, intimandogli di fermarsi, e lui disse:
«Salve, Harry, niente paura… sono io.»
Proseguì per la sua strada. Ora gli uomini di guardia erano diventati quattro. Erano armati di robusti bastoni di legno, e dei fuochi ardevano per tutta la notte, illuminando il perimetro della costruzione. Capiva bene quello che provava Mike Dulinsky: l’uomo veniva spesso là, come se fosse stato troppo inquieto per dormire.
Neppure Len riuscì a dormire bene, quella notte. Rimase alzato, chiacchierando del più e del meno, dopo cena, e poi andò a letto, ma pensava al giorno dopo, pensava che al mattino avrebbe percorso Shadwell per raggiungere il recinto dei mercanti, e vi avrebbe trovato Hostetter, Sì, sarebbe andata proprio così. Lui avrebbe avvicinato Hostetter, con calma, e gli avrebbe detto qualcosa, qualcosa di non compromettente, ma che l’altro avrebbe capito. E Hostetter avrebbe annuito, dicendo, «Va bene, va bene, è inutile continuare a ostacolarti. Ti porterò dove vuoi andare. Hai vinto, Len.» Quella scena continuava a ripetersi nella sua mente, e lui sapeva bene che si trattava di una di quelle cose che si sognavano quando si era bambini, e ancora non si sapeva nulla sulla realtà. Poi cominciò a pensare a Dulinsky, che si era chiesto dove avesse passato tutte le notti Esaù, e allora il sonno scomparve. Anche Len desiderava una risposta a quella domanda.
Pensò di saperla, quella risposta. Ed era sorprendente notare quale forza avesse quel pensiero. Lui si era detto e ripetuto che Amity non aveva importanza. E allora, perché era così turbato?
Si alzò, allora, e uscì nella notte calda. Il recinto dei mercanti era buio e silenzioso, un silenzio rotto soltanto da qualche tonfo che giungeva dalle stalle, il movimento pesante e sonnolento dei grandi cavalli. Attraversò il recinto, e risalì le strade sonnolente del paese, prendendo deliberatamente la strada più lunga, per non passare accanto al nuovo magazzino. Non aveva alcun desiderio di fermarsi a scambiare qualche parola con le guardie.
La strada più lunga lo portava a passare accanto alla casa del giudice Taylor. Là non si muoveva nulla, e nessuna luce trapelava dalle finestre. Individuò la finestra della camera di Amity, e poi provò un senso di vergogna, e si allontanò, dirigendosi ai moli.
La porta dell’ufficio di Dulinsky era chiusa, ma ora anche Esaù aveva la chiave, e questo non significava nulla. Len esitò. L’effluvio umido del fiume era forte nell’aria, un presagio di pioggia, e il cielo era rannuvolato. I fuochi dei guardiani ardevano, più lontano, lungo l’argine. C’era molto silenzio, e, stranamente, l’ufficio aveva l’aria di un edificio vuoto. Len aprì la porta, usando la sua chiave, ed entrò.
Esaù non c’era.
Len rimase immobile, per diversi secondi, dapprima pervaso da una collera cupa e sorda, poi calmandosi, gradualmente, provando un senso di disgusto e di disprezzo per la stupidità di Esaù. In quanto ad Amity, se era quello che lei voleva, poteva accomodarsi ed essere felice. Lui non era in collera. Non molto, almeno.
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