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Hal Clement: Strisciava sulla sabbia

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Hal Clement Strisciava sulla sabbia

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Sapeva che l’ospite dormiva, ma non per questo fu meno cauto. Non volendo disturbare in nessun modo il cuore che sentiva battere appena sopra il diaframma, rimase dov’era; riuscì però a trovare senza difficoltà, lì nell’addome, una grossa arteria facile da penetrare quanto ogni altra parte dell’organismo umano esplorato fino a quel momento. Con soddisfazione scoprì di poter assorbire dai globuli rossi ossigeno sufficiente alle sue necessità senza compromettere l’afflusso nell’arteria. Controllò scrupolosamente il particolare. Il suo comportamento era adesso del tutto diverso da quello che aveva tenuto mentre era nel corpo del pescecane, perché adesso lui considerava il ragazzo quale compagno permanente per il periodo in cui sarebbe rimasto sulla Terra, e…

Non fare niente che possa danneggiare il tuo ospite.

3

Non fare niente che possa danneggiare il tuo ospite! Per gli appartenenti alla razza del Cacciatore questa legge era sacra, e quasi nessuno sentiva mai nemmeno il desiderio di infrangerla. Infatti gli individui di quella razza vivevano in termini di fraterna amicizia con coloro che li ospitavano nel proprio corpo. I pochi che facevano eccezione venivano guardati con orrore. Era uno di questi individui abbietti che il Cacciatore aveva inseguito sulla Terra. E anche adesso era importante che lui lo trovasse, se non altro per proteggere la razza di quel pianeta dagli abusi di quell’essere irresponsabile.

Non fare niente che possa nuocere al tuo ospite! All’arrivo del Cacciatore i globuli bianchi contenuti nel sangue del ragazzo si erano messi in agitazione. Lui aveva evitato accuratamente il diretto contatto con loro, ma anche nei tessuti connettivi ce n’erano a sufficienza per creargli fastidi. Le cellule del suo corpo non erano immuni dal loro potere assorbente e solo un’estrema attenzione gli aveva evitato seri danni. Ma non poteva continuare così. Per prima cosa, presto avrebbe dovuto dedicare ad altro la sua attenzione, e secondariamente, un giochetto di evasione, o di contrattacco, sarebbe sfociato in un aumento di globuli bianchi con conseguenze disastrose per il suo ospite. Ma in ogni caso bisognava calmare i leucociti. La sua razza aveva elaborato un sistema per risolvere il problema, ma ogni caso andava studiato a fondo, specialmente quando si trattava di creature non familiari. Dopo una serie di esperimenti effettuati alla maggior velocità possibile, il Cacciatore determinò la natura della sostanza chimica che favoriva l’invasione dei globuli bianchi e, scelta di conseguenza un’altra sostanza chimica presente nel sangue dell’ospite, vi espose a una a una le proprie cellule.

Il provvedimento si rivelò efficace: i leucociti smisero di dargli fastidio, e lui poté servirsi delle grandi arterie per procedere nell’esplorazione del corpo che lo ospitava.

L’esplorazione continuò cauta per ore e ore, e anche quando il ragazzo si svegliò e riprese la sua frenetica attività, il Cacciatore proseguì il suo lavorio senza curarsi di guardare all’esterno. Aveva un problema importante da risolvere: distribuirsi per tutto il corpo del ragazzo senza danneggiarlo minimamente, e trovare una adeguata fonte di cibo senza compromettere la normalità dell’ospite se non per un lieve aumento di appetito. Dovendosi dedicare a questo problema non si poteva occupare d’altro. Il fatto di essersi difeso contemporaneamente da migliaia di leucociti poteva far pensare che lui riuscisse a occuparsi di parecchie cose nello stesso tempo, ma non era così. La sua azione contro i leucociti era paragonabile all’impresa di un uomo che parla mentre sale le scale.

A poco a poco il Cacciatore imparò tutto sul corpo dell’ospite: dall’uso di ogni muscolo, alla funzione di ogni ghiandola, all’utilità di ogni organo. Fu solo dopo settantadue ore dalla sua penetrazione nel corpo di Robert che il Cacciatore si sentì sufficientemente sicuro della sua posizione da dedicarsi a quello che succedeva all’esterno.

E allora riempì con la propria sostanza tutti gli spazi fra le cellule della retina del ragazzo, come aveva già fatto con lo squalo. Alla fine gli occhi di Robert servirono molto di più al Cacciatore che al suo proprietario, in quanto lo straniero vedeva con tutta la retina e non solo quello che il ragazzo guardava direttamente. Poi si occupò dell’udito, e a operazione ultimata, vedendo e sentendo perfettamente, fu pronto a iniziare il sondaggio del pianeta sul quale il destino aveva fatto naufragare lui e la sua preda. Non c’erano più motivi di ritardare le ricerche e la distruzione del criminale che adesso si aggirava libero su quel mondo. Cominciò a osservare e ad ascoltare.

Il punto di vista del Cacciatore era strano, per un poliziotto, e aveva piuttosto le caratteristiche del modo di vedere di un astronauta il quale considera un pianeta solo come un piccolo oggetto vagante nello spazio, e ritiene concluse le sue ricerche con la scoperta che l’oggetto è un mondo.

Ma bastò la prima occhiata all’esterno per dare un rude colpo alla sua teoria. La scena che gli si presentò alle retine evocava l’interno cilindrico della sua astronave. Nel cilindro c’erano diverse file di sedili, per lo più occupati da bipedi umani. Di fianco all’osservatore si apriva una finestra, dalla quale Bob stava guardando. Il primo sospetto del Cacciatore venne subito confermato da quello che si vedeva dalla finestra. Si trovavano a bordo di un aereo, e viaggiavano a grande altezza e a considerevole velocità, in una direzione che lo straniero non poté giudicare. Cominciare le ricerche del suo criminale? Prima doveva stabilire il continente giusto!

Il volo durò molte ore, e probabilmente era già iniziato da parecchio. Il Cacciatore si diede da fare per inserire nella propria memoria le caratteristiche delle terre sulle quali l’aereo passava, per poter identificare più tardi il percorso dell’apparecchio. Ma lui stesso non credeva molto in questa possibilità. Forse sarebbe stato più conveniente stabilire il tempo, più che la posizione, in modo da calcolare dove si trovava il suo ospite nel momento in cui era penetrato nel suo corpo.

Comunque continuò a guardare il paesaggio. Era un bel pianeta. Bellissimo. Montagne e pianure, fiumi e laghi, foreste e praterie che si susseguivano in un’atmosfera cristallina o velata da nubi. Anche la macchina sulla quale stavano viaggiando meritava la sua attenzione. Dal finestrino non ne poteva vedere granché, solo un pezzo di ala metallica davanti alla quale l’aria si muoveva rapidissima in moto rotatorio. Ritenendo, secondo la logica, che l’aereo fosse simmetrico, il Cacciatore pensò che i motori che facevano ruotare l’aria dovevano essere quattro. Ma non poté definirne la potenza perché probabilmente la cabina nella quale viaggiavano era antiacustica. Comunque la macchina dimostrava che la razza dei bipedi aveva raggiunto un alto grado di progresso meccanico. Questa considerazione gli fece venire in mente che forse valeva la pena di entrare in contatto diretto col suo ospite per richiederne la collaborazione.

Passò parecchio tempo prima che l’aereo cominciasse a diminuire di quota. Anche quest’ultima parte del viaggio avvenne senza scosse come il resto, e il Cacciatore ne dedusse che: o i piloti bipedi erano bravissimi, o i loro mezzi meccanici erano addirittura portentosi. Quando l’aereo, sbucato da un fitto banco di nubi, compì un ampio giro prima di effettuare l’atterraggio vero e proprio, il Cacciatore vide una immensa città costruita attorno a un porto fitto di navi.

E finalmente Robert sbarcò. Nell’avviarsi alla vasta costruzione che sorgeva da un lato della pista, Robert si voltò a guardare l’aereo, e il Cacciatore poté vedere la macchina in tutta la sua potenza. Osservandola attentamente ne arguì che doveva essere in grado di compiere almeno mezzo giro del pianeta senza scendere a rifornirsi di carburante. Compiute le formalità di sbarco Robert salì su un autobus per un altro pezzetto di viaggio, senza però uscire dalla città, poi scese, consegnò ancora le sue valigie, camminò per le strade, entrò in un cinema dove il Cacciatore si divertì a seguire il film, poi tornò alla stazione degli autobus, riprese le valigie e salì su un altro pullman che li portò fuori dalla città e dopo alcune ore li depositò ai piedi di una collina, in un punto da dove partiva un bel viale in salita, fiancheggiato da aiuole e alberi. Alla fine del viale c’era una costruzione. Lo straniero sperò ardentemente che almeno per quel giorno il viaggio fosse finito. Per una volta tanto le sue speranze non andarono deluse: quell’edificio era la scuola di Robert Kinnaird. Il ragazzo si presentò in direzione, si fece assegnare una stanza, andò a depositarvi le valigie, le svuotò, poi corse a salutare tutti i vecchi compagni. Il Cacciatore continuò a osservare e ascoltare, cercando di capire il significato delle parole che sentiva pronunciare, ma non gli fu facile perché per lo più i discorsi vertevano sulle vacanze e mancavano di riferimenti visibili che servissero da contesto. Comunque riuscì a imparare alcuni nomi degli amici del suo ospite. Dopo un paio d’ore d’ascolto attento, pensò che avrebbe fatto bene a risolvere il problema del linguaggio, dato che per il momento non poteva occuparsi della sua missione ufficiale. Se fosse riuscito a capire la lingua parlata dai bipedi, avrebbe potuto rendersi conto di quando il ragazzo sarebbe tornato nel posto in cui era avvenuto il loro incontro. Fino a quel giorno il Cacciatore non poteva far niente per localizzare ed eliminare il criminale ricercato.

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