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Hal Clement: Strisciava sulla sabbia

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Hal Clement Strisciava sulla sabbia

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Dopo aver stabilito che in quella parte del pianeta era notte, e deciso in conseguenza di rimandare ogni azione esplorativa a quando ci fosse stata più luce, il Cacciatore tornò a rivolgere l’attenzione al relitto dell’astronave. Non si era certo aspettato di fare scoperte incoraggianti, ma la reale entità del disastro, totale, irreparabile, lo mise a disagio. Le parti più solide, i grossi blocchi di metallo della macchina si erano deformati sotto la violenza dell’urto. Le parti più delicate, come tubature e strumenti, erano state polverizzate e spazzate via dall’acqua. Nessuna creatura vivente impastoiata da una forma ben definita e dotata di parti solide nel proprio corpo sarebbe scampata a un simile incidente, qualunque protezione avesse avuto. Il pensiero gli fu di un certo conforto. Aveva fatto il possibile per salvare il perit e non aveva niente da rimproverarsi. Una volta appurato che nell’astronave non era rimasto niente di utilizzabile, il Cacciatore si disse che non avrebbe potuto intraprendere niente di molto utile finché non avesse avuto a disposizione una maggiore quantità di ossigeno, il che significava raggiungere l’aria libera. Perciò si mise calmo, e si dispose ad aspettare la fine della tempesta e l’arrivo del giorno, dentro il discutibile riparo che lo scafo poteva offrire. In acque calme poteva raggiungere la spiaggia con le sue sole forze, dato che il rumore portato dalle onde denunciava la vicinanza di una riva.

Rimase sdraiato nello scafo per parecchie ore, e gli capitò di pensare che quello poteva anche essere un pianeta che teneva sempre rivolto verso il sole un solo emisfero. Ma subito dopo pensò che in questo caso l’emisfero in ombra non avrebbe avuto acqua, perché sarebbe stato troppo freddo. Forse era più logico pensare che la tempesta con le sue nubi oscurasse la luce del giorno.

Adesso lo scafo non si muoveva più. La pressione e il suo peso l’avevano saldamente piantato nel fango. Quindi, certo che il relitto non si poteva muovere, il naufrago si allarmò quando il suo rifugio prese a spostarsi lentamente. Subito allungò un tentacolo in esplorazione, modellando un occhio all’estremità. Ma il buio era troppo intenso, e il Cacciatore dovette accontentarsi dell’esplorazione tattile. Ebbe immediatamente la sensazione di una pelle rugosa che sfregasse contro il metallo del relitto. Era qualcosa di vivo che dimostrò subito le proprie qualità sensoriali allargando una delle sue estremità in una bocca che risultò, al sondaggio, straordinariamente ben fornita di denti simili a lame.

La reazione del Cacciatore fu normale, normale per lui almeno: mise una piccola parte di sé in diretto contatto con quella spiacevole rastrelliera, trasformandosi allo stato semiliquido, e poi, essendo un essere dalle decisioni rapide, valutate le dimensioni dell’intruso, abbandonò il relitto e nuotò verso la creatura sperando che potesse offrirgli qualcosa di conveniente.

Lo squalo, un pesce martello di due metri e mezzo, forse rimase sorpreso e probabilmente si seccò ma, come tutti quelli della sua razza, non aveva abbastanza cervello per provare paura. Le sue brutte mascelle si richiusero voraci su quella che sembrava solida carne appetitosa e che si dissolse invece in acqua. Il Cacciatore non tentò nemmeno di sfuggire ai denti perché pericoli di quel genere non gli facevano paura, però resistette ai tentativi che il pesce compì per ingoiare la porzione del corpo gelatinoso. Non possedendo pelle che gli servisse da protezione, non voleva esporsi ai succhi gastrici. Poi, mentre lo squalo si agitava istintivamente contro un fenomeno che gli era incomprensibile il Cacciatore inviò alcuni pseudopodi all’esplorazione della pelle ruvida che ricopriva la forma marina, e quasi subito scoprì le cinque branchie che si aprivano sui due lati del collo della creatura. Gli bastò. Senza perdere altro tempo agì con l’abilità e la precisione che gli venivano dalla lunga esperienza. Il Cacciatore era un metazoo, una creatura pluricellulare come gli uomini o gli uccelli, nonostante che mancasse, almeno apparentemente, di una struttura precisa. Ma le singole cellule del suo corpo erano assai più piccole delle cellule di qualsiasi creatura terrestre. Questo gli rendeva possibile costruirsi arti, completi di muscoli e nervi sensoriali, sufficientemente sottili da penetrare nei capillari di qualunque essere costruito più rigorosamente, senza tuttavia interferire con la circolazione del sangue. Perciò non ebbe difficoltà a insinuarsi nel corpo dello squalo. Lo squalo si calmò appena quella cosa che si trovava nella sua bocca e attorno al suo corpo smise di inviare messaggi tattili al suo minuscolo cervello. A tutti gli effetti, il pesce non possedeva memoria.

Per il Cacciatore iniziò un periodo di grande attività. Prima cosa, e la più importante: l’ossigeno. Rapidamente inviò appendici submicroscopiche tra le cellule che formavano le pareti dei vasi sanguigni, e cominciò a derubarle del loro prezioso carico. Gliene serviva pochissimo, tant’è vero che sul suo mondo aveva vissuto per anni in quel modo dentro il corpo di un respiratore d’ossigeno intelligente, in pieno accordo con il suo ospite, ricompensandolo però abbondantemente per questa ospitalità.

Poi gli serviva la vista. Con tutta probabilità il suo ospite attuale possedeva organi visivi, quindi il Cacciatore cominciò a cercarli. Avrebbe potuto anche costruire un occhio con una parete del proprio corpo, ma occhi già pronti in genere servivano meglio di quelli che poteva costruire lui al momento.

La sua ricerca venne interrotta sul nascere.

Durante la lotta cieca contro il Cacciatore lo squalo si era avvicinato alla spiaggia più di quanto gli fosse gradito, perciò, appena finito di occuparsi dell’intruso, tentò di tornare in acque più profonde. Ma appena ebbe inizio il furto d’ossigeno, lo squalo riprese ad agitarsi, dando inizio a una catena di fenomeni che attirò l’attenzione dello straniero.

Il sistema respiratorio di un pesce funziona in condizioni svantaggiose, infatti l’ossigeno sciolto nell’acqua non ha mai un’alta concentrazione, e una creatura marina che respiri ossigeno non è in grado di farsi una buona scorta del gas, qualunque siano le sue dimensioni e la sua forza. Il Cacciatore non ne consumava molto, ma stava cercando di farsi una scorta sua, e come risultato, considerato anche l’eccessivo spreco d’energia che lo squalo stava compiendo, il consumo d’ossigeno cominciò a superare il rifornimento. Gli effetti furono due: la forza fisica del mostro prese a esaurirsi, e la quantità di ossigeno contenuta nel suo sangue diminuì pericolosamente. Se a questo si aggiunge che, quasi senza rendersene conto, il Cacciatore aveva aumentato i suoi prelievi, è evidente che l’episodio poteva avere un’unica conclusione.

Il Cacciatore se ne accorse molto prima che lo squalo morisse, ma non prese provvedimenti anche se avrebbe potuto benissimo diminuire il suo consumo personale d’ossigeno senza risentirne. Avrebbe anche potuto abbandonare il corpo dello squalo, ma non se la sentiva di andarsene in giro indifeso, con il pericolo di scontrarsi con qualche creatura sufficientemente grossa e svelta da ingoiarlo tutto intero. Rimase quindi dentro lo squalo, e continuò ad assorbire ossigeno in quantità perché aveva capito che se lasciava al pesce forza sufficiente questi l’avrebbe portato lontano dalla riva, alla quale lui invece voleva avvicinarsi. Nel frattempo aveva individuato esattamente il posto del suo ospite sulla scala dell’evoluzione, e all’idea di uccidere la bestia non provava maggior rimorso di quello che avrebbe afflitto un uomo.

Il mostro impiegò parecchio a morire, ma perse le forze molto prima. Quando lo squalo smise di dibattersi il Cacciatore riprese a cercare gli occhi, e finalmente li trovò. Depositò una lieve pellicola elaborata dal suo corpo attorno alle cellule delle retine, da usare quando ci sarebbe stata più luce. Inoltre, dal momento che lo squalo denotava la brutta tendenza ad affondare, la creatura extraterrestre estese altre appendici per catturare al passaggio le bolle d’aria provocate dalla tempesta. Il gas così assorbito, insieme all’anidride carbonica prodotta da lui, accumulò nella cavità addominale della bestia una certa quantità di elementi galleggianti.

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