Bob Shaw - Cronomoto

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Cronomoto: краткое содержание, описание и аннотация

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È uno dei temi più affascinanti della fantascienza: che cosa accadrebbe se potessimo fisicamente cambiare il tempo, creando nuovi mondi con un semplice gesto? Jack Breton, il protagonista di questo romanzo pieno di suspence e di sorprese, da nove anni non fa che pensare a quei pochi, fondamentali momenti che hanno preceduto la morte di sua moglie. Per correggere il suo errore deve riscrivere il passato. Ma con quali conseguenze?

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Convery aveva la matematica certezza della colpa di Breton, e nello stesso tempo anche quella che non sarebbe mai riuscito a trascinarlo in tribunale… ma non era certo questo a farlo desistere. Per natura, non poteva sopportare il delitto.

Nove anni prima, in casa Breton, era accaduto qualcosa di molto strano, i cui effetti continuavano a perdurare, non solo, ma si erano manifestati con particolare evidenza proprio in quei giorni, come i sintomi di una malattia virulenta covata a lungo. Ma che cosa era successo? Convery aveva spuntato le sue armi mentali alla ricerca di una soluzione di quel problema, ed era rimasto con il desiderio insoddisfatto di penetrare nell’intimità dei Breton, di vivere nella loro casa, di vagliare, setacciare e analizzare, finché non fosse arrivato a conoscere quei due meglio di quanto si conoscevano loro stessi…

— Avanti, Blaize! — Leland stava aprendo lo sportello della sua auto. — Ti do un passaggio.

Convery gettò uno sguardo sul parcheggio riservato alla polizia, e sentì la ben nota sensazione di gelo alle viscere. — No, grazie, preferisco prendere la mia. Può darsi che voglia rincasare presto.

— Salta su — ordinò Leland. — Non ti lasceremo andare via presto.

Ma Convery scosse la testa.

— Va’ avanti… ci rivediamo là.

Leland scrollò le spalle e s’infilò in macchina. Convery trovò la sua Plymouth nel crepuscolo che calava rapido, e si mise al volante, mentre, nelle orecchie gli risuonava il canto allettante delle sirene. Al primo incrocio scantonò, lasciando che Leland continuasse lungo il viale, e attraversò i rioni a gran velocità, come se l’amico lo stesse inseguendo. Naturalmente nessuno lo seguiva, ma lui sapeva che i colleghi non gli avrebbero risparmiato le frecciatine sarcastiche, o si sarebbero comportati come Gina, quando lui aveva piantato in asso la festicciola per il compleanno dei bambini. Ma il suo demone gli stava saldamente appollaiato sulla spalla, e le sue lusinghe erano troppo forti.

Raggiunto il viale in cui abitavano i Breton, Convery rallentò spostando la macchina sotto l’ombra continua degli alberi, col motore al minimo. La casa era immersa nella più completa oscurità. Mentre fermava la macchina, Convery si sentì sopraffare dal disappunto. Dunque, il demone lo aveva ingannato, come era già accaduto tante altre volte nel passato. Convery guardò l’ora, e calcolò che avrebbe potuto raggiungere la palestra del bowling ancora in tempo per giustificarsi dicendo di essersi fermato a far benzina. Era il buonsenso che glielo suggeriva, ma…

— All’inferno! — disse disgustato, accorgendosi che stava scendendo dalla macchina per avviarsi verso la casa buia. Sopra di lui, il cielo cupo era striato dalle meteoriti, ma Convery non vi badò. La ghiaia del vialetto scricchiolava sotto i suoi piedi, mentre si avviava fra le alte siepi, e poi voltava oltre il portico.

Si fermò nel patio ed esaminò la parte posteriore della casa. Anche qui, come aveva previsto, non c’erano luci. Le porte del garage erano aperte. La Lincoln di John Breton mancava, ma c’era la vetturetta sportiva di sua moglie. Evidentemente, i Breton erano usciti insieme. Convery si picchiettò i denti coll’unghia del pollice. Aveva l’impressione che i Breton non uscissero spesso insieme, ma nulla impediva che qualche volta facessero eccezione alla regola e passassero una serata godendo della reciproca compagnia, se ne avevano voglia. Non c’era nessuna legge che lo impediva… mentre ce n’era una che vietava di spiare nelle proprietà private senza autorizzazione.

Convery girò sui tacchi, indeciso, e stava per andarsene quando la porta della cucina cigolò. Si avvicinò, e vide che era socchiusa e il vento spingeva a tratti i battenti. La spalancò con un calcio, pensando che almeno avrebbe avuto una scusa per giustificare la sua presenza; poi entrò in cucina e accese la luce.

— C’è nessuno? — chiamò, vergognandosi un po’.

Dei colpi violenti ripetuti a ritmo frenetico gli risposero subito dal piano superiore, e, fra i colpi, gli parve di udire grida di donna. Accendendo le luci man mano che avanzava, Convery salì le scale, e, seguendo il rumore, entrò in una camera da letto sul davanti della casa. I colpi provenivano da un armadio a muro. Cercò di aprirlo, ma scoprì che intorno alle maniglie era avvolto un filo resistentissimo. Tentò invano di sciogliere i nodi, poi di tagliarlo col temperino, e finalmente si decise a strappare, con un potente strattone, una delle maniglie.

Un attimo dopo, Kate Breton gli cadeva tra le braccia, e una gelida esultanza lo invase quando si rese conto che, dopo tutto, il demone era stato leale con lui.

— Signora Breton — chiese allarmato — cosa sta succedendo qui? Chi vi ha chiuso nell’armadio?

— Jack Breton. — Aveva gli occhi asciutti, allucinati.

— Volete dire che è stato vostro marito?

— No, non è stato mio marito. È… — s’interruppe, aspirò a fondo, scossa da un brivido, e la sua espressione cambiò. Convery ebbe l’impressione che fosse scesa una barriera tra lui e la donna.

— Raccontatemi tutto quello che è successo, signora Breton.

— Dovete aiutarmi, tenente. — Era ancora spaventata, ma il momento di panico insensato era passato. — Credo che mio marito sia stato rapito. È al lago Pasco. Mi ci volete accompagnare?

— Ma…

— Per favore, tenente… abbiate pietà di me. Ve lo chiedo per mio marito.

— Andiamo — disse lui, di malumore. L’occasione era sfumata, ma lui sentiva che il lago Pasco era il luogo dove forse avrebbe finalmente imparato a parlare con le mani.

16

Durante la prima parte del viaggio, Breton sfiorò diverse volte la morte prendendo le curve a una velocità che sarebbe stata eccessiva anche per un bolide da corsa.

Era ormai lontano dalla città quando ritornò in sé quel tanto che gli bastava a fargli controllare il piede destro e costringerlo a sollevarsi; e allora la grossa vettura rallentò la sua corsa da incubo. Restare ucciso in un incidente automobilistico a quel punto del progetto, sarebbe stato un vero peccato, anche se avrebbe avuto forse conseguenze interessanti. Non appena l’attività del suo sistema nervoso centrale fosse cessata, il modulo cronomotore inserito nel polso sinistro non avrebbe più avuto la fonte di energia che lo alimentava, e il suo corpo sarebbe svanito per tornare nel Tempo A.

La situazione sarebbe potuta diventare anche più intricata se la morte non fosse stata istantanea, ma fosse sopravvenuta a bordo dell’autoambulanza che lo trasportava all’ospedale. Gli infermieri come avrebbero potuto spiegarsi la scomparsa di un individuo?

Queste fantasie riuscirono a distendere abbastanza i nervi di Breton per permettergli di pensare costruttivamente a ciò che doveva fare nell’ora seguente. La successione dei fatti era semplice: uccidere John Breton, trasportare il cadavere sul luogo delle trivellazioni, e liberarsene riducendolo in polvere. Questo, in teoria. Ma se, tanto per dirne una, c’erano dei turni di notte, e una squadra fosse stata al lavoro…?

Soddisfatto di constatare che riusciva a ragionare ancora con lucidità, Breton cominciò a tenere d’occhio la strada dalla parte in cui aveva visto le installazioni per le ricerche nel sottosuolo. Rallentò, per essere sicuro che non gli sfuggisse l’insegna, e finalmente i fari illuminarono il grande cartellone grigio e bianco dell’Azienda di Consulenza tecnica Breton. Allora svoltò nel viottolo d’accesso, procedendo adagio fra i solchi lasciati dalle pesanti macchine, e sollevando nuvole di polvere con le ruote.

A meno di cinque minuti dall’autostrada, il viottolo sfociava in un ampio spiazzo dal fondo disuguale, dove erano al lavoro le trivelle. Breton zigzagò fra i mucchi di materiale finché i fari non illuminarono le torri delle trivellazioni. Non c’era anima viva, in giro. Soddisfatto, Breton fece dietrofront e, dopo pochi minuti, era di nuovo sull’autostrada.

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