Robert Silverberg - La città labirinto

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Le talpe elettroniche e i robot ricognitori vengono stritolati, inceneriti, polverizzati, uno dopo l’altro: mandibole d’acciaio, laghi roventi, trabocchetti fotoelettrici, schermi deformanti, pareti di fuoco, fulminei marciapiedi a tagliola inghiottono e dilaniano i volontari. Ma ogni errore, ogni nuova vittima fa guadagnare qualche metro nella millenaria città-labirinto: al centro, inavvicinabile, c’è Richard Muller, l’unico abitatore, l’uomo che da nove anni vive d’odio e di ricordi, e che bisogna ad ogni costo convincere a uscire dal suo esilio e ad accettare una missione da cui dipende la sopravvivenza della specie.

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«Non dovevate fare questo!» disse Rawlins a Muller. «Noi abbiamo le nostre scorte al campo. Dovete tenerle da conto, le vostre. Bastava che permetteste al ricognitore di riaccompagnarmi…»

«Non voglio quei robot tra i piedi. E il diagnosticatore ha scorte per almeno cinquant’anni. Non mi succede spesso di ammalarmi.»

Finalmente la macchina lasciò libero Rawlins, che si rialzò e guardò Muller. La faccia del ragazzo non era più contratta, ora.

«Se avessi saputo che saresti stato assalito da quelle bestie, non ti avrei lasciato là tanto tempo. Come ti senti?»

«Bene.»

«Gli animali che si nutrono di carogne non si occupano dei vivi. Come mai ti sono saltati addosso?»

«È stata la gabbia… Ha cominciato a diffondere puzzo di carne in decomposizione, per attirarli. In un attimo me li sono trovati tutti addosso. Ho creduto che mi avrebbero mangiato vivo.»

Muller rise. «Interessante. Così la gabbia serve anche da trappola. Se non altro, abbiamo imparato qualcosa.»

«Felicissimo di avervi aiutato a fare una scoperta» disse Ned, ridendo. «Ma la prossima volta preferirei rinunciare all’onore.»

«Lo credo bene» disse Muller. L’aveva preso una bizzarra sensazione. Si era quasi dimenticato di come fosse piacevole aiutare il prossimo. «Bevi, Ned?» chiese.

«Moderatamente.»

«Questa è la nostra specialità locale: un liquore distillato da gnomi nelle viscere del pianeta.» Tirò fuori una fiaschetta trasparente e due larghe coppe in cui versò un dito di liquore. «Lo trovo nella zona C» spiegò, porgendone una a Rawlins.

Questi assaporò lentamente. «È forte!»

«Circa il sessanta per cento di alcol. Dio sa che cosa sia il resto, come viene distillato e perché. Io l’accetto così com’è. Mi piace il suo gusto forte e aromatico. È incredibilmente inebriante: probabilmente si tratta di un altro trabocchetto. Ti ubriachi senza accorgertene e poi il labirinto ti afferra.» Alzò la coppa e disse, quasi con allegria: «Alla tua salute.»

«Alla vostra.»

Risero nel pronunciare il vecchio brindisi e bevvero.

Attento, Dick si disse Muller. Stai diventando troppo socievole con questo ragazzo. Ricordati dove sei e perché ci stai.

«Posso portarne un po’ al campo?» chiese Rawlins. «C’è un tipo che apprezzerebbe certamente. È un vero buongustaio. Viaggia con un bar che dispensa cento qualità di liquore. Credo che vengano da cento mondi diversi.»

«Anche da Marduk?» chiese Muller. «Dai mondi di Deneb? Da Rigel?»

«Non saprei dirvelo con sicurezza, non sono un intenditore.»

«Forse il tuo amico sarebbe contento di barattare…» si arrestò bruscamente. «No, no. Dimentica quello che ho detto. Non ho intenzione di fare affari.»

«Potreste venire al campo con me. Vi lascerebbe assaggiare tutte le specialità del suo bar, ne sono certo.»

«Sei furbo, eh? No!» Lanciò un’occhiata di fiamma al liquore. «Non mi lascio mettere in trappola, Ned. Non voglio avere niente a che fare con loro.»

«Mi dispiace che la pensiate così.»

«Un altro goccio?»

«No. Devo tornare al campo, adesso. È tardi.» Finì il liquore, si alzò, e si guardò le gambe nude: il diagnosticatore aveva ricoperto le ferite con uno spray nutritivo, del colore della pelle, ed era quasi impossibile vedere i segni delle ferite. Con grande fatica, s’infilò di nuovo gli stivali. «Mi dareste un po’ di quel liquore per il mio amico?» chiese ancora.

In silenzio, Muller gli porse la fiaschetta piena a metà.

Rawlins se la fissò alla cintura. «È stata una giornata interessante. Spero di tornare» disse.

Mentre Rawlins si dirigeva, zoppicando, verso la zona E, Boardman chiese: «Come vanno le gambe?»

«Un po’ stanche. Ma stanno guarendo rapidamente. Tra poco starò benissimo.»

«Senti un po’, Ned. Abbiamo cercato in tutti i modi di mandarti i ricognitori. Ti ho seguito minuto per minuto, mentre quelle bestie ti assalivano… Ma non potevamo intervenire. Muller intercettava tutti i ricognitori e li distruggeva.»

«Non importa» disse Rawlins.

«È un tipo imprevedibile. Questa volta si era messo in testa di non lasciare entrare neppure uno dei nostri apparecchi nelle zone centrali.»

«Non importa. Sono ancora vivo.»

Dopo una lunga pausa, Boardman disse: «A quanto pare, voi due siete buoni amici, ormai. Molto bene. Ora devi cercare di tirarlo fuori dal buco.»

«E come?»

«Promettigli un rimedio per il suo «male».»

20

S’incontrarono di nuovo tre giorni dopo, a mezzogiorno, nella zona B. Rawlins attraversò diagonalmente la piazza ovale, che si apriva tra due tozze torri blu, e Muller gli fece cenno di avvicinarsi.

«Come vanno le gambe?»

«Bene.»

«E il tuo amico? Gli è piaciuto il liquore?»

«Molto» disse Rawlins, ripensando al lampo di avidità che aveva letto negli occhi voraci di Boardman. «Vi rimanda la fiaschetta, piena di un’acquavite speciale, e spera di poter fare un altro scambio.»

Muller guardò il recipiente che Ned gli tendeva. «All’inferno!» disse gelido. «Non ho intenzione di mettermi a commerciare con nessuno. Se mi rendi quella fiaschetta la mando in pezzi davanti ai tuoi occhi.»

«Ma… perché?»

«Vieni qua, che ti faccio vedere! No… aspetta. Ho cambiato idea: dammela.»

Rawlins gliela diede. Lui l’accarezzò teneramente, la stappò e se la portò alle labbra. «Siete dei demoni» brontolò. «Da dove viene questo? Da Deneb XIII?»

«Non so. Il mio amico ha detto soltanto che vi sarebbe piaciuto.»

«Demoni… Tentazioni… Questo è il commercio. Ma solo per una volta. A proposito, dove sei stato in questi giorni?»

«Ho lavorato.»

«Dove state scavando?»

«Non scaviamo affatto. Impieghiamo sonde acustiche al confine tra la zona E e la F. Stiamo cercando di stabilire se il labirinto è stato costruito tutto in una volta o in periodi successivi, partendo dal centro. Che ne dite voi, Dick?»

«Andate all’inferno! Non do consigli gratis agli archeologi, io!» Inghiottì un altro sorso di acquavite, e disse: «Mi sei abbastanza vicino, adesso, no?»

«Quattro o cinque metri.»

«Quando mi hai dato la fiaschetta erano anche meno, come mai non avevi l’aria nauseata? Non sentivi l’effetto delle radiazioni?»

«Sì che lo sentivo.»

«Allora ti sei dominato… Che tipo stoico!»

Rawlins si strinse nelle spalle e disse, in tono cordiale: «Credo che con l’andare del tempo ci si abitui anche a questo. Non l’avete mai constatato in altre occasioni?»

«Non ci sono state altre occasioni» disse Muller. «Vieni, ragazzo. Ti mostrerò tutto quello che c’è da vedere. Ecco la mia riserva d’acqua. Una raffinatezza, no? Questo tubo nero gira tutto intorno alla zona B.» S’inginocchiò per accarezzarlo e aggiunse: «Dev’esserci un sistema di pompe che aspira l’acqua da qualche vena sotterranea, forse a mille metri di profondità. Questo è un rubinetto. Ce n’è uno ogni cinquanta metri. Secondo me, l’acquedotto rifornisce d’acqua tutta la città. Forse i suoi abitanti non ne adoperavano molta. Non ho trovato nessun altro condotto.»

Poi Muller unì le mani a coppa e le mise sotto il rubinetto decorato da cerchi concentrici: l’acqua zampillò immediatamente. Lui ne bevve alcuni sorsi e ogni volta che staccava le mani il getto si arrestava. Ingegnoso! pensò Rawlins. Ma com’è possibile che tutto si sia conservato perfettamente funzionante, per tanto tempo?

S’inoltrarono nella zona A, come per una passeggiata. Muller era in vena di chiacchierare, e il dialogo fluiva facile, dissolvendosi a tratti in una nebbia acida di rabbia o di auto-commiserazione, ma per lo più pacato e piacevole: uno scambio di opinioni, esperienze, riflessioni tra un uomo maturo e un giovane che provavano piacere nella compagnia reciproca. Muller parlò della sua carriera, dei pianeti che aveva visitato, dei delicati negoziati che aveva condotto per conto della Terra con le colonie di altri mondi, spesso tutt’altro che concilianti. Pronunciò parecchie volte il nome del Consigliere Boardman, ma Ned non lasciò trapelare nessuna emozione.

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