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James Blish: Guerra al grande nulla

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James Blish Guerra al grande nulla

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È possibile che gli altri mondi non siano abitati. Ma finora, niente esclude che possano invece ospitare forme di vita, simili o no alla nostra. Questo è un problema che le scoperte della nuova scienza rendono attuale e non più ignorabile, una questione che va considerata sotto tutti gli aspetti. Anche quello religioso. Infatti, fra i doveri della Chiesa c'è quello di mantenersi in linea coi tempi; e il punto a cui è arrivata la giovane scienza spaziale ha spinto appunto la Chiesa a interessarsi dell'eventualità che esistano altri pianeti abitati. A questo proposito importanti esponenti del Clero hanno consentito a rispondere alle domande dei giornalisti, e il risultato delle speciali recenti interviste è stato ampiamente pubblicato su autorevoli quotidiani. Il romanzo che presentiamo in questo numero sembra scritto proprio in seguito alle ipotesi formulate da un Padre Gesuita nel corso del colloquio cui abbiamo accennato. E, guarda caso, a protagonista del suo romanzo, James Blish ha scelto un Gesuita. Il tema è ardito, e solo un autore intelligente, obiettivo, e abile come Blish lo poteva affrontare. Ne è uscito il racconto più eccitante che sia mai stato scritto nel campo della fantascienza. Un romanzo che i lettori di Urania non possono ignorare. Premio Hugo per miglior romanzo in 1959.

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Ruiz-Sanchez non aveva modo di sapere che cosa avesse operato la trasformazione, e probabilmente la folla stessa lo ignorava. Ma ora cominciavano gli spari: pochi, all’inizio, ma basta un singolo sparo per dare l’impressione di una scarica di fucileria, se prima non ce ne sono stati. Una parte del ruggito si staccò dal clamore generale e assunse un tono cupo e ancor più spaventoso: quando il pavimento tremò leggermente sotto i suoi piedi, Ruiz ne comprese il significato.

Un tentacolo della Bestia si era spinto all’interno dell’edificio. Ruiz-Sanchez comprese che era quanto ci si doveva aspettare. Vivere al di sopra del livello del suolo era ancora sostanzialmente un privilegio, riservato a quei funzionari dell’ONU che sapevano come ottenerne il permesso (autorizzazioni complicate, sottoposte a una lunga trafila burocratica) e che inoltre avevano un reddito sufficiente a permettersi una sistemazione così fuori del normale; era la versione stile ventunesimo secolo della villa in campagna: «Ecco, è qui che vivono quelli là… ».

Ruiz-Sanchez si affrettò a controllare la porta d’ingresso. Aveva una serratura robusta: un rimasuglio degli ultimi periodi della corsa al Rifugio, quando i grandi grattacieli incustoditi erano divenuti il bersaglio naturale dei ladri. La serratura non veniva usata da decenni: Ruiz-Sanchez tornò a usarla.

Appena in tempo. Ci fu un chiasso spaventoso nel corridoio, quasi davanti alla porta, quando parte della folla vi traboccò, proveniente dalle scale antincendio. La folla aveva evitato gli ascensori per istinto: erano troppo lenti per la sua ferocia, troppo stretti per la sua assenza di leggi, troppo meccanici per uomini che ormai lasciavano ai muscoli le loro facoltà di raziocinio.

Qualcuno afferrò la maniglia della porta e la scosse violentemente.

— Chiusa! — esclamò una voce.

— Buttiamola giù. Spostatevi.

La porta tremò, ma non fece fatica a resistere. Si udì un altro tonfo, più forte, come se parecchi uomini vi si fossero gettati contro, tutti insieme; Ruiz-Sanchez sentì che qualcuno si lamentava di essersi fatto male nell’urto. Poi dei colpi più secchi, come delle mazzate.

— Apri, bastardo! Apri, schifoso puzzone del governo, altrimenti ti bruciamo vivo.

La minaccia parve stupire tutti, compreso colui che l’aveva pronunciata. Si sentì borbottare qualcuno. Poi un altro disse con voce rauca: — Sì, d’accordo, ma bisogna trovare della carta o qualcosa di simile.

Ruiz-Sanchez pensò confusamente a cercare un recipiente e a riempirlo d’acqua, anche se non vedeva alcun modo in cui il fuoco sarebbe potuto penetrare all’interno dell’appartamento: la porta non aveva finestrelle, e la soglia faceva buona tenuta. Tuttavia, nello stesso istante, un grido risuonato più avanti, nel corridoio, fece accorrere tutti. I rumori successivi spiegarono la cosa: o avevano trovato un appartamento disabitato, con la porta aperta, oppure ne avevano trovato uno abitato, chiuso in modo inefficiente, e momentaneamente privo dei proprietari. Sì, la seconda ipotesi era giusta: l’appartamento era occupato; Ruiz-Sanchez sentì rumore di finestre e di vasellame che andavano in frantumi.

Poi, con un brivido di terrore, gli parve che le voci provenissero da un punto alle sue spalle. Si girò, ma nell’appartamento non pareva esserci nessuno; le voci provenivano dalla veranda allestita a serra, ma era chiaro che anche laggiù non poteva, esserci nessuno.

— Cristo! Guarda questo bastardo, si è fatto mettere i vetri su tutto il balcone. Ci ha fatto un porco giardino.

— Giù nel Rifugio non ci permettono di avere nessun giardino, quei bastardi!

— E sappiamo tutti chi paga per queste cose. Noi paghiamo.

Allora comprese che si trovavano sul balcone dell’appartamento confinante con il suo. Provò un sollievo totalmente irrazionale. Il fatto che fosse irrazionale venne confermato dalle parole che udì subito dopo:

— Portate un po’ di quella roba che bruciava. No, qualcosa di più pesante. Qualcosa da gettare, stronzi che non siete altro.

— Possiamo passare da qui?

— Basterebbe avere una scala…

— Sì, ma se scivoli c’è un bel salto!

La gamba di una sedia infranse i vetri della serra. Poi fu seguita da un pesante vaso.

Le api si precipitarono verso l’esterno. Ruiz-Sanchez non s’era mai reso conto, fino a quel momento, di quanto fossero numerose: la veranda n’era diventata tutta nera. Per un attimo lo sciame rimase librato nell’aria, come incerto. Avrebbe trovato quasi subito le brecce nei vetri, in qualsiasi caso, ma le persone ch’erano sull’altro balcone (e che, senza dubbio, non avevano capito cos’era successo) fornirono ai grossi insetti il miglior suggerimento. Qualcosa di piccolo e pesante, probabilmente un pezzo di qualche impianto idraulico, infranse un altro vetro e piombò nel bel mezzo dello sciame. Ronzando come un antico aeroplano, le api uscirono dal nuovo varco.

Un istante di silenzio mortale, quindi un urlo d’agonia e di orrore che contorse i visceri a Ruiz-Sanchez. S’erano messi a urlare tutti insieme. In un lampo, Ruiz ne vide uno saltare nel vuoto, agitando le braccia, con il volto e il petto ricoperti di quei terribili corpicini pelosi, neri e oro. Dei passi risuonarono correndo davanti alla porta, qualcuno cadde. Il sordo ronzio sonoro si aprì la via al loro inseguimento nei corridoi.

Dal basso salirono altre grida. Gli enormi insetti non potevano volare via, ma ormai erano liberi nell’interno dell’edificio. Alcuni di essi, anzi, avrebbero potuto raggiungere la strada, percorrendo tutto il pozzetto delle scale.

Dopo un po’, non si udirono più rumori umani, ma soltanto il ronzio degli insetti. Da dietro la porta d’ingresso, qualcuno gemette, poi tacque.

Ruiz-Sanchez sapeva quale fosse il suo dovere. Si recò in cucina a vomitare, poi prese la tuta protettiva di Liu e riuscì a infilarsela.

Non era più un sacerdote; anzi, non era più neppure un cattolico. La Grazia gli era stata tolta. Ma ogni persona ha il dovere di amministrare l’Estrema Unzione se ne conosce le formula, come è dovere di ogni persona amministrare il Battesimo se ne conosce il rito. Ciò che poi sarebbe avvenuto dell’anima così assistita, una volta che essa si fosse dipartita dalla carne, sarebbe stato deciso dal Signore Iddio, il Quale decide di ogni cosa; ma Egli ha comandato che nessuna anima si presenti davanti a Lui senza Assoluzione.

L’uomo davanti alla porta era già morto. Ruiz-Sanchez si fece per abitudine il segno della Croce e si allontanò dal morto, distogliendo lo sguardo. Un uomo che muore a causa di un massiccio shock istaminico non è bello a vedersi.

L’appartamento vicino era stato coscienziosamente svaligiato. Vi giacevano tre corpi, che non avevano più bisogno di aiuto alcuno. Ma la porta della cucina era chiusa; se uno di quegli uomini avesse avuto la presenza di spirito di barricarvisi prima che lo sciame delle api vi penetrasse, sarebbe forse riuscito a uccidere le poche api entrate con lui…

Come per confermare le sue supposizioni, un gemito risuonò dietro la porta. Ruiz cercò di aprirla, ma era chiusa parzialmente da una catena. Riuscì a dischiuderla d’una trentina di centimetri e s’infilò nell’apertura.

Il corpo che si torceva sul pavimento, la pelle incredibilmente gonfia e tesa, già quasi nera, gli occhi resi vitrei dalla sofferenza, era quello di Agronski.

Ma il geologo non riconobbe Ruiz. Non c’era più una mente dietro quegli occhi. Ruiz cadde in ginocchio, impacciato dalla tuta troppo stretta per lui. Udì la propria voce mormorare le preci rituali, ma non riusciva a capire le parole latine più di Agronski.

Non poteva essere una semplice coincidenza. Lui era entrato là per dare la Grazia, ammesso che un uomo come lui potesse ancora farlo. Davanti a lui giaceva il più innocente dei quattro membri della Commissione lithiana, fulminato là dove Ruiz-Sanchez non poteva fare a meno di trovarlo. Era il Dio di Giobbe che regnava sul mondo in quel periodo, non il Dio del Salmista o di Gesù. Il viso girato verso Ruiz era quello del Dio geloso, del Dio vendicatore, il Dio che aveva creato l’Inferno ancor prima di creare l’uomo, perché sapeva che questo ne avrebbe avuto bisogno. La terribile verità che Dante aveva cantato… E nel volto annerito, dalla lingua enfiata, che si torceva presso il suo ginocchio, Ruiz vide che Dante aveva avuto ragione, come ogni cattolico che abbia letto la Divina Commedia sa nel profondo del cuore.

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