James Blish - Guerra al grande nulla

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Guerra al grande nulla: краткое содержание, описание и аннотация

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È possibile che gli altri mondi non siano abitati. Ma finora, niente esclude che possano invece ospitare forme di vita, simili o no alla nostra. Questo è un problema che le scoperte della nuova scienza rendono attuale e non più ignorabile, una questione che va considerata sotto tutti gli aspetti. Anche quello religioso. Infatti, fra i doveri della Chiesa c'è quello di mantenersi in linea coi tempi; e il punto a cui è arrivata la giovane scienza spaziale ha spinto appunto la Chiesa a interessarsi dell'eventualità che esistano altri pianeti abitati. A questo proposito importanti esponenti del Clero hanno consentito a rispondere alle domande dei giornalisti, e il risultato delle speciali recenti interviste è stato ampiamente pubblicato su autorevoli quotidiani. Il romanzo che presentiamo in questo numero sembra scritto proprio in seguito alle ipotesi formulate da un Padre Gesuita nel corso del colloquio cui abbiamo accennato. E, guarda caso, a protagonista del suo romanzo, James Blish ha scelto un Gesuita. Il tema è ardito, e solo un autore intelligente, obiettivo, e abile come Blish lo poteva affrontare. Ne è uscito il racconto più eccitante che sia mai stato scritto nel campo della fantascienza. Un romanzo che i lettori di Urania non possono ignorare.
Premio Hugo per miglior romanzo in 1959.

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— Be’ — disse Michelis, — non è la stessa cosa che incitare. Capisco cosa intende dire Ramon. Egtverchi è abbastanza intelligente da non compiere nulla che possa portarlo in giudizio… e un falso arresto sarebbe una cosa pericolosissima: l’ONU finirebbe con l’incitare essa stessa alla rivolta.

— D’altra parte, che cosa potrebbero fargli, se la sua colpevolezza fosse dimostrata? — disse Ruiz-Sanchez. — È, sì, cittadino della Terra, ma le sue necessità non sono le nostre: imprigionandolo anche solo per trenta giorni rischierebbero di ucciderlo. Suppongo che potrebbero rimandarlo su Lithia, ma come dichiararlo indesiderabile senza ammettere che Lithia è come un paese straniero? Per il momento, Lithia è un protettorato, avente diritto di ammissione all’ONU come Stato membro.

— Ormai l’ammissione può scordarsela — disse Michelis. — La cosa equivarrebbe ad accantonare il piano di Cleaver.

Ancora una volta Ruiz-Sanchez sentì la stessa fitta al cuore che aveva provato quando Michelis gli aveva parlato del successo di Cleaver.

— A proposito, a che punto sono arrivati col loro piano? — domandò.

— Tutto quello che so è che gli hanno spedito quantità enormi di materiali e di attrezzature. Un altro carico partirà tra quindici giorni. Sembra che Cleaver sia in procinto di fare un esperimento cruciale, quando avrà a disposizione tutti i materiali. Fra poco tempo, quindi: le nuove astronavi coprono l’intero percorso in meno di un mese.

— Tradito ancora una volta! — disse amaramente il Gesuita.

— Non c’è nulla che possiate fare, Ramon? — domandò Liu.

— Farò da interprete a Egtverchi, se il vostro progetto si realizzerà.

— Sì, ma io…

— So cosa intendete dire — rispose Ruiz. — Sì, c’è una cosa decisiva che posso fare. E che forse servirà. Anzi, in realtà si tratta di una cosa che devo fare… — Li guardò con occhi che non vedevano. Il ronzio delle api, così reminiscente del brusio delle giungle di Lithia, lo ossessionava. — Ma non so se la farò — concluse.

Michelis riuscì a muovere le montagne. Era già formidabile in condizioni normali, ma quando era disperato e vedeva una possibile via d’uscita, nessun bulldozer era altrettanto implacabile nell’aprire una breccia.

Lucien le Comte des Bois d’Averoigne, ex Procuratore di Canarsie, ma sempre membro della confraternita della scienza, ricevette nel suo ritiro canadese Ruiz-Sanchez, Michelis, Liu ed Egtverchi, con la massima cordialità, senza accigliarsi nemmeno alla vista della figura sardonicamente silenziosa di Egtverchi, al quale strinse la mano come a un vecchio amico.

Il conte era un uomo massiccio, di alta statura, sulla sessantina. Aveva stomaco protuberante, ed era tutto scuro: aveva capelli scuri, indossava abiti scuri, era fortemente abbronzato e fumava un lungo sigaro scuro.

La stanza in cui li ricevette (Ruiz-Sanchez, Michelis, Liu ed Egtverchi) era una curiosa miscela di salotto e di laboratorio. C’erano caminetto, arredamento rustico, fucili appesi al muro, una testa d’alce imbalsamata, e una massa stupefacente di fili e macchinari elettronici.

— Non sono affatto sicuro che ci riusciremo — disse. — Tutto quello che ho qui è ancora nella fase sperimentale. Sono anni che non prendo in mano un amperometro o un saldatore, così è possibile che in tutto questo intrico di fili ci sia in qualche punto una saldatura imperfetta… ma non era lavoro che potessi affidare a un tecnico.

Li invitò a sedersi, mentre lui procedeva alle ultime regolazioni. Egtverchi rimase in piedi in fondo alla stanza, in penombra.

— Naturalmente, non potremo avere immagini — riprese il conte. — Il gigantesco transistor che mi avete descritto non emette sulla banda necessaria. Ma se siamo fortunati, avremo dei suoni… Oh!

Un altoparlante seminascosto in un intrico di fili crepitò, poi fece udire sibili lontani, ma coordinati. A Ruiz-Sanchez parevano soltanto disturbi di trasmissione, ma il conte disse: — Sto captando qualche cosa in questa banda di frequenze. Non m’aspettavo di arrivarci così presto. Comunque, non ci capisco nulla.

Anche Ruiz-Sanchez non ci capiva nulla, ma in pochi istanti superò lo stupore.

— Sono forse segnali che l’Albero emette in questo momento? — domandò, con una punta d’incredulità nella voce.

— Lo spero — rispose seccamente il conte. — Ho passato tutta la giornata a impiantare degli schermi contro le interferenze.

Il rispetto del biologo per il matematico sfiorava il timore riverente. Pensare che quel caos di fili di rame, di piccole prese nere, di oggetti rossi e marrone simili a petardi, di condensatori variabili, di massicce bobine, di tremolanti quadri indicatori, pensare che tutto ciò si spingeva direttamente attraverso il sub-etere per quasi cinquanta anni luce di spaziotempo a spiare le pulsazioni della massa cristallina sepolta sotto Xoredeshch Sfath…

— Non potreste sintonizzarvi meglio? — domandò alla fine. — Credo che si tratti delle pulsazioni che i Lithiani utilizzano per le rotte dei loro aerei e delle loro navi. Dovrebbe esserci una banda audio…

Salvo che quella banda di frequenza, rammentò, non poteva essere una banda «audio». Nessuno mai parlava direttamente all’Albero Messaggero, ma solo al singolo Lithiano che se ne stava ritto al centro della sala dell’Albero. Come quel Lithiano riuscisse a trasformare in onde radio la sostanza di quei messaggi non era mai stato spiegato a nessun terrestre.

E tuttavia, a un tratto, ci fu una voce.

— … possente collegamento con l’Albero — disse la voce in limpido, freddo lithiano. — Con chi sono collegato? Mi sentite? Non comprendo la direzione dalla quale proviene la vostra onda portante. Parrebbe dall’interno dell’Albero, il che è impossibile. Potete sentirmi?

Silenziosamente, il conte mise un microfono in mano al Gesuita. Questo si accorse di essere tutto un tremito.

— Vi sentiamo — disse in lithiano, con voce incerta. — Noi siamo sulla Terra. Potete udirmi?

— Distintamente — rispose la voce. — Ci risulta che ciò che dite è impossibile. È vero comunque che non sempre ciò che dite è esatto, come abbiamo potuto constatare. Che cosa volete?

— Vorrei parlare a Chtexa — disse Ruiz-Sanchez. — Parla Ruiz-Sanchez, che si trovava a Xoredeshch Sfath l’anno scorso.

— Possiamo chiamarlo — disse la voce fredda e distante. Poi: — Sempre che lui desideri parlare con voi.

— Ditegli che anche suo figlio Egtverchi desidera parlargli.

— Ah — fece la voce dopo una lunga pausa. — Verrà senza dubbio, allora. Ma non potrete parlare a lungo su questa lunghezza d’onda. La direzione da cui proviene mette a repentaglio il mio equilibrio mentale. Potreste ricevere un segnale modulato dal suono, se riuscissimo a emetterne uno?

Michelis mormorò una richiesta di spiegazioni al conte, che assentì, indicando l’altoparlante.

— È con questo sistema che vi riceviamo — disse Ruiz. — E voi come trasmettete?

— Non posso spiegarvelo. Non posso ora parlarvi più a lungo, diversamente ne riceverò grave danno. Chtexa è stato chiamato.

La voce tacque e seguì un lungo silenzio. Ruiz-Sanchez si asciugò la fronte ricoperta di sudore col dorso della mano.

— Telepatia? — mormorò Michelis alle sue spalle. — No, corrisponde a qualche parte dello spettro elettromagnetico. Ma quale? Quante cose ignoriamo di quell’Albero!

Il conte fece un cenno d’assenso, malinconicamente, gli occhi fissi sui quadranti indicatori, i quali non parevano indicargli nulla ch’egli già non sapesse.

— Ruiz-Sanchez — disse l’altoparlante. Ramon sussultò. Era la voce di Chtexa, chiara e forte.

Ruiz fece un cenno verso il fondo della stanza ed Egtverchi venne avanti lentamente. C’era quasi dell’insolenza in quel suo modo di avanzare.

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