James Blish - Guerra al grande nulla

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Guerra al grande nulla: краткое содержание, описание и аннотация

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È possibile che gli altri mondi non siano abitati. Ma finora, niente esclude che possano invece ospitare forme di vita, simili o no alla nostra. Questo è un problema che le scoperte della nuova scienza rendono attuale e non più ignorabile, una questione che va considerata sotto tutti gli aspetti. Anche quello religioso. Infatti, fra i doveri della Chiesa c'è quello di mantenersi in linea coi tempi; e il punto a cui è arrivata la giovane scienza spaziale ha spinto appunto la Chiesa a interessarsi dell'eventualità che esistano altri pianeti abitati. A questo proposito importanti esponenti del Clero hanno consentito a rispondere alle domande dei giornalisti, e il risultato delle speciali recenti interviste è stato ampiamente pubblicato su autorevoli quotidiani. Il romanzo che presentiamo in questo numero sembra scritto proprio in seguito alle ipotesi formulate da un Padre Gesuita nel corso del colloquio cui abbiamo accennato. E, guarda caso, a protagonista del suo romanzo, James Blish ha scelto un Gesuita. Il tema è ardito, e solo un autore intelligente, obiettivo, e abile come Blish lo poteva affrontare. Ne è uscito il racconto più eccitante che sia mai stato scritto nel campo della fantascienza. Un romanzo che i lettori di Urania non possono ignorare.
Premio Hugo per miglior romanzo in 1959.

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— Ramon, voi avete un modo sgradevole di esprimere ad alta voce ciò che tutti stiamo pensando — disse Michelis, con un vago sorriso. — Ma vedete, forse, un’altra soluzione?

— Nessuna. Il tempo è contro di noi, quindi siamo costretti a cominciare senza Cleaver.

No, non lo farete!

La voce che veniva dalla porta della camera da letto era a un tempo esitante e indurita dalla debolezza.

Gli altri sussultarono. Cleaver s’inquadrava sulla soglia, reggendosi con le due mani allo stipite. Il prete poté vedere i segni sul braccio, là dove si era strappato i cerotti che tenevano fermo il tubicino dell’endovenosa. Nel punto in cui l’ago era stato inserito, un ematoma bluastro si gonfiava lentamente sotto la pelle grigia.

CAPITOLO SESTO

Un silenzio.

— Paul, tu devi essere impazzito — disse Michelis a un tratto, quasi con rabbia. — Torna subito nella tua amaca, prima che la tua condizione peggiori! Non ti rendi conto che sei ammalato gravemente?

— Meno di quel che sembro — rispose Cleaver. — Anzi, non mi sento male per niente. La bocca è quasi guarita e credo di non avere più febbre. E che mi venga un accidente se questa commissione farà un solo passo avanti senza di me! Non ne ha il potere, e io mi appellerò contro qualsiasi decisione… qualsiasi decisione, e spero che voialtri ascoltiate… che verrà presa senza di me.

La commissione ascoltava; il magnetofono funzionava già e i nastri inalterabili scorrevano nelle loro bobine suggellate. I due uomini si volsero esitanti verso Ruiz-Sanchez.

— Che ne pensate, Ramon? — chiese Michelis con una smorfia. Spense il registratore usando la propria chiavetta. — Non è pericoloso per lui alzarsi così presto?

Il Gesuita s’era avvicinato al fisico e gli stava esaminando la bocca. Le ulcere erano quasi scomparse e un tessuto cicatrizzante granuloso si stava formando sulle poche rimaste. Gli occhi di Cleaver erano ancora lievemente iniettati, cosa che indicava come la intossicazione non fosse ancora del tutto scomparsa, ma eccettuati questi due segni, gli effetti dell’accidentale inoculazione di scilla non erano più visibili. Cleaver aveva un aspetto orribile, certo, ma questo era inevitabile, in un uomo che, fino a poco prima, era malato, e il cui organismo aveva continuato a bruciare per più di una giornata le proprie proteine. Quanto all’ematoma, una compressa fredda sarebbe bastata a debellarlo.

— Se vuole mettersi in pericolo da sé, credo che abbia il diritto di farlo, almeno indirettamente — disse il Gesuita. — Paul, la prima cosa che ora dovrete fare sarà di sedervi, mettervi qualche cosa addosso e una coperta sulle gambe. Quindi mangerete un poco, anzi vi preparerò io stesso qualche cosa… La vostra guarigione è stata rapida in modo prodigioso, ma adesso costituite un facile bersaglio per ogni infezione, durante la convalescenza.

— Accetto il compromesso — rispose prontamente Cleaver. — Non ho nessuna intenzione di recitare la parte dell’eroe, ma voglio essere sentito anch’io. Aiutatemi a raggiungere uno sgabello. Mi tremano ancora le gambe.

Ci volle una mezz’ora a Ruiz-Sanchez per somministrare a Cleaver le cure che riteneva necessarie. Cleaver sembrava trarre una specie di malizioso piacere. Quando finalmente ebbe nella destra una tazza di gchteht , una specie d’erba locale analoga al tè, e così deliziosa che in breve sarebbe divenuta un importante articolo d’esportazione, disse: — Siamo a posto. Mike, rimetti il magnetofono in funzione, e procediamo.

— Ne sei certo? — chiese Michelis.

— Al cento per cento. Gira quella maledetta chiave.

Michelis girò la chiavetta, la tolse e se la mise in tasca. Da quel momento, ogni loro parola sarebbe stata registrata.

— Dunque, Paul — disse Michelis, — hai fatto il diavolo a quattro per essere presente: segno che vuoi parlare e che hai qualche cosa da dirci. Si può sapere dunque perché non hai mai comunicato con noi?

— Non volevo farlo.

— Un momento, Paul — disse Agronski. — Non dimenticare che le tue parole sono registrate, non dire perciò la prima stupidaggine che ti passi per il capo. Può darsi che le tue facoltà di giudizio non siano ancora perfette, anche se le tue corde vocali lo sono. Il tuo silenzio era dovuto forse al fatto che non eri capace di far funzionare il sistema di comunicazione locale, l’Albero Messaggero, o comunque si chiami?

— Non si tratta di questo — rispose Cleaver. — Grazie, Agronski, ma non ho bisogno della balia asciutta che mi spiani la strada o mi fabbrichi degli alibi. So benissimo che ciò che ho fatto è scorretto e riprovevole, e so anche che è troppo tardi ormai per qualunque alibi. La mia sola probabilità di conservare il segreto era di mantenere un controllo perfetto di ciò che facevo. Naturalmente, mi sono giuocato quella sola probabilità andando a finire contro quel maledetto ananas. Me ne sono reso conto la notte scorsa, mentre lottavo come un pazzo per cercare di parlarvi prima che tornasse il Padre e mi sono accorto che non ci sarei riuscito.

— Hai l’aria di prendere la situazione abbastanza con calma — osservò Michelis.

— Che vuoi, mi sento un po’ rammollito. Ma sono un realista. Quello che ad ogni modo vorrei farvi capire, Mike, è che avevo delle ottime ragioni per condurmi come mi sono condotto, e non dubito che sarete d’accordo con me quando vi avrò esposto queste ragioni.

— Va bene, Paul. Comincia, allora — disse Michelis.

Cleaver prese una posizione più comoda e sovrappose le mani sotto le pieghe della coperta che lo avvolgeva. Aveva un’aria quasi ieratica. Senza dubbio la situazione lo divertiva.

— Innanzi tutto, non vi ho chiamati perché non volevo chiamarvi — disse. — Avrei potuto risolvere facilmente il problema dell’Albero, facendo quello che ha fatto il Padre, vale a dire chiedendo ai Serpenti di trasmettere i miei messaggi. Naturalmente, io non parlo il serpentiano, ma il Padre lo parla, e bene, e non avrei dovuto fare altro che metterlo a parte delle mie difficoltà. Senza contare che sarei potuto venire io stesso a capo dell’Albero. Conosco già tutti gli aspetti tecnici della questione. Capirai anche tu, Mike, quando vedrai l’Albero. Essenzialmente, è un transistor a giunzione semplice, il cui semiconduttore è un immenso blocco di cristallo sepolto sotto le sue radici; questo cristallo è piezoelettrico ed emette nello spettro delle radiofrequenze ogni qualvolta è toccato dalle radici. È una cosa fantastica, non c’è in tutta la Galassia una diavoleria simile, ci scommetto.

«Ma quello che volevo era creare una soluzione di continuità fra il nostro gruppo e il vostro. Volevo che ignoraste completamente tutto quanto avveniva su questo continente. Volevo farvi pensare al peggio e farvelo attribuire ai Serpenti, se possibile. Quando foste tornati qui, se mai foste tornati, mi sarebbe stato facile dimostrarvi che, se non mi ero mai fatto vivo, era stata colpa dei Serpenti, che non mi avevano permesso di comunicare. Anzi, avevo diversi altri piani già pronti, miranti allo stesso scopo, ma non è il caso che adesso mi metta a riferirveli nei particolari; inoltre, sarebbe inutile, visto che non sono approdati a nulla. Ma sono certo che sarei riuscito a convincervi, a dispetto di qualsiasi asserzione del Padre mirante a dimostrare il contrario.

— Sei proprio sicuro di non desiderare che spenga il registratore? — chiese Michelis, con calma.

— Oh, butta via quella maledetta chiave, per favore, e stammi ad ascoltare. Dal mio punto di vista, è stato un brutto smacco finire contro un ananasso proprio all’ultimo momento. Ha dato al Padre la possibilità di scoprire che avevo qualcosa da nascondere. Sono pronto a scommettere che se non fosse successo, egli non si sarebbe accorto di nulla prima del vostro arrivo, e quando se ne fosse accorto sarebbe stato troppo tardi.

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