James Blish - Guerra al grande nulla

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Guerra al grande nulla: краткое содержание, описание и аннотация

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È possibile che gli altri mondi non siano abitati. Ma finora, niente esclude che possano invece ospitare forme di vita, simili o no alla nostra. Questo è un problema che le scoperte della nuova scienza rendono attuale e non più ignorabile, una questione che va considerata sotto tutti gli aspetti. Anche quello religioso. Infatti, fra i doveri della Chiesa c'è quello di mantenersi in linea coi tempi; e il punto a cui è arrivata la giovane scienza spaziale ha spinto appunto la Chiesa a interessarsi dell'eventualità che esistano altri pianeti abitati. A questo proposito importanti esponenti del Clero hanno consentito a rispondere alle domande dei giornalisti, e il risultato delle speciali recenti interviste è stato ampiamente pubblicato su autorevoli quotidiani. Il romanzo che presentiamo in questo numero sembra scritto proprio in seguito alle ipotesi formulate da un Padre Gesuita nel corso del colloquio cui abbiamo accennato. E, guarda caso, a protagonista del suo romanzo, James Blish ha scelto un Gesuita. Il tema è ardito, e solo un autore intelligente, obiettivo, e abile come Blish lo poteva affrontare. Ne è uscito il racconto più eccitante che sia mai stato scritto nel campo della fantascienza. Un romanzo che i lettori di Urania non possono ignorare.
Premio Hugo per miglior romanzo in 1959.

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— Sì, in mare. Quindi ritorniamo tutti alle nostre faccende, fino alla nuova stagione d’accoppiamento.

— Ma… e i neonati?

— Oh, si prendono cura di sé stessi, se possono. Naturalmente, molti di loro soccombono, in particolare sotto i denti del nostro vorace fratello, il grande pesce lucertola, che noi, per questa ragione, uccidiamo tutte le volte che possiamo. Ma la grande maggioranza torna a riva, quando sia venuto il momento.

— La maggioranza torna a riva? Non capisco, Chtexa. Come avviene che non anneghino nascendo? E se ritornano, perché non se ne vede mai nessuno?

— Ma voi li avete visti certamente — disse Chtexa. — E spesso li avete uditi. Possibile che voi stessi non… Ma già: siete mammiferi, è qui che sta la difficoltà. Voi conservate la prole nel nido, la tenete presso di voi, conoscete i vostri figli ed essi conoscono i loro genitori.

— Sì — disse Ruiz-Sanchez. — Noi conosciamo i nostri figli, ed essi conoscono i propri genitori.

— Questo non è invece possibile, presso di noi — disse Chtexa. — Venite con me, ve ne mostrerò la ragione.

Chtexa si alzò e fece strada, fino alla porta. Il prete lo seguì, la mente rapita in un turbine di supposizioni.

Il Lithiano aprì la porta e Ruiz-Sanchez vide con una scossa che la notte era quasi trascorsa: ad ovest un vago chiarore appariva già nel cielo nuvoloso.

La giungla echeggiava sempre della sua sinfonia di gridi e di canti molteplici. S’udì un sibilo acuto, penetrante e l’ombra di uno pterodonte si librò sulla città verso il mare. Al largo, sul mare, un grumo indistinto che poteva essere soltanto uno dei calamari volanti di Lithia ruppe la superficie delle acque e aleggiò basso al di sopra delle onde oleose per una sessantina di metri prima di tuffarsi nuovamente nell’acqua. Dagli acquitrini della riva giunse un rauco latrato.

— Là — disse Chtexa con voce sommessa. — Avete udito?

La creatura smarrita, o un’altra della sua specie — sarebbe stato impossibile dirlo — emise di nuovo un gracidio indignato.

— È duro per loro, in un primo tempo — disse Chtexa, — ma in realtà quasi tutti i pericoli sono passati. Sono giunti a riva.

— Chtexa — disse Ruiz-Sanchez, — volete dire che i vostri figli… sono i pesci polmonati?

— Sì — rispose il Lithiano, — quelli sono i nostri figli.

CAPITOLO QUINTO

In ultima analisi era stato il latrare lancinante dei pesci polmonati che aveva fatto incespicare Ruiz-Sanchez quando Agronski era venuto ad aprirgli la porta. Inoltre, bisognava tener conto della stanchezza provocata dall’ora tarda e del duplice colpo datogli dalla malattia e dalla conseguente scoperta della menzogna di Cleaver. Avevano contribuito infine il senso di colpa sempre più accentuato, nei riguardi di Cleaver, risvegliatosi in Ruiz-Sanchez durante il ritorno a casa, sotto il cielo che si faceva sempre più chiaro, e lo shock della scoperta che Agronski e Michelis erano arrivati durante la notte, mentre lui trascurava il dovere per soddisfare la curiosità.

Ma soprattutto erano stati i clamori animaleschi dei figli dei Lithiani che avevano assediato ogni sua cittadella mentale per tutto il percorso dalla casa di Chtexa alla sua.

Quella debolezza improvvisa, tuttavia, durò solo un istante. Egli riprese faticosamente il controllo di sé, per scoprire che Michelis e Agronski lo avevano issato su una sedia del laboratorio e cercavano di spogliarlo dell’impermeabile senza farlo cadere e senza svegliarlo: problema topologico così delicato come potrebbe essere quello di togliere a un individuo la camicia senza sfilargli prima la giubba. Con un gesto affaticato, Ruiz-Sanchez sfilò lui stesso il braccio da una manica e alzò gli occhi su Michelis.

— Buongiorno, Mike. Scusate se non vi ho accolto come meritavate.

— Non dite sciocchezze — rispose Michelis. — E poi, non dovete parlare ora. Ho già passato quasi tutta la notte a cercar di calmare Cleaver per farlo addormentare. Ora non fatemi ricominciare, vi prego, Ramon.

— Non abbiate paura: non sono ammalato, ma solo un po’ stanco e snervato.

— Ma che cos’ha Cleaver? — domandò Agronski. Michelis fece come per zittirlo.

— No, no, Mike, è una giusta domanda — disse il Gesuita. — Io non ho nulla, vi assicuro. Quanto a Paul, ha un avvelenamento da glucosidi: si è punto con una spina, questo pomeriggio. Anzi, ieri pomeriggio, sarebbe più giusto dire. In che condizioni era, quando siete arrivati?

— Stava male — disse Michelis. — Dato che voi non c’eravate, noi non sapevamo cosa fare. Poi abbiamo deciso di dargli due delle pillole che avevate lasciato in laboratorio.

— Gli avete dato… — Ruiz-Sanchez cercò faticosamente di alzarsi in piedi.

— Già, come avete detto, non sapevate cos’altro fare. Tuttavia, adesso la dose che ha preso è troppo forte. Penso che sia meglio andare a dargli un’occhiata…

— Per favore, Ramon, rimanete a sedere — disse Michelis, in un tono gentile, ma che indicava ch’egli si aspettava di veder rispettata la richiesta. Oscuramente lieto di essere costretto a cedere all’implacabilità (seppure a fin di bene) dell’altro, il sacerdote si lasciò respingere sullo sgabello. Si sfilò gli stivali.

— Mike — chiese stancamente, — chi è il sacerdote, qui dentro, voi o io? Comunque, sono sicuro che avete fatto un buon lavoro. Vi ha dato l’impressione di essere in pericolo?

— Be’, ha un aspetto infame. Ma ha avuto sufficiente forza da restare sveglio per la maggior parte della notte. Si è addormentato che non è molto.

— Bene. Lasciamolo dormire. Domani, però, temo che dovremo alimentarlo per endovena. In questo clima non si può abusare impunemente dei salicilati. — Sospirò. — Comunque, dato che dormiamo nella stessa camera, ci sarò io, se dovesse sopraggiungere una crisi. Bene. Possiamo rimandare a domani eventuali altre domande?

— Se non ci sono altri guai, qui, possiamo rimandare senz’altro.

— Oh — disse Ruiz-Sanchez — per questo, ci sono molti altri guai, purtroppo!

— L’avrei giurato! — esclamò Agronski. — Che t’avevo detto, eh, Mike?

— C’è qualche pericolo che ci minaccia?

— No, Mike, non c’è nessun pericolo per noi, ve lo posso garantire. Non c’è nulla che non possa attendere che ci siamo riposati tutti. E voi due avete l’aria di aver bisogno di riposarvi almeno quanto me.

— Siamo molto stanchi — ammise Michelis.

— Ma perché non vi siete mai messi in comunicazione con noi? — domandò Agronski in tono aggressivo. — Ci avete fatto passare una paura terribile, Padre. Se davvero c’è qualche cosa che non va, avreste dovuto…

— Vi dico che non c’è nessun pericolo immediato — ripeté pazientemente il Gesuita. — Perché poi non vi abbiamo mai chiamati, questo lo ignoro quanto voi. Fino a ieri sera ero convinto che fossimo regolarmente in contatto con voi. Era Paul che se ne occupava, e sembrava che se la cavasse senza difficoltà. Ho scoperto che ha trascurato di mantenersi in comunicazione con voi solo dopo che si era ammalato.

— Dunque, bisognerà aspettare che si sia rimesso — disse Michelis. — Per l’amor di Dio, andiamo a dormire, ora. Pilotare quella farfalla per quattromila chilometri di banchi di nebbia non è stato affatto uno scherzo; anch’io mi stenderò con piacere sulla… Ma, Ramon…

— Ditemi, Mike.

— Voglio dire che questa situazione mi piace ancor meno che ad Agronski. Domani dobbiamo fare i bagagli, e svolgere le faccende del Comitato. Abbiamo soltanto un paio di giorni di tempo per prendere la nostra decisione, prima che l’astronave venga a portarci via da Lithia, finalmente, e per allora dovremo sapere tutto quello che occorre sapere, compreso quello che dovremo dire nel nostro rapporto alla Terra.

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