— Dal nostro punto di vista, non è affatto un male — osservò Chtexa. — Lithia vive solo perché la morte esiste. La morte di certe piante ci fornisce gas e petrolio. La morte di certe creature è sempre necessaria alla vita di altre. I batteri devono morire e si deve impedire di vivere ai virus, se si vogliono guarire i malati. Noi stessi moriamo semplicemente per far posto agli altri, almeno fino al giorno in cui potremo rallentare il ritmo con cui vengono al mondo i nuovi individui; ma per il momento questa è ancora una cosa impossibile.
— Impossibile, ma desiderabile ai vostri occhi?
— Desiderabile, certo. Il nostro mondo è ricco, ma non inesauribile. E altri pianeti, ci avete insegnato, hanno già i loro abitanti. Così che non possiamo sperare di spargerci su altri mondi, quanto il nostro sarà sovrappopolato.
— Nulla mai è veramente esauribile — commentò Ruiz-Sanchez bruscamente, fissando con fronte aggrottata quel pavimento color dell’iride. — Varie migliaia di anni della nostra storia ce lo hanno provato.
— Ma esauribile in quale senso? — domandò Chtexa. — Vi concedo che ogni sassolino, ogni goccia d’acqua, ogni particella di terreno possono essere esplorati senza fine. Le quantità di informazioni che si possono trarre da essi sono letteralmente infinite. Ma un dato terreno può essere esausto di nitrati, per esempio: è difficile, ma se lo si è coltivato male, può accadere. O prendiamo il ferro, di cui parlavamo prima. Permettere alla nostra economia di sviluppare una domanda di ferro che eccedesse la quantità totale delle riserve di Lithia… che le eccedesse più di quanto non possa contribuire ad accrescerle la caduta di meteore o l’importazione… sarebbe pura follia. Non è più una questione di informazioni, ma di sapere se le informazioni siano o non siano utilizzabili. Se non lo sono, non serve a nulla che le informazioni stesse siano inesauribili.
— Potreste certamente tirare avanti col pochissimo ferro che avete attualmente, se doveste farlo — ammise Ruiz-Sanchez. — Le vostre macchine di legno sono abbastanza precise da soddisfare qualunque ingegnere. Molti di essi, anzi, forse non ricordano che anche noi abbiamo usato per moltissimo tempo una tecnica analoga: io stesso ne ho un esempio nella mia abitazione. È un apparecchio per misurare il tempo, chiamato orologio a cucú: è fatto completamente di legno, eccetto i contrappesi, e ha quasi duecento anni, eppure è ancora accurato al cento per cento. Anzi, se è solo per questo, fino a qualche generazione fa, sulla Terra, si continuava a costruire navi di legno, anche dopo che si era giunti alla costruzione di navi di ferro.
— Il legno è un materiale eccellente per la maggior parte degli usi — confermò Chtexa. — Il suo solo inconveniente, a confronto della ceramica o del ferro, è che è troppo ineguale. Bisogna conoscere il legno straordinariamente bene per prevedere le sue caratteristiche, da un albero all’altro. Ma, ovviamente, le parti più complesse si possono far crescere all’interno di stampi adatti; la pressione di crescita all’interno dello stampo diventa così elevata che la parte che ne risulta è assai densa. Le parti più grandi possono venir segate dai tronchi con arenaria a grana grossa, e poi rifinite con ardesia. Noi troviamo che il legno è un materiale gradevolissimo a lavorarsi.
Ruiz-Sanchez si sentì, e non avrebbe saputo dirne il perché, colto da un po’ di vergogna. Era una versione ingrandita della vergogna che aveva sempre provato, a casa sua, nei riguardi del vecchio orologio a cucú della Foresta Nera. Gli orologi elettrici sparsi per la sua hacienda nei pressi di Lima avrebbero dovuto saper fare il suo stesso lavoro, silenziosamente, con precisione e occupando meno spazio, ma le considerazioni che avevano presieduto alla loro fabbricazione erano state commerciali, oltre che tecniche. Il risultato era che in maggior parte essi funzionavano con un leggero mormorio asmatico e gemevano sommessamente e lugubremente a intervalli irregolari. Erano tutti forniti di un «design» alla moda, ed erano tutti sovradimensionati e bruttissimi. Non ce n’era uno che indicasse l’ora esatta, e molti di essi, per il fatto d’essere azionati da motori a velocità di rotazione costante, che facevano agire dei meccanismi semplicissimi, non si potevano mai regolare, essendo stati consegnati dalla fabbrica con queste imprecisioni congenite, non riparabili.
E intanto il ligneo orologio a cucii, nel suo cantuccio, faceva sentire il suo regolare ticchettio. Una quaglia usciva da una delle portine ogni quarto d’ora, e vi avvisava della cosa; allo scoccare dell’ora uscivano prima la quaglia, poi il cucii, e una campanella suonava un istante prima di ciascun richiamo del cuculo. Per quell’orologio, mezzogiorno e mezzanotte non erano semplicemente ore del giorno, ma vere e proprie creazioni. Non restava mai indietro più d’un minuto al mese, e tutto questo costava soltanto la fatica di far risalire i tre pesi che lo azionavano, ogni sera prima di andare a letto.
L’uomo che aveva fabbricato quell’orologio era morto molto tempo prima che Ruiz-Sanchez fosse nato. Invece, il prete avrebbe dovuto acquistare e buttar via nel corso della sua esistenza una decina di orologi elettrici a buon mercato, secondo l’intenzione dei loro fabbricanti; quegli orologi discendevano in linea retta dall’economia dell’«invecchiamento pianificato», quella passione dello sciupio che s’era impossessata delle Americhe nella seconda metà del secolo scorso.
— Ne sono più che convinto — disse umilmente. — Ma avrei ancora una domanda da farvi, se me lo consentite. Fa sempre parte, a dir la verità, della precedente; vi avevo chiesto se voi Lithiani morite; ora vorrei chiedervi come nascete. Vedo molti adulti per le vostre strade e talvolta nelle case, anche se mi par di capire che voi, Chtexa, vivete da solo, ma non ho mai visto un bambino. Potreste dirmene la ragione? A meno che non sia lecito parlare di questo argomento…
— Oh, ma perché? Non possono esserci argomenti proibiti — rispose Chtexa. — Le nostre compagne, come sapete, credo, posseggono tasche addominali, in cui portano le uova. Fu una mutazione fortunata per noi, perché ci sono su questo pianeta molte specie di creature viventi che depredano i nidi.
— Anche noi abbiamo sulla Terra animali che hanno questi organi a forma di tasca, ma sono vivipari.
— Le nostre uova sono deposte nella tasca una volta all’anno — disse Chtexa. — È allora che le femmine della specie lasciano le loro case per andare alla ricerca dell’individuo che, scelto da loro, fecondi le loro uova. Io non ho compagna perché finora non sono stato designato in prima scelta da nessuna femmina; sarò però eletto in occasione del Secondo Matrimonio, cioè domani.
— Vedo — disse prudentemente Ruiz-Sanchez. — E come avviene la scelta? È determinata dall’emozione o dalla ragione soltanto?
— Alla lunga, le due cose ne fanno una sola — disse Chtexa. — I nostri antenati non hanno abbandonato al caso le nostre necessità genetiche. L’emozione da noi non va più contro alle nostre conoscenze d’eugenetica. Non lo potrebbe, dato che l’emozione stessa è stata modificata (mediante una selezione opportuna, mirante a rendere dominante questo comportamento) in modo da rispettare queste conoscenze.
«Alla fine della stagione viene il giorno della Migrazione, quanto tutte le uova sono fertilizzate e sono pronte a schiudersi. Quel giorno, e voi non sarete più qui a vederlo, temo, poiché la data prevista della vostra partenza lo precede di poco, tutta la nostra popolazione si recherà in riva al mare. Là, mentre i maschi fanno anello per proteggerle dai predatori, le femmine si recano dove l’acqua è alta, e nascono i piccoli.»
— Nel mare? — domandò debolmente Ruiz-Sanchez.
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