Poi, con un movimento esplosivo come il primo assolo di soprano, una figura nuda venne roteando verso di loro, sfrecciando tra i tronchi degli alberi e tra la gente; e roteava così rapida che i contorni del corpo erano confusi, sebbene il danzatore riuscisse ad evitare ogni ostacolo con piedi sicuri. Il ledom che danzava spiccò un balzo a destra di Philos e piombò a terra inginocchiandosi, con il viso e le braccia distesi sul morbido tappeto erboso. Poi se ne fece avanti un altro, piroettando, poi un altro; ben presto il bosco scuro fu vivo di movimento, del vortice delle cappe e delle acconciature che qualcuno portava, con il lampo dei corpi e degli arti in moto rapido e confuso.
Charlie vide Philos balzare in piedi; con suo stupore si accorse di essersi alzato a sua volta, di essersi chinato un poco, investito da quella corrente di suono e di movimento. Era faticoso non lanciarvisi come in un mare. Finalmente si ritrasse e si aggrappò al tronco di un albero, boccheggiando; perché aveva avuto una paura immensa che i suoi piedi inesperti non lo reggessero in quel vortice, che fossero incapaci di muoversi e di camminare come le sue orecchie erano incapaci di contenere tutto ciò che avveniva nell'aria intorno a lui, come i suoi occhi sbalorditi erano incapaci di assorbire l'impeto degli atteggiamenti di quei corpi.
Per lui tutto divenne una serie spezzata di immagini parziali ma nitidamente messe a fuoco; la rapida torsione di un corpo; l'alzarsi estatico e teso di una testa accecata dalla febbre, con i capelli di seta che ricadevano scostandosi dal volto, con il corpo che tremava; il grido acuto di un bimbetto che si lanciava correndo in mezzo alla danza, con le braccia protese e gli occhi chiusi, mentre i danzatori frenetici, in apparenza senza pensare, lo schivavano letteralmente per un capello, fino a che uno di loro si girava e afferrava il piccino, lo lanciava, e un altro l'afferrava al volo e lo faceva roteare e lo lanciava a un altro ancora, fino a che il bimbo veniva deposto, dolcemente, all'orlo di quel vortice di danza.
A un certo momento che gli sfuggì, il basso ronzio era diventato un ruggito, e il ritmo, invece di risultare dalla sottile percussione sulla faringe, era diventato un battito selvaggio, pugni furiosi sul torace e sull'addome snervato.
Charlie stava urlando…
Philos era scomparso…
Un'ondata di qualche cosa veniva generata nel boschetto, e veniva liberata; la sentiva investirlo e poi dissiparsi; era tangibile come la radiazione proveniente dalla porta di un forno, ma non era calore. Era diverso da tutto ciò che aveva mai sentito, immaginato o provato prima di allora… tranne forse quando era solo… oh, no, mai da solo con Laura. Non era sesso; era qualcosa di cui il sesso è un'espressione. E, al suo vertice, il tumulto armonioso cambiava specie; sebbene non mutasse qualità; la carne dei ledom che danzavano diventò una cornice che circondava tutti i bambini — tanti bambini — i quali si erano già riuniti in un gruppo compatto; se ne stavano orgogliosi, persino i più piccini, orgogliosi e consapevoli e profondamente felici, mentre, attorno a loro, i ledom li adoravano e cantavano. Non cantavano dei bambini. Non cantavano ai bambini. Si può descrivere soltanto in questo modo: cantavano i bambini.
Smitty è venuto a fare quattro chiacchiere con Herb accanto alla staccionata, che in realtà è un basso muro di pietra. Si dà il caso che Smitty sia furibondo con Tillie per qualcosa che non ha affatto importanza. Herb se ne stava seduto su una sedia da giardino sotto un ombrellone bianco e rosso, con il giornale del pomeriggio, ed è furioso a sua volta, ma per una ragione meno personale. Il Congresso non solo ha approvato una legge particolarmente stupida, ma ha aggravato questa stupidità aggirando un veto presidenziale. Quando vede Smitty, butta via il giornale e si dirige a grandi passi verso il muretto.
«Come mai» dice, intendendolo come una pura e semplice osservazione preliminare «il mondo è così pieno di luridi figli di vacca?»
«È semplice» è la risposta acida e immediata. «Sono nati tutti dalla parte più lurida di una donna.»
Sebbene a Ledom non scendesse mai l'oscurità, sembrò che si facesse buio quando quasi tutti se ne furono andati. Charlie rimase seduto sul fresco muschio verde, con i polsi sulle ginocchia e il dorso appoggiato contro un albero d'olivo, e chinò la testa per poggiare le guance contro il dorso delle mani. Si sentiva le guance ruvide, perché vi si erano asciugate innumerevoli lacrime. Alla fine si rialzò e guardò Philos, che attendeva paziente accanto a lui.
Philos, sebbene badasse a non proferire una parola per non guastare il raccoglimento del suo ospite, gli rivolse un sorriso smorzato e aggrottò lievemente le sopracciglia.
«È finito?» chiese Charlie.
Philos si appoggiò contro l'albero, e con un moto del capo indicò un gruppo di ledom, tre adulti e cinque o sei piccini, che stavano rimettendo in ordine il boschetto. Su di loro, come uno sciame invisibile di api magiche, aleggiava una nube di musica che fluttuava, svaniva, riprendeva forza. «Non è mai finito» disse Philos.
Charlie pensò a questo, e alla statua chiamata Il Creatore e a quello che era avvenuto nel boschetto, e al suono che aleggiava attorno a quella gente, ovunque si raccogliesse.
Philos chiese, quietamente: «Vuoi chiedermi ancora che luogo è questo?».
Charlie scosse il capo e si alzò in piedi. «Credo di saperlo» disse.
Si diressero verso i campi, e passarono tra i campi dirigendosi verso le casette, e poi si diressero verso i Centri, e intanto parlarono.
«Perché adorate i bambini?»
Philos rise. Era soprattutto una risata di gioia. «In primo luogo, credo che questo avvenga perché la religione (e, per chiudere ogni discussione, definirò come religione il sopra-razionale o l'esperienza mistica) sembra essere una necessità della specie… ma sembra anche che questa esperienza non sia possibile senza un oggetto. Non c'è nulla di più tragico di un'altra persona o di una cultura che provi la necessità di adorare e non abbia un oggetto per la sua adorazione.
«Per non discutere, come dici tu, l'accetterò» disse Charlie, e si rese conto che le sue parole suonavano bizzarre, nella lingua ledom. La parola per “accettare” era “interpenetrare”, una derivazione di “scambio”, ma sorprendentemente il suo significato emergeva sebbene Charlie fosse intimidito da quelle sfumature. «Ma perché i bambini?»
«Noi adoriamo l'avvenire, non il passato. Noi adoriamo quello che sarà, non quello che è stato. Noi aspiriamo alle conseguenze dei nostri atti. Teniamo davanti a noi l'immagine di ciò che cresce ed è malleabile… di ciò che abbiamo il potere di migliorare. Noi adoriamo questa capacità in noi stessi e il senso di responsabilità che vi si unisce. Un bambino è tutto questo… E poi…» Si interruppe.
«Continua.»
«È qualcosa che non puoi comprendere senza una buona dose di adattamento, Charlie. Non credo che tu possa riuscirvi.»
«Prova.»
Philos alzò le spalle. «L'hai chiesto tu: noi adoriamo i bambini perché è inconcepibile che noi possiamo mai obbedire a uno di loro.»
Proseguirono a lungo in silenzio.
«Che c'è che non va nell'obbedire al Dio che adori?»
«In teoria, nulla, immagino, specialmente se insieme all'obbedienza c'è la fede in un Dio vivente e cioè, attuale e conoscibile.» Philos si interruppe per scegliere le parole. «Ma in pratica, molto spesso, la mano di Dio negli affari degli uomini non rappresenta un intervento diretto. I suoi dettami sono adagiati nelle interpretazioni degli Anziani di un tipo o dell'altro… persone compenetrate del passato, dal ricordo affievolito, dagli occhi spenti, e dall'amore inaridito.» Guardò Charlie, e i suoi bizzarri occhi scuri erano pieni di compassione. «Non sei riuscito a capire ancora che l'essenza stessa di ledom è… il passaggio?»
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